Milano, 20 giugno 2012. “Gentile Presidente Monti, con la direttiva comunitaria 89/48/Cee (dlgs 115/1992 oggi assorbito nel dlgs 206/2007), l’Europa ha deciso che i professionisti “regolamentati” debbano avere almeno una laurea triennale e sostenere una “prova attitudinale” (equivalente all’esame di Stato previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione). Il dlgs 277/2003 (direttiva 2001/19/CE) e 206/2007 (direttiva 2005/36/CEi) dicono che la professione giornalistica (italiana), - organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine e l’Albo (come vuole l’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 della Consulta) -, ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea. Il sistema ordinistico italiano, relativo ai giornalisti, è compatibile con la Ue in quanto nella definizione di «professione regolamentata» (data dall’art. 4/a del dlgs 206/2007) rientra “l'attività, o l'insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità”. L'accertamento delle “specifiche professionalità” è collegata all’esame di Stato che anche il dlgs 206/2007 definisce “prova attitudinale”, Secondo l’articolo 4/h di questo dlgs la «prova attitudinale» significa “un controllo riguardante esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente effettuato dalle autorità competenti allo scopo di valutare l'idoneità del richiedente ad esercitare una professione regolamentata”.
La direttiva 89/48/CEE per prima ha introdotto (con l’articolo 2/bis del dlgs 115/1992) la definizione di professione "regolamentata" recuperata oggi dall’articolo 1/a del dpr “Severino” (si vedano Lo schema del decreto e le osservazioni dell’Odg): “qualsiasi formazione direttamente orientata all'esercizio di una determinata professione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un'università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine”. La direttiva (recepita nel dlgs 115/1992 oggi assorbito nel dlgs 206/2007) in conclusione ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva 89/48/CEE sono stati realizzati dalla Repubblica Italiana con la Riforma universitaria 1999/2000/2005 e con il contestuale collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999) delle lauree (triennali) e delle lauree biennali specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate organizzate con l’Ordine (o con il Collegio) e con l’esame di Stato. Tra le professioni regolamentate rientra quella di giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968; 2/1971; 71/1991; 505/1995 e 38/1997 della Corte Costituzionale) alla quale si accede tramite esame di Stato al pari delle altre. “La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma dell’art. 33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che l’esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite ed ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29 in parere n. 2228 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso nell’adunanza 13 marzo 2002). La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 - (nella causa C-285/00 contro la Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa europea per il riconoscimento della professione di psicologo) - ha stabilito che “la direttiva 89/48/CEE va applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le quali l’accesso o l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di un diploma universitario della durata minima di tre anni”. Questa sentenza rilancia l’applicazione del comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999, che collega l’esame di Stato delle professioni regolamentate al sistema nazionale delle lauree. Le sentenze di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea integrano tanto la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati membri come afferma la sentenza n. 389/1989 della Corte costituzionale: “Poiché ai sensi dell'art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative”. “Le sentenze di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea integrano tanto la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati membri” (Cons. Stato, Sez. I, 09/04/1997, n. 372; fonte Cons. Stato, 1998, I, 1856).
La Repubblica Italiana ha recepito in maniera parziale la direttiva n. 89/48/CEE (assorbita nel Dlgs n. 115/1992), non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica nell’Allegato A del Dlgs n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale universitario (o laurea breve) in Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come “riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur avendone la facoltà in base all’articolo 11 (punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non ha modificato o integrato (“con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri”) detto Allegato A, “tenuto conto delle disposizioni vigenti o sopravvenute”, abrogando i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 33 della legge n. 69/1963, i quali non stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo per chi intende accedere alla professione giornalistica. Solo nel 2003, con il dlgs 277 ancora oggi in vigore, la Repubblica italiana ha compiuto verso la professione di giornalista un atto di riparazione sostanziale, modificando la tabella delle professioni (allegato C) e dandole così cittadinanza piena nella Ue. Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha dato attuazione alla direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali. L’allegato II (di cui all'art. 2, comma 1, lettera l) del dlgs 277/2003 cita espressamente la professione di giornalista come vigilata dal Ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003 ha anche sostituito l’allegato C del dlgs 319/1994 (oggi assorbito nel dlgs 206/2007). Il dlgs 277/2003 in sostanza dice, con l’allegato II (ex allegato C), che la professione giornalistica (italiana), - organizzata con l’Ordine e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 della Consulta) -, ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea.
Il sistema ordinistico italiano è stato rafforzato con il varo della direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà” assorbita nel dlgs 206/2007) sulle qualifiche professionali. La stessa consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. La normativa riguarda sia il lavoro subordinato che autonomo,
La direttiva “Zappalà” (assorbita nel dlgs 206/2007) riconosce e definisce la specificità delle professioni liberali. La specificità si concretizza nella personalità, nella responsabilità individuale e nell'indipendenza di chi svolge una professione liberale. Il professionista svolge prestazioni di natura intellettuale (distinte da quelle esecutive), nell'interesse del cliente e della collettività.
Le professioni liberali, proprio perché perseguono l'interesse generale, possono essere esonerate dalla disciplina tipica di chi pratica il commercio e l'industria, come la libera concorrenza, purché ciò avvenga nei limiti di quanto è strettamente necessario a tali obiettivi. In questo quadro, gli Stati Ue potranno prevedere regole che pongono limiti all'esercizio della professione, stabiliti per legge ma anche attraverso codici di autoregolamentazione degli organismi professionali.
La direttiva consente la valorizzazione degli Ordini (o delle associazioni laddove esse siano chiamate a svolgere funzioni analoghe dagli ordinamenti nazionali). Infatti, gli Stati possono delegare questi organismi a svolgere competenze che la direttiva lascia alla competenza nazionale. In realtà la direttiva non fa che prendere atto della situazione esistente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni a organismi autonomi. Tuttavia, la direttiva non prevede alcun obbligo di riconoscimento delle associazioni se non per quelle britanniche e irlandesi tassativamente elencate. La professione esercitata dagli iscritti è assimilata alle professioni regolamentate e le associazioni sono ora sottoposte agli obblighi in materia di riconoscimento e iscrizione. In questo modo le associazioni britanniche e irlandesi non potranno più rifiutare l'iscrizione ai cittadini di altri Paesi Ue, obiettando che la professione può essere esercitata da un cittadino di un altro Paese Ue senza riconoscimento perché non regolamentata. La legittimazione degli organismi rappresentativi delle professioni non ha rilievo solo a livello nazionale ma anche europeo.
In contrasto con le direttive della Ue, il suo Governo, con il dpr “Severino”, rende non obbligatoria la laurea per l’accesso al giornalismo professionale. Basterà, come oggi, la quinta elementare. Non cambia nulla: siamo figli di un dio minore". L’articolo 6 (comma 2) del Dpr afferma: “Ai fini dell'iscrizione nel registro dei praticanti è necessario aver conseguito la laurea o il diverso titolo di istruzione (quinta elementare per i giornalisti ex art. 33 della legge 69/1963, ndr) previsti dalla legge per l’accesso alla professione regolamentata, ferme restando le altre disposizioni previste dall’ordinamento universitario”. A questo punto la diversità dei giornalisti rispetto agli altri professionisti italiani espone la categoria al ridicolo. E’ meglio abolire l’Ordine e adottare la soluzione francese: la ‘Carta di giornalista’ a chi fa sul campo il giornalista in base ai contratti individuali di lavoro. Basta la tutela sindacale. E’ evidente la inutilità dei master universitari biennali in giornalismo a meno che non vengano democraticamente aperti anche a chi possiede la licenza elementare”.
L’articolo 33 della legge 69/1963 a sua vota dice: “Per l'iscrizione nel registro dei praticanti è necessario altresì avere superato un esame di cultura generale, diretto ad accertare l'attitudine all'esercizio della professione. Tale esame dovrà svolgersi di fronte ad una Commissione, composta da 5 membri, di cui 4 da nominarsi da ciascun Consiglio regionale o interregionale, e scelti fra i giornalisti professionisti con almeno 10 anni di iscrizione. Il quinto membro, che assumerà le funzioni di presidente della Commissione, sarà scelto fra gli insegnanti di ruolo di scuola media superiore e nominato dal provveditore agli studi del luogo ove ha sede il Consiglio regionale o interregionale. Le modalità di svolgimento dell'esame saranno determinate dal regolamento. Non sono tenuti a sostenere la prova di esame, di cui sopra, i praticanti in possesso di titolo di studio non inferiore alla licenza di scuola media superiore”. Non affrontano la prova di cultura generale quanti hanno un diploma (un diploma qualsiasi). Chi ha la quinta elementare o la terza media sostiene l’esame di culturale generale il cui superamento dà il diritto all’iscrizione nel Registro dei praticanti.
Gentile Presidente, la nostra Ue vuole, quindi, che i professionisti abbiano almeno una laurea triennale alle spalle. Perché il suo Governo, con il dpr “Severino”, afferma che i giornalisti professionisti italiani possono essere tali anche con la quinta elementare? Il suo Governo umilia i giornalisti e li fa diversi rispetto a tutti gli altri professionisti privandoli di percorsi formativi universitari necessari per comprendere le realtà complesse del mondo del XXI secolo. Lei è un convinto europeista: è concepibile che non applichi le direttive comunitarie sul punto a una categoria professionale? Le direttive comunitarie non prevalgono sulle leggi ordinarie italiane e, quindi, anche sulla legge ordinistica 69/1963 utilizzata callidamente dalla ministro Severino per negare la formazione universitaria ai giornalisti? L’assunto (articolo 6, comma 2, del dpr) della Severino è semplice: devono conseguire la laurea coloro che intendono accedere a un Albo per il quale già oggi la legge prevede l’indispensabilità della laurea. La legge professionale dei giornalisti non prevede tale vincolo e quindi per i giornalisti futuri non c’è obbligo di conseguire una laurea per iscriversi al Registro dei praticanti. La ministra Severino, avvocato, finge di non conoscere il diritto comunitario e la prevalenza delle direttive comunitarie sulla normativa interna degli Stati. Mi lasci dire, Gentile Presidente, che la ministra dimostra una inspiegabile ignoranza che offende l’intelligenza degli italiani. Le dia una girata da maestro del diritto comunitario.
Frattanto il dpr Severino è all’esame del Consiglio di Stato. La II sezione della massima autorità giudicante amministrativa della Nazione con il parere n. 2228 (il cui ricorso iniziale è stato rubricato con il n. 4448/201) emesso nell’adunanza 13 marzo 2002 ha scritto: “La natura professionale dell’attività giornalistica trova, d’altronde, conforto dal combinato dispositivo dall’art. 1, comma 3 e dell’art. 2, del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni) e nel decreto MURST del 28 novembre 2000. La prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione”. Il Consiglio di Stato non smentirà se stesso: la formazione universitaria, come vuole la Ue, si addice ai giornalisti (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1371).
Accolga i miei rispettosi saluti,
Franco Abruzzo
presidente emerito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia”.
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Le direttive comunitarie richiamate nell’articolo
1. Testo in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=9395
Direttiva 89/48/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (Gazzetta ufficiale n. L 019 del 24/01/1989 pag. 0016 – 0023).
2. Testo in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=6200
Dlgs 2 maggio 1994 n. 319. Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE.
3. Testo in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5258
Dlgs 8 luglio 2003 n. 277. Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico.
4. Testo in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1403
D.Lgs. 9 novembre 2007 n. 206. Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania.
5. D.Lgs. 9 novembre 2007 n. 206. Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania. (In http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1403)
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La riforma delle PROFESSIONI - di Franco Abruzzo
Testo in www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=8979
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