Al giornalista “di fatto” spetta anche il “danno pensionistico”
In tema di rapporto di lavoro giornalistico ed in ipotesi di persona non iscritta all'Albo professionale, la nullità del contratto (per violazione di legge), in quanto non deriva da illiceità dell'oggetto o della causa, "ex" art. 2126 c.c. non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Ne consegue che la prestazione di fatto di lavoro obiettivamente giornalistico produce - al pari del rapporto di lavoro che sia stato costituito validamente - l'insorgenza non solo del diritto al trattamento economico e normativo, previsto in relazione alla qualifica corrispondente alle mansioni in concreto esercitate, ma anche il diritto al risarcimento dei danni ("ex" art. 2116 c.c., secondo comma), per la mancata contribuzione previdenziale, in dipendenza della costituzione automatica del rapporto contributivo che discende dalla prestazione di fatto - come dal rapporto validamente costituito - di lavoro subordinato, nella specie giornalistico. Ne consegue altresì che gli effetti delle prestazioni di fatto di lavoro giornalistico vanno posti a carico del datore di lavoro per il solo fatto che lo stesso ha utilizzato quelle prestazioni, a prescindere dalla imputabilità, a colpa del medesimo datore, dell'omessa iscrizione dei lavoratori all'Albo. In tal caso, il danno da mancata contribuzione previdenziale (cosiddetto "danno pensionistico") non può che essere commisurato al trattamento pensionistico, a carico dell'Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "G. Amendola" (I.N.P.G.I.), che sarebbe spettato in dipendenza della valida costituzione del rapporto di lavoro, parimenti giornalistico, e della regolare contribuzione previdenziale, che ne consegue, al medesimo Istituto. (Cass. civ., sez. lavoro, 03/01/2005, n.28 – FONTE Mass. Giur. It., 2005 - CED Cassazione, 2005; RIFERIMENTI NORMATIVI CC Art. 2103; CC Art. 2116; CC Art. 2126).
La subordinazione dei giornalisti
Nel lavoro giornalistico la subordinazione si configura quando il lavoratore si tiene stabilmente a disposizione dell’editore anche negli intervalli fra una prestazione e l’altra. I caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato sono costituiti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro (con conseguente limitazione della sua autonomia); e tali caratteri sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi assumere aspetti ed intensità diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni esercitata od al contenuto (più o meno intellettuale e/o creativo) della prestazione pattuita. Con riguardo al lavoro giornalistico, l’inserimento nell’organizzazione aziendale e l’assoggettamento al potere datoriale si manifestano nel fatto che il lavoratore si tenga stabilmente a disposizione dell’editore, per eseguire le istruzioni, anche negli intervalli tra una prestazione e l’altra (Cassazione Sezione Lavoro n. 18660 del 23 settembre 2005, Pres. Mattone, Rel. Cuoco).
Ogni ingiusta lesione di un valore inerente alla persona può costituire danno non patrimoniale risarcibile anche se non si accerti l’esistenza di un reato.
Vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca soltanto quando vengano rispettate le seguenti condizioni: A) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; verità che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false (in tutto od in parte rilevante); B) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica (e quindi tra l’altro l’assenza di termini esclusivamente insultanti); C) la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione.
Il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione alla reputazione non richiede che la responsabilità dell’autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale, in quanto l’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2059 Cc (Corte cost., sentenza n. 233 del 2003) comporta che il riferimento al reato contenuto nell’art. 185 Cp comprende tutte le fattispecie corrispondenti nella loro oggettività all’astratta previsione di una figura di reato; inoltre il danno non patrimoniale non può essere identificato soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo transeunte, determinati dal fatto illecito integrante reato, ma va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 Cp. (Cassazione Sezione Terza Civile n. 20205 del 19 ottobre 2005, Pres. Duva, Rel. Talevi).
Prima di pubblicare una notizia, il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonte informativa a meno che essa provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria.
Il potere-dovere di raccontare accadimenti reali per mezzo della stampa, in considerazione del loro interesse per la generalità dei consociati, essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, per esser legittimo, secondo la consolidata giurisprudenza, civile e penale, deve osservare le seguenti condizioni: a) la verità della notizia pubblicata; b) l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); c) la correttezza formale dell'esposizione (c.d. continenza). Quanto al primo requisito soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia di esso soddisfa all'interesse pubblico dell'informazione e cioè alla ratio dell'art. 21 Cost., e riporta l'azione nel campo dell'operatività dell'art. 51 c.p., rendendo non punibile, nel concorso dei requisiti della pertinenza e della continenza, l'eventuale lesione della reputazione altrui. Perciò, se il presupposto dell'esistenza del diritto di cronaca è il principio della verità, che ne legittima l'esercizio - come sancito dall'art. 2, comma 1 dell'art. 2 della legge professionale 3.2.1963 n. 69, che esige il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri di lealtà e di buonafede - ne consegue che il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonte informativa, a meno che essa provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato.
Pertanto, se egli pubblica una vicenda non vera e lesiva della reputazione altrui - diritto anch'esso costituzionalmente protetto dagli artt. 2 e 3 della costituzione - è responsabile dei danni derivanti dal reato di diffamazione a mezzo stampa a meno che non provi l'esimente di cui all'art. 59, ultimo comma, cod. pen. e cioè la sua buona fede (c.d. verità putativa del fatto), che non sussiste per la mera verosimiglianza dei fatti narrati, ma necessita che egli dimostri sia i fatti e le circostanze che hanno reso involontario l'errore, sia di aver controllato con ogni cura professionale - da rapportare alla gravità della notizia e all'urgenza di informare il pubblico - la fonte della notizia, assicurandosi della sua attendibilità, al fine di vincere ogni dubbio ed incertezza prospettabili in ordine alla verità dei fatti narrati. Viceversa l'affidamento riposto sulla fonte informativa non ufficiale è a suo rischio, perché egli ha il dovere di non appagarsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative senza esplicare alcun controllo, altrimenti le diverse fonti propalatrici delle notizie, attribuendosi reciproca credibilità, finirebbero per rinvenire l'attendibilità in sé stesse. (Cassazione Sezione Terza Civile n. 2271 del 4 febbraio 2005, Pres. Vittoria, Rel. Chiarini).
(da: http://www.legge-e-giustizia.it)
La valutazizone del titolo autonoma rispetto all’articolo
In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, presupposto per l'applicabilità della esimente dell'esercizio del diritto di cronaca è la continenza del fatto in esso, intesa in senso sostanziale (i fatti narrati debbono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva) e formale (l'esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, nel senso che deve essere contenuta negli spazi strettamente necessari), potendosi configurare una violazione del canone della continenza formale anche sulla base della considerazione autonoma del titolo di un articolo giornalistico rispetto al testo dell'articolo stesso. (Cass. civ. Sez. III, 05-04-2005, n. 7063; B.R. c. Editoriale Quotidiani s.r.l.; FONTI Danno e Resp., 2005, 792).