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Stampa

Il Parlamento non può legiferare
in contrasto con le sentenze
del Tribunale di Strasburgo
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Corte dei diritti dell'uomo:
giustificata la divulgazione
di notizie di interesse generale.

Intercettazioni pubblicabili

Niente sequestro del materiale che viene utilizzato dai giornalisti - PIÙ TUTELE - La pronuncia, resa su un caso verificatosi in Francia, impedisce agli inquirenti di cercare con mezzi invasivi la fonte delle informazioni
di Marina Castellaneta - Il Sole 24 Ore 30/6/2012
IN CODA/ DIRITTI FONDAMENTALI DI LIBERTÀ: LA CEDU SEMPRE PIÙ PRESENTE E CONDIZIONANTE. Ha valore vincolante l’interpretazione che della Convenzione dà esclusivamente la Corte di Strasburgo. Se il giudice nazionale non si adegua può solo sollevare questione di costituzionalità.

di Franco Abruzzo, consigliere e già presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.

La pubblicazione integrale delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche e di documenti coperti da segreto istruttorio rientra nel diritto del giornalista a pubblicare notizie di interesse generale. Con un evidente rafforzamento del diritto di cronaca e della libertà con cui i cronisti possono affrontare le indagini giudiziarie e il loro svilupparsi e la relativa tutela delle fonti di informazione. Di conseguenza, le autorità nazionali non possono sequestrare supporti informatici e documenti del giornalista né procedere a perquisizione "massicce" e spettacolari nella redazione e nell'abitazione con il solo obiettivo di scoprire la fonte del reporter. L'indicazione, che si inserisce in un dibattito sempre acceso in materia di intercettazioni, arriva dai giudici europei. I principi sono stati, infatti, stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza del 28 giugno (Ressiot e altri contro Francia) che contribuisce a rafforzare la tutela delle fonti dei giornalisti. Che - ha precisato Strasburgo - non è un semplice privilegio concesso al cronista, ma è un diritto indispensabile alla libertà di stampa affinché la collettività sia informata su questioni scottanti. Con precisi limiti per le autorità inquirenti che non possono intervenire con mezzi invasivi utili a scoprire l'autore di fughe di notizie. Anche perché, per la Corte, nel bilanciamento dei vari interessi in gioco, è prioritaria la tutela della libertà di stampa, essenziale in una società democratica.


Alla Corte europea si erano rivolti alcuni giornalisti francesi che su «Le Point» e «L'Équipe» avevano pubblicato notizie su un'inchiesta relativa all'uso del doping nel ciclismo.


Di qui l'apertura dell'indagine: gli inquirenti volevano scoprire chi aveva trasmesso documenti ai giornalisti e avevano così ordinato la perquisizione e il sequestro di materiale cartaceo e informatico disponendo anche intercettazioni telefoniche delle utenze dei giornalisti.


Una flagrante violazione della Convenzione europea che assicura il diritto alla libertà di espressione (articolo 10). È vero – riconosce la Corte europea dei diritti dell'uomo – che i giornalisti nell'esercizio di questo diritto, non hanno un piena e totale libertà di agire, hanno precise responsabilità e devono tener conto del diritto alla presunzione d'innocenza, ma le autorità inquirenti non possono intervenire violando il diritto dei reporter a tutelare le proprie fonti.


Poco importa se le indagini non hanno poi determinato l'individuazione delle fonti. Basta l'adozione di misure nei confronti dei giornalisti a produrre un chiaro effetto limitativo del diritto alla libertà di stampa.


La tutela delle fonti - osserva Strasburgo - non è un semplice privilegio da accordare a seconda della liceità o dell'illiceità della fonte, ma un elemento essenziale della libertà di stampa. Tanto più che le perquisizioni nel giornale erano state svolte in modo "spettacolare" incidendo sugli altri reporter presenti in redazione. In pratica, gli interventi dell'autorità giudiziaria sono stati percepiti «come una minaccia potenziale per il libero svolgimento della professione».


Di qui la condanna alla Francia, che è stata obbligata anche a pagare le spese processuali che erano state sostenute dai giornalisti (circa 45mila euro per i 5 ricorrenti).


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DIRITTI FONDAMENTALI DI LIBERTÀ: LA CEDU  SEMPRE PIÙ PRESENTE E CONDIZIONANTE.


di Franco Abruzzo, consigliere e già presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.


La libertà di stampa, il segreto professionale dei giornalisti e il diritto dei cittadini all’informazione sono considerati e “vissuti” come diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.  Questi principi sono salvaguardati, non solo dall’articolo 21 della Costituzione, quanto anche  dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU). L’articolo 10 (Libertà di espressione), - ripetendo le parole della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e anticipando il  Patto sui diritti politici di New York del 1966 -,  recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiere”. La libertà di ricevere le informazioni comporta, come ha scritto la Corte di Strasburgo, la protezione assoluta  delle fonti dei giornalisti.


Il diritto di cronaca non è un privilegio dei giornalisti, ma un diritto fondamentale di ogni cittadino europeo, del suo "conoscere per deliberare". Le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ripetono, con costanza e coerenza, che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi (Jérôme Dupuis et Jean-Marie Pontaut  c. Francia),  autori di un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie (intercettazioni) coperte dal segreto. Una sentenza (rafforzata dalla sentenza Ressiot del 28/6/2012) valida oggi in italia dove si discute di bavagli all’informazione in tema di intercettazioni.


In due sentenze del 2005 e del 2008  (Pakdemirli c. Turchia e Riolo c. Italia) la Corte ha messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione. Le  sanzioni pecuniarie sproporzionate tolgono la  libertà di espressione a chi viene condannato. La  Corte, inoltre, ha detto no al carcere per il reato di diffamazione: il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare, con effetti negativi sulla collettività che ha, a sua volta, il diritto di ricevere informazioni.


La libertà dei giornalisti implica la facoltà di utilizzare una certa dose di esagerazione e, persino, di provocazione. Quanto al tono polemico e addirittura aggressivo dei giornalisti, oltre al contenuto delle idee e delle informazioni, l'articolo 10 tutela anche il loro modo di espressione (Caso Bladet Troms e Stensaas/Norvegia). Concetto ribadito in due altre sentenze: al giornalista deve essere concessa «una certa dose di esagerazione e di provocazione», soprattutto nei giudizi di valore (Kydonis v. Grecia; Riolo v.. Italia).


Forzare i titoli si può, rientra nella libertà  di stampa e non ci può essere condanna (Gutiérrez Suárez-direttore di Diario 16 v. Spagna, ricorso 16023/07)


Che peso hanno le sentenze di Strasburgo nel sistema giudiziario italiano? “Il giudice nazionale deve tener conto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ai fini della decisione, anche in corso di causa, con effetti immediati e assimilabili al giudicato”: è quanto stabilito dalla Corte di cassazione (terza sezione civile) con la sentenza n. 19985 del 30 settembre 2011,  che precisa: “In via generale, va ribadito l'orientamento di questa Corte circa l'immediata rilevanza nel nostro ordinamento delle norme della suddetta Convenzione (art. 6) e circa l'obbligo per il giudice dello Stato di applicare direttamente la norma pattizia (Cass., S.U., n. 28507/05), anche quando essa non sia conforme al diritto interno, alla sola condizione che la sua interpretazione superi il doveroso controllo secundum constitutionem. Le norme convenzionali, infatti, fanno sistema con l'art. 2 Cost., fonte assiologica interna, in quanto i diritti riconosciuti dalla Convenzione sono inviolabili perchè funzionali alla dignità di ogni persona, per cui il giudice deve tener presenti, in modo congiunto ed integrativo, i diritti costituzionalmente garantiti e i diritti convenzionalmente protetti,,,,, La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, una volta divenuta definitiva ai sensi dell'art. 44 della CEDU, ha effetti precettivi immediati assimilabili al giudicato e, in quanto tale, deve essere tenuta in considerazione dall'organo dello Stato che, in ragione della sua competenza, è al momento il destinatario naturale dell'obbligo giuridico, derivante dall'art. 1 della CEDU, di conformare e di non contraddire la sua decisione al deliberato della Corte di Strasburgo per la parte in cui abbia acquistato autorità di cosa giudicata in riferimento alla stessa "quaestio disputanda" della quale continua ad occuparsi detto organo”.


La Convenzione deve il suo successo  al fatto di fondarsi su un sistema di ricorsi – sia da parte degli Stati contraenti sia da parte dei singoli cittadini -  in grado di assicurare un valido controllo in ordine al rispetto dei principi fissati dalla Convenzione stessa. La  Corte europea dei diritti dell'uomo è in sostanza un tribunale  internazionale istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali al quale può essere proposto ricorso  per la violazione di diritti e libertà garantiti dalla Convenzione sia dagli Stati  contraenti sia dai cittadini dei singoli Stati. Prima della entrata in vigore del Protocollo n. 11 (1° novembre 1998) il meccanismo di tutela per la violazione dei diritti garantiti dalla convenzione era assicurata da una Corte omonima e dalla Commissione europea dei diritti dell'uomo (operanti da oltre 40 anni). Tutte le fasi del  procedimento sono svolte oggi nell'ambito della nuova Corte unica. Anche le funzioni istruttorie, già attribuite alla Commissione, vengono svolte all'interno della Corte stessa. La nuova istituzione continuerà ad assicurare un doppio grado di giudizio. In prima istanza spetta a una "Camera ristretta"  della Corte (formata da 7 giudici) esaminare la ricevibilità del ricorso, esperire i tentativi di conciliazione amichevole e, in ultima analisi, decidere della controversia. Avverso la sentenza della "Camera piccola" potrà essere presentato appello alla  "Grande Camera" (formata da 17 giudici). Un'ulteriore differenza rilevante con la vecchia procedura è rilevabile dal fatto che la sentenza della "Camera ristretta" della Corte sarà immediatamente vincolante per le parti, facendo scomparire qualsiasi intervento del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa.


Non solo gli articoli della Convenzione  quant’anche le sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo, che della prima è diretta emanazione, sono vincolanti per gli Stati contraenti. «Le Alte Parti contraenti – dice l’articolo 46 della Convenzione – si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive  della Corte nelle controversie nelle quali sono parti». Va detto anche che gli articoli della Convenzione operano e incidono unitamente alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo ne dà attraverso le sentenze. Le sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese. «La portata e il significato effettivo delle disposizioni della Convenzione  e dei suoi protocolli non possono essere compresi adeguatamente senza far riferimento alla giurisprudenza. La giurisprudenza  diviene dunque, come la Corte stessa ha precisato nel caso Irlanda contro Regno Unito (sentenza 18 gennaio 1978, serie A n. 25, §  154) fonte di parametri interpretativi che oltrepassano spesso i limiti del caso concreto e assurgono a criteri di valutazione del rispetto, in seno ai vari sistemi giuridici, degli obblighi derivanti  dalla Convenzione….i criteri che hanno guidato la Corte in un dato caso possono trovare e hanno trovato applicazione, mutatis mutandis, anche in casi analoghi riguardanti altri Stati» (Antonio Bultrini, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo: considerazioni introduttive, in Il Corriere giuridico,  Ipsoa, n. 5/1999, pagina 650).


D’altra parte, dice l’articolo 53 della Convenzione,  «nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Paese contraente o in base ad ogni altro accordo al quale tale Parte contraente partecipi». Vale conseguentemente, con valore vincolante, l’interpretazione che della Convenzione  dà esclusivamente la Corte di Strasburgo. Non a caso il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione R(2000)7 sulla tutela delle fonti dei giornalisti, ha scritto testualmente: «L'articolo 10 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, s'impone a tutti gli Stati contraenti». Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo: ”I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo” (in Fisco, 2001, 4684). Questo assunto è condiviso pienamente dalla  Corte costituzionale: le sentenze di Strasburgo hanno un peso ineludibile  nel sistema giudiziario italiano. Si legge nella sentenza 39/2008 della Consulta: “Questa Corte, con le recenti sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato, tra l'altro, che, con riguardo all'art. 117, primo comma, Cost., le norme della CEDU devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi…Gli Stati contraenti  sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo)”.


Dal 1°  dicembre 2009 la Carta dei diritti fondamentali della Ue e  la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) fanno parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona) e sono direttamente applicabili dai giudici e dalle autorità amministrative italiani. Dice l’articolo 6 della Costituzione europea:


1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.


Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati.


I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.


2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.


3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.





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