Il 4 maggio il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ha convocato una riunione dei giornalisti del quotidiano e ha presentato le sue idee per il futuro del giornale, contenute nel piano editoriale per il 2012 e il 2013. Nel suo discorso, pubblicato integralmente da Prima Comunicazione, de Bortoli ha difeso la linea editoriale tenuta negli ultimi anni e ha parlato di un maggior impegno su internet (“il giornale sarà in prospettiva più snello, in relazione alla progressiva migrazione delle notizie sul web”). Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare la nomina del nuovo amministratore delegato. De Bortoli, 58 anni, è stato direttore del Corriere della Sera dal 1997 al 2003 e nuovamente a partire dal 2009.
Buongiorno e grazie a tutti. Prima di entrare nel vivo del programma di questa mattina, io devo ringraziare per la sua presenza il nuovo presidente del gruppo Angelo Provasoli, al quale va il nostro più sincero augurio di buon lavoro. Conosco Provasoli dai tempi dell’amministrazione controllata, quando era presidente della Quotidiani. Se siamo qui oggi lo dobbiamo anche a lui. Un grazie di cuore per essere qui con noi a Piergaetano Marchetti, che negli anni in cui ha presieduto il gruppo ha sempre dimostrato verso il Corriere vicinanza e affetto, garantendone l’assoluta autonomia e indipendenza. Sono felice che resti con noi, come presidente della Fondazione, che grazie a lui ha consolidato e rafforzato il proprio ruolo di primaria istituzione culturale del nostro Paese. Un ringraziamento e un augurio vanno anche all’amministratore delegato uscente Antonello Perricone. Sono presenti e li ringrazio, soprattutto per il lavoro straordinario che ci hanno costantemente assicurato, il nostro direttore generale Giulio Lattanzi, grazie Giulio, il direttore della divisione Corriere Luca Traverso, il chief digital officer Alceo Rapagna.
Perché la direzione ha sentito la necessità di chiedervi di partecipare a questo incontro? Per dirvi a che punto siamo, dove vorremmo andare, quali sfide professionali e culturali ci attendono. Tutto qui. Ma soprattutto per conoscere le vostre proposte e le vostre critiche. Le potrete fare quando e come vorrete. Oggi, intervenendo al dibattito, nella seconda parte della mattinata o, in seguito, scrivendo alla mia mail. Con la libertà di sempre.
Io credo che dovremmo essere tutti orgogliosi del lavoro che abbiamo compiuto in questi tre anni. Il merito è soprattutto della redazione. Gli errori sono soltanto miei. Ma l’impegno e la passione sono stati e sono soprattutto vostri. Il Corriere è cresciuto – poi vedrete dati e comparazioni – ha resistito meglio di altri alla crisi del settore, ha innovato, si è aperto alla multimedialità. Ma soprattutto ha vinto la sua battaglia civile. Nelle macerie della contrapposizione schematica e brutale, che ha contraddistinto questi anni avvelenati, ha mantenuto stile e sobrietà, serietà e competenza, indipendenza di giudizio, anche dai propri azionisti. Non siamo mai stati maestrini arroganti, né opinion maker convinti di essere gli unici depositari della verità, né censori unici titolari della cattedra della moralità. Il giornale non ha partecipato a nessuna campagna d’interesse. Anzi, mi correggo: ne ha fatta una sola. Una sola campagna. Costante e quotidiana. Una campagna per il Paese. Perché questo deve fare un grande organo d’informazione.
Perché il Corriere è un’istituzione di garanzia, non un partito. E appartiene prima di tutto ai suoi lettori. Noi e i proprietari veniamo dopo. Lo abbiamo tutti in prestito dai beni pubblici della Nazione e dobbiamo sentire il dovere di consegnarlo più forte, soprattutto nella Rete e nella multimedialità, alle prossime generazioni. Questa è la nostra missione professionale e civile.
Il Corriere ha rappresentato, in questi anni, un luogo aperto di confronto delle idee, nel rispetto di tutti. Ha difeso, senza isterismi movimentisti, i valori della Costituzione. Continuiamo, anche in questi giorni, a richiamare la necessità che istituzioni e partiti si rinnovino: per tutelarne il ruolo, indispensabile. senza scadere nell’antipolitica e nel qualunquismo. Il nostro quotidiano ha promosso un rinnovato dialogo fra laici e cattolici, necessario se si vorrà dare corpo a una politica moderata e riformista. Ha costituito il crocevia dell’identità civile di quel blocco sociale di produttori e professionisti che forma l’ossatura più forte dell’economia italiana.
Il Corriere, in questi anni, si è intestato il difficile compito di moralizzare la politica e gli affari senza gli eccessi distruttivi di un moralismo di maniera. Le nostre cronache giudiziarie non hanno fatto sconti a nessuno. Non vi sono stati bersagli, ma nemmeno amici da tutelare e simpatie da rispettare. A nessuno di voi è stato chiesto di schierarvi, di forgiare i fatti ad uso di una parte sull’altra.
A nessuno di voi è stato chiesto di omettere una notizia. Sono stati commessi degli errori, questi sì, che dovremmo ammettere e riparare senza indugi. Gli osservatori, anche i più critici, ci riconoscono di aver fatto un giornale onesto. E dobbiamo esserne consapevoli e orgogliosi. Ci troviamo qui oggi anche per ricordarlo a noi stessi. Con l’understatement proprio di questa casa che apparirà anche un po’ grigia, ma non veste nessun colore, né ha addosso una etichetta di comodo.
Nei prossimi anni il giornale continuerà e rafforzerà la sua linea moderata, di responsabilità nazionale, pragmatica nel metodo e inflessibile sui principi. E qui dobbiamo dirci una cosa essenziale e chiara. Senza la creazione di uno spazio di dibattito civile e politico, al quale il giornale ha dato un contributo insostituibile, uno spazio sottratto alla balcanizzazione feroce degli anni del berlusconismo, non sarebbe stato nemmeno immaginabile un governo tecnico che raccogliesse un consenso parlamentare così vasto seppure in larga misura obbligato. Non sarebbe possibile un confronto serio sulle riforme, e già largamente frustrato l’impegno a ridefinire un quadro politico più moderno e rappresentativo. Il governo è presieduto da un nostro prestigioso collaboratore, il professor Monti, al quale il Corriere, che non è vassallo di nessuno, non ha fatto mancare le sue critiche, anche dure e circostanziate. La funzione di una stampa responsabile e indipendente è questa. Solo questa.
La giornata è dedicata al giornale che facciamo e che faremo. Sulla carta e sul web. Nel piano editoriale per il 2012 e 2013, che abbiamo presentato all’editore, e che vi illustreranno i colleghi della direzione, compaiono diverse ipotesi di lavoro che non necessariamente verranno tutte realizzate: dipenderà dalle scelte dell’editore, rese più complesse dalla difficile congiuntura di quest’anno, che ha visto la caduta dei consumi e degli investimenti pubblicitari.
Ci tengo a dire un’altra cosa chiara: non faremo nulla che metta a repentaglio i buoni conti del Corriere perché siamo convinti che solo un quotidiano in salute sia libero e autorevole. In questi tre anni siamo diventati più efficienti e competitivi, come dimostra l’insieme delle iniziative che hanno trasformato il Corriere in un sistema informativo integrato, che va dalla carta al web, dalle edizioni per iPad e smartphone al Corriere tv. Abbiamo dato vita anche a una casa editrice ex novo, con instant book di successo, che ha un fatturato superiore, tanto per fare un esempio, all’Einaudi. Abbiamo creato un canale all news con tutti gli avvenimenti in diretta. Un vero e proprio palinsesto di una rete televisiva, sogno frustrato di tanti editori, compreso Rizzoli, che il Corriere ha realizzato. Il rinnovamento della tastiera tematica del giornale è stato vasto, ma ancora incompleto. Va proseguita l’attività di miglioramento qualitativo e di differenziazione dei giorni dell’offerta, come è accaduto per il nuovo sabato e la nuova domenica, arricchita dall’arrivo della Lettura.
Dobbiamo essere precisi, accurati, attendibili, disponibili al colloquio costante con i lettori e con i navigatori. I giornalisti risultano sempre più antipatici, arroganti e superficiali. Vorrei che ci impegnassimo di più a risalire la china di questa immagine deteriorata della categoria. Bisogna rispondere a tutti, con pazienza e umiltà. Nella Rete contano la credibilità e l’autorevolezza. Sono da ripensare i primi piani, la scansione dei settori, l’insieme delle correlazioni con Corriere.it. La veste grafica subirà una nuova significativa evoluzione, ne parleremo questa mattina. Pensiamo sia necessario definire una linea più moderna di photo editor. L’immagine del giornale deve avvicinarsi sempre di più alle edizioni digitali, in una dimensione user friendly. Il giornale sarà in prospettiva più snello, in relazione alla progressiva migrazione delle notizie sul web. Chiuderà la prima edizione molto prima. Sarà pensato molto prima.
Ma la ragione principale di questo incontro riguarda il futuro del giornale e della nostra professione nel mondo digitale. Prima di tutto non dovete temere che l’innovazione tecnologica sia una minaccia, che vi trasformi in minatori del web. Se comprese e cavalcate, le nuove tecnologie avranno un effetto esponenziale sulla qualità del nostro lavoro, sulla reputazione delle nostre firme, sulla riconoscibilità dei nostri brand editoriali. Apriranno nuovi orizzonti, moltiplicheranno le possibilità d’impiego, creeranno posti di lavoro collegati al giornale tradizionale, che resterà il fulcro di ogni attività, il nocciolo duro culturale, l’anima insostituibile. In caso contrario, ne subiremo tutte le peggiori conseguenze. Pensate che negli Stati Uniti ogni euro di ricavi editoriali generato sulla Rete ne distrugge dieci sulla carta. Fermarsi significa firmare la nostra condanna a morte. Ritardare l’introduzione delle nuove tecnologie, senza capire che la variabile tempo è decisiva, equivale a un suicidio assistito. Assistito dalla nostra ignoranza e dalla nostra presunzione.
Il giornalista della carta stampata non esiste più. Ma il giornalista multimediale ha di fronte un insperato Rinascimento della professione. Se vorrà viverlo, però. Non ha più senso dire: scrivo per la carta, per il web o per l’iPad. Si scrive per tutto il sistema Corriere. Senza possedere le chiavi della tecnologia, non potremo più salvaguardare la qualità. Senza conoscere la grammatica e la sintassi delle nuove comunità in Rete, non avremo la possibilità di intercettare nuovi lettori. Inutile illudersi che il lettore o il navigatore scopra da solo la qualità e la confronti con altre offerte informative. Il lettore dobbiamo andarlo a cercare noi, con umiltà, utilizzando ogni canale, ogni social network, ogni algoritmo a disposizione. Le conoscenze tecnologiche sono la condizione per salvaguardare le competenze giornalistiche. Ma questo scenario non farà venire meno i principi fondamentali della professione.
I giornali di carta, con le loro edizioni online e digitali, restano il presidio della credibilità e dell’autorevolezza, sono i moderni radiofari dell’identità, i certificatori che una notizia è vera e importante; sono in grado di selezionare, fornire al lettore o al navigatore un metodo per capire la complessità che lo circonda. Compongono l’agenda critica di una persona globale. L’esperienza di questi ultimi tempi dimostra che le notizie e le inchieste che contano le produciamo ancora noi, soprattutto noi. Le fonti siamo noi. Ma proprio perché questo è vero dobbiamo possedere tutte le chiavi tecnologiche e le tecniche di identificazione e diffusione dei testi e dei video e in Rete.
E ciò per difendere meglio il valore delle notizie esclusive, delle inchieste e dei commenti. Che contano più di prima.
I giornali nati solo sull’online faticano a imporsi perché non hanno né l’esperienza né il back office dei grandi quotidiani. Ma attenzione: oggi nel nostro Paese, anche per la protezione della lingua, non abbiamo ancora avuto tutta la massiccia concorrenza dei grandi aggregatori, come Google o Amazon, o dei grandi network come Sky e la stessa Mediaset.
Se quest’ultima, come sembra, acquistasse Libero e Virgilio, unendoli a Tgcom, formerebbe un formidabile player. Google e Amazon sono in grado di fare un boccone dei giornali tradizionali, se solo decidessero di investire massicciamente in risorse giornalistiche. Il 50 per cento di chi cerca notizie in Italia digita prima di tutto Google. E ciò consente a Google di prosciugare i ricavi pubblicitari dei giornali tradizionali riproducendone gratis i contenuti. Senza riconoscere il diritto d’autore. In tutti gli altri Paesi l’informazione in Rete è dominata da aggregatori e giganti televisivi. La tenaglia si sta chiudendo e questo impone agli editori, soprattutto al nostro, chiarezza strategica e interventi tempestivi. L’esatto opposto delle liturgie alle quali abbiamo assistito in questi giorni.
Vi parlavo prima di un Rinascimento multimediale del ruolo del giornalista. I giornali su carta e online non sono mai stati così letti. Nel 2011, per la prima volta, gli utenti Internet hanno superato il 50 per cento della popolazione. Nel marzo scorso gli iscritti a Facebook erano 22 milioni, quelli a Twitter 2,5 milioni. I social media hanno dato vita a una forma nuova di giornalismo partecipativo che ha prodotto profondi mutamenti nella società e nella politica. Basti pensare a quello che è accaduto con la primavera araba. Ma hanno reso ancora più indispensabile il nostro lavoro.
Chi partecipa a una comunità multimediale vuole essere informato. Correttamente e tempestivamente. Ha bisogno di una certificazione di qualità che solo le grandi testate, per ora, possono dargli. Ma se su quei social network, noi non ci siamo, il nostro giornale non è adeguatamente rappresentato, i nostri giornalisti non ci sono, i lettori-navigatori si rivolgeranno altrove. Per sempre.
Quando vi dicevo che il giornalista della carta stampata non esiste più, intendevo questo. Non si può pensare di aver esaurito il proprio compito scrivendo, e bene, il proprio pezzo sulla carta e basta. Perché quel pezzo si trasforma, con la nostra firma, il nostro marchio, in un articolo geneticamente modificato che suscita interesse e discussione. Se noi non lo seguiamo, partecipando a nostra volta, discutendo con il pubblico della Rete, quel pezzo sarà un orfano editoriale che si rivolterà contro di noi o diventerà qualcos’altro, con la nostra firma o con il peso della nostra assenza.
La figura del social media editor sarà non solo indispensabile ma determinante nel disegnare il futuro delle testate tradizionali. Ognuno di noi è già un social media editor. Se conosce strumenti, regole e linguaggi, può svolgere un ruolo attivo, da protagonista: capire tendenze e interessi dei propri lettori, anticipare fenomeni di costume, crescere professionalmente e affermarsi pubblicamente. Ma avrà anche la responsabilità di garantire e promuovere la reputazione del proprio giornale.
Dialogare costantemente con i lettori, rispettandoli, è una necessità. Quando siamo sulla Rete non siamo soltanto noi stessi, ma anche e soprattutto giornalisti del Corriere e, nel rispetto delle opinioni personali, non dobbiamo mai dimenticarci che la reputazione del giornale dipende da noi, anche con un semplice retweet. Dovremo dotarci di chiare regole condivise. E saremo tutti protagonisti di un rapporto nuovo con il lettore nelle varie comunità, se sapremo anche comprendere che il rapporto è interattivo, a due vie, non una sola come nell’era della carta stampata.
La stagione che si apre, come avete visto è densa di incognite e di sfide. Ma ricchissima di opportunità. Nessun’altra generazione di giornalisti ha conosciuto una così profonda rivoluzione del modo di scrivere, raccontare, produrre e distribuire l’informazione. A noi spetta scegliere se essere protagonisti o comparse, innovatori o sopravvissuti. Io, nel ringraziarvi per l’attenzione, devo dirvi che non ho dubbi su quale sarà la vostra scelta. Grazie.
In http://www.ilpost.it/2012/05/05/ferruccio-de-bortoli-fa-un-bilancio/3/