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II software intelligenti che
trasformano dati in storie
sono già una realtà. Il
caso di «Narrative Science»

Generatore automatico
di articoli: il giornalismo
diventa post-moderno


di Evgeny Morozov
per il Corriere della Sera 18/3/2012

«Forbes» — una delle istituzioni più venerabili del giornalismo finanziario —oggi impiega una società denominata «Narrative Science» per generare automaticamente articoli sulle prospettive derivanti dai rapporti finanziari delle società. Basta dargli delle statistiche e in pochi secondi il software intelligente produce resoconti di piacevole leggibilità. Secondo «Forbes», utilizzando la sua piattaforma proprietaria di intelligenza artificiale, «”Narrative Science” trasforma dati in storie e approfondimenti».


Si noti l’ironia della situazione: piattaforme automatizzate ora «scrivono» resoconti su società che traggono profitti dal trading automatizzato! Questi resoconti vengono poi reintrodotti nel sistema finanziario, aiutando gli algoritmi a individuare transazioni ancora più lucrose. Si tratta in pratica di giornalismo fatto da robot per dei robot. L’unico aspetto positivo è che sono gli esseri umani a incassare i soldi.


Società come «Narrative Science» di solito lavorano in settori specifici — immobiliare, sport, finanza — dove le notizie tendono a seguire lo stesso modello e ruotano attorno a statistiche. Fare la cronaca delle campagne elettorali, a quanto pare, non è molto diverso dal farla per una partita di baseball: un servizio lanciato di recente da «Narrative Science» è in grado di produrre articoli sui riflessi nei social media di una campagna elettorale statunitense, su quali sono le questioni e i candidati di cui si parla di più o di meno in un particolare stato o regione, ed è persino in grado di inserire nell’articolo finale citazioni dai tweet più popolari e interessanti. Nessuno segue Twitter meglio dei robot.


È facile capire perché i clienti di «Narrative Science» — una trentina — lo trovino utile. Innanzitutto, è molto più economico che pagare giornalisti a tempo pieno che tendono ad ammalarsi, chiedono di essere rispettati e sono vanitosi. Un partner di «Narrative Science» paga solo 10 dollari per avere un articolo di 500 parole, e senza che nessuno lamenti le terribili condizioni di lavoro. Inoltre questo articolo viene scritto in un secondo —un record che nessun essere umano riuscirebbe mai a uguagliare — nemmen o il povero Christopher Hitchens!


In secondo luogo, promette di essere più completo — e obiettivo — di qualsiasi giornalista in carne e ossa; pochi di loro hanno infatti il tempo di trovare, elaborare e analizzare milioni di tweet, mentre «Narrative Science» riesce a farlo facilmente e, soprattutto, istantaneamente. E non solo è in grado di presentarci ogni tipo di statistiche,ma vuole anche capire il significato di quei numeri e comunicarlo al lettore. «Science Narrative» avrebbe scoperto il Watergate? Probabilmente no. Ma la maggior parte delle notizie ha assai meno risvolti da controllare.


I fondatori sostengono di voler semplicemente aiutare — non eliminare — il giornalismo. Le loro intenzioni potrebbero essere sincere, ma probabilmente i giornalisti non ne sono affatto contenti, mentre alcuni editori — sempre preoccupati dei conti da pagare — di sicuro lo accoglieranno a braccia aperte. Nel lungo periodo, però, l’impatto sociale di queste tecnologie — che sono solo agli albori — può essere più problematico.


Se c’è una tendenza inequivocabile nelmodo in cui Internet si sta sviluppando, è la spinta verso la personalizzazione dell’esperienza online. Tutto ciò che clicchiamo, leggiamo, cerchiamo e guardiamo su Internet è sempre più il risultato di qualche delicato sforzo di ottimizzazione, dove i nostri click precedenti, le nostre ricerche, i «mi piace», gli acquisti e le interazioni con gli amici online influenzano quello che succede nel nostro browser e nelle nostre applicazioni.


Fino a poco tempo fa, molti temevano che questa personalizzazione ci avrebbe condotto in un mondo in cui saremmo stati esposti solo agli articoli che riflettono i nostri interessi, che non ci avrebbe permesso di avventurarci al di fuori dei nostri consueti territori. I social media, con la loro raffica infinita di link e di mini-dibattiti, hanno reso queste preoccupazioni obsolete. Ma l’avvento del «giornalismo automatizzato» presenta una sfida nuova e diversa, che gli eccellenti meccanismi di selezione dei socialmedia non riescono ancora a risolvere: e se cliccando sullo stesso link, che in teoria dovrebbe condurre allo stesso articolo, ciascuno di noi trovasse in realtà testi molto diversi?


Immaginiamo che i miei dati online suggeriscano che sono in possesso di una laurea specialistica e che passo un sacco di tempo sui siti web dell’«Economist» o della «New York Review of Books»; dovrei quindi ricevere una versione più sofisticata, stimolante e informativa della stessa notizia rispetto al mio vicino che legge «Usa Today». Se i miei dati mostrano che sono anche interessato a questioni internazionali e di giustizia globale, un articolo scritto da un computer su Angelina Jolie parlerà del suo nuovo film sulla guerra in Bosnia. Il mio vicino, appassionato di divi, riceverebbe invece un articolo con qualche vano pettegolezzo su Brad Pitt. Confezionare storie al momento, che siano personalizzate per soddisfare gli interessi e le abitudini intellettuali di un solo particolare lettore, è esattamente quel che fa il giornalismo automatizzato. Gli inserzionisti e gli editori amano questo genere di personalizzazione — che potrebbe spingere gli utenti a passare più tempo sui loro siti — ma le sue implicazioni sociali sono pericolose. Come minimo c’è il rischio che qualcuno rimanga chiuso in un circolo vizioso, riceva solo notizie spazzatura e non si renda conto che al di fuori c’è anche un mondo diverso e più intelligente. La natura comunitaria dei social media lo rassicurerà sul fatto che non sta perdendo nulla.


Pensiamo a cosa succederebbe se grandi società tecnologiche entrassero in questo mercato, soppiantando iniziative di modesta portata come «Narrative Science». Prendiamo ad esempio Amazon. Il suo eReader Kindle permette agli utenti di cercare nel dizionario elettronico le parole che non conoscono e di sottolineare i passi preferiti. Amazon registra ememorizza queste informazioni sui propri server. Questo gli tornerà utile quando deciderà di costruire un notiziario personalizzato e completamente automatizzato: in effetti sa già quali giornali leggo, che tipo di articoli attirano la mia attenzione, quali frasi mi piacciono e di quali parole non conosco il significato. E poi ho già il loro dispositivo, dove posso leggere questo notiziario gratuitamente!


In questo contesto, l’idea che una maggiore automazione potrebbe salvare il giornalismo appare miope. Non bisogna, però, prendersela con innovatori come «Narrative Science». La vera minaccia viene dal rifiuto di indagare sulle conseguenze sociali e politiche insite in un mondo in cui la lettura anonima è quasi impossibile. È un mondo nel quale gli inserzionisti — assieme a Google, Facebook e Amazon — non vedono l’ora di trovarsi, ma è anche un mondo in cui il pensiero critico e non convenzionale può diventare più difficile da coltivare e preservare.


Twitter @evgenymorozov


(Traduzione di Maria Sepa)


 


 





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