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Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2006 il Decreto Legislativo 106/2006 in materia di riorganizzazione dell'ufficio del Pubblico ministero.

GIUSTIZIA/La riforma punta a ridurre le “fonti”
dei giornalisti e a tenere cucite le bocche dei Pm

I rapporti con la stampa saranno tenuti “personalmente” dal Procuratore della Repubblica “ovvero tramite un magistrato dell'ufficio appositamente delegato”. “Ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all'ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento”. I magistrati, in contrasto con questa disposizione, saranno perseguiti disciplinarmente.
……………………………………
INDICE
1. Premessa. Il Procuratore della Repubblica trasformato in un monarca assoluto in tema di diffusione delle notizie riguardanti il suo ufficio. La Costituzione messa in un angolo con il “taglio” delle fonti. Tipizzati gli illeciti disciplinari dei magistrati (diffidati dall’intrattenere rapporti con i cronisti).
2. Il diritto di cronaca (e di critica) ancorato a “notizie vere”. La cronaca giudiziaria e il limite del rispetto del principio della presunzione di non colpevolezza (o di innocenza). I nostri tribunali, nel verificare il rispetto del limite della verità, dovranno fare (fortunatamente) una valutazione sulla base di ciò che risulta “al momento in cui la notizia viene diffusa e non già secondo quanto viene successivamente accertato”.
2.1. Una volta venuto meno l’obbligo del segreto secondo le previsioni dell’articolo 329 Cpp non vi è limite alcuno alla pubblicazione e diffusione del contenuto dell’atto del procedimento così consacrandosi il diritto di cronaca su di esso
3. Conclusioni. Il rimedio sarà la riscoperta del giornalismo d’inchiesta. Diversi
……………………………………

di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, docente a contratto di “Diritto dell’informazione” presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e presso l’Università Iulm di Milano.


1.                Premessa. Il Procuratore della Repubblica trasformato in un monarca assoluto in tema di diffusione delle notizie riguardanti il suo ufficio. La Costituzione messa in un angolo con il “taglio” delle fonti. Tipizzati gli illeciti disciplinari dei magistrati (diffidati dall’intrattenere rapporti con i cronisti).


Tempi grigi per i giornalisti  a partire dal 18 giugno 2006  data dell’entrata in vigore del  Decreto Legislativo 106/2006 in materia di riorganizzazione dell'ufficio del Pubblico ministero (a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d, della legge 25 luglio 2005 n. 150). Sono in ballo, con questa “riforma”, le loro libertà fondamentali di mediatori tra i fatti e la gente. Le fonti vengono ridotte drasticamente.  La Corte costituzionale, con la sentenza 105/1972, ha scritto: L'interesse generale alla informazione, anch'esso indirettamente protetto dall'articolo 21 della Costituzione, implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporali, alla circolazione delle notizie e delle idee”.  Questo principio viene tradito e vilipeso dalla  “riforma”.


Suscita, infatti, pesanti perplessità anche di profilo costituzionale l’articolo 5 del dlgs 106/2006, che regola i rapporti  tra gli organi di informazione e i Magistrati delle Procure della Repubblica. Il Governo era stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi “diretti a riorganizzare l'ufficio del pubblico ministero".  L’articolo 5 del dlgs (Rapporti con gli organi di informazione) dice testualmente con fedele adesione alla delega:


1. Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell'ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione.


2. Ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all'ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.


3. È fatto divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio.


4. Il procuratore della Repubblica ha l'obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al comma 3.


Il Governo inoltre é delegato (articolo 1, comma 1,  lettera f ) ad adottare uno o più decreti legislativi  “diretti a individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione, nonché a modificare la disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio". Il  Governo  in  particolare  è autorizzato dalla riforma a vietare (art. 2,  6° comma, lettera c, punti 5, 6 e 8):


1) "i comportamenti che determinano la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione";


2) "la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione o sugli affari definiti quando è idonea a ledere diritti altrui";


3) "pubbliche dichiarazioni o interviste che sotto qualsiasi profilo riguardino i soggetti a qualsivoglia titolo coinvolti negli affari in corso di trattazione e che non siano stati definiti con sentenza passata in giudicato";


4) "il tenere rapporti in relazione all'attività del proprio ufficio con gli organi di informazione";


5) "il sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio";


6) "il costituire e l'utilizzare canali informativi riservati o privilegiati";


7) "il rilasciare dichiarazioni e interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura".


Non manca…una concessione (che è, invece, un diritto ovvio dei Pm e dei giudici). Non può dar luogo a responsabilità disciplinare “l'attività di interpretazione di norme di diritto in conformità all'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale".


Il  Governo infine  é delegato  (art. 2, 3° comma, lettera R punto 3) ad adottare uno o più decreti legislativi diretti  “a disciplinare la composizione, le competenze e la durata in carica dei consigli giudiziari, nonché  a istituire il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione". Il Governo dovrà "prevedere che al consiglio giudiziario vengano attribuite le seguenti competenze: ... vigilanza sul comportamento dei magistrati con obbligo di segnalare i fatti rilevanti ai titolari dell'azione disciplinare". I Consigli giudiziari funzionano in ogni distretto di Corte d’Appello.


Questa riforma della Giustizia, per quanto riguarda i giornalisti, è in netto e radicale contrasto con l’articolo 21 (II comma) della Costituzione. La Costituzione disegna una professione giornalistica libera, non soggetta ad autorizzazioni e censure. La Corte Costituzionale  con la sentenza n. 9/1965 ha scritto parole fondamentali  sull’impossibilità di porre limitazioni sostanziali alla libertà di manifestazione del pensiero: “La libertà di manifestazione del pensiero é tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle anzi che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com'é del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale. Ne consegue che limitazioni sostanziali di questa libertà non possono essere poste se non per legge (riserva assoluta di legge) e devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali, si rinvengano essi esplicitamente enunciati nella Carta costituzionale o si possano, invece, trarre da questa mediante la rigorosa applicazione delle regole dell'interpretazione giuridica”.


Il ruolo “monopolista” assegnato dal dlgs 106/2006 ai Procuratori della Repubblica  contrasta con i principi costituzionali richiamati.  La visione del legislatore è quella  del generalissimo Luigi Cadorna, quando l’Italia era impegnata nella prima mondiale: i giornali erano obbligati a pubblicare soltanto i bollettini del Comando supremo; potevano, però, scrivere articoli di colore sulla guerra. I giornali saranno costretti a pubblicare soltanto quel che dice il Procuratore capo della Repubblica novello Cadorna? Che accadrà se i giornali pubblicheranno notizie giudiziarie fuori dal canale ufficiale? Si apriranno inchieste a caccia del magistrato troppo loquace?  Avremo un’informazione  giudiziaria centralizzata e reticente?


Tutte le informazioni sulle attività dell'ufficio del Pm  dovranno essere attribuite impersonalmente allo stesso Ufficio. Che significa? I giornali dovranno  censurare i nomi dei magistrati, che si occupano delle singole inchieste? E se ciò non dovesse accadere?


Questa svolta non appare giustificata dall’evoluzione della giurisprudenza  sul diritto di cronaca giudiziaria, che cercheremo di riassumere nei passaggi essenziali.


2. Il diritto di cronaca (e di critica) ancorato a  “notizie vere”. La cronaca giudiziaria e il limite del rispetto del principio della presunzione di non colpevolezza (o di innocenza). I nostri tribunali,  nel verificare il rispetto del limite della verità,  dovranno fare (fortunatamente) una valutazione sulla base di ciò che risulta “al momento in cui la notizia viene diffusa e non già secondo quanto viene successivamente accertato”.


Una sentenza della Cassazione (Cassazione, 22 marzo 1999, n. 2842) ha capovolto le precedenti decisioni  del Tribunale di Roma e della Corte d’Appello stabilendo che la verità della notizia va valutata operando una verifica sull’esattezza, o meno, delle informazioni pubblicate in relazione ai provvedimenti adottati dall’ufficio del Pm, senza dover invece far riferimento al successivo esito delle indagini. La cronaca giornalistica delle attività di indagine del Pm non potrà ritenersi priva di obiettività, perché la cronaca si esaurisce nell’attività investigativa. In sostanza i nostri tribunali,  nel verificare il rispetto del limite della verità,  fanno una valutazione sulla base di ciò che risulta “al momento in cui la notizia viene diffusa e non già secondo quanto viene successivamente accertato, con la conseguenza che l’eventuale discrepanza tra i fatti narrati e  quelli realmente accaduti non esclude che possa essere invocato l’esercizio del diritto di cronaca”. Il giornalista nell’esercizio del diritto di cronaca deve pubblicare la notizia di un arresto e dei motivi che lo hanno determinato, anche se successivamente tali motivi risulteranno infondati: l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti di grande rilievo sociale, quali la perpetrazione di reati e l’attività di polizia giudiziaria è preminente rispetto al principio della presunzione di innocenza. Ogni notizia idonea ad indurre l’opinione pubblica ad attribuire, prima della condanna, un reato ad un persona in quanto relativa a fatti che la espongono ad un giudizio penale (denunce, querele, rapporti, arresti, ecc.) deve essere vera, ed avere un contenuto ed una forma tali da rendere avvertito il pubblico, quanto più è possibile in relazione alle circostanze del caso concreto, che la colpevolezza della persona accusata non può considerarsi ancora acquisita come un fatto certo e, quindi, evitare tutti quei particolari non ancora sicuramente accertati e tutte quelle espressioni, non strettamente indispensabili che tale certezza possono creare nel pubblico”. (Cass. pen., 7 marzo 1975, Vola, in Giust. civ., 1975, I, 972). Il cronista deve far salvo sempre il principio della presunzione di non colpevolezza (o di innocenza): “In tema di cronaca giudiziaria, la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste, ai fini della scriminante di cui all'art. 51 c.p., ogni qualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti. Il limite della verità deve essere restrittivamente inteso, dovendosi verificare la rigorosa corrispondenza tra quanto narrato e quanto realmente accaduto, perché il sacrificio della presunzione di innocenza non può esorbitare da ciò che sia necessario ai fini informativi. (Fattispecie in cui è stato ritenuto diffamatorio affermare, contrariamente al vero, che l'imputato era stato arrestato)” (Cass. pen. Sez.V 03-06-1998, n. 8036; Pendinelli; FONTI Cass. Pen., 1999, 2518, Giust. Pen., 1999, II, 529).


2.1. Una volta venuto meno l’obbligo del segreto secondo le previsioni dell’articolo 329 Cpp non vi è limite alcuno alla pubblicazione e diffusione del contenuto dell’atto del procedimento così consacrandosi il diritto di cronaca su di esso. Merita un cenno la sentenza del Gip milanese Andrea Manfredi (Ordine Tabloid, n. 7/1994, pag 12) che ha assolto con la formula più ampia due giornalisti  imputati del reato di diffamazione per aver pubblicato su “Panorama” del 4 ottobre 1992 i verbali d’interrogatorio d’un imputato di Tangentopoli. Scrive il Gip: “...Ciò sta a significare che una volta venuto meno l’obbligo del segreto secondo le previsioni dell’articolo 329 Cpp non vi è limite alcuno alla pubblicazione e diffusione del contenuto dell’atto del procedimento, così consacrandosi il diritto di cronaca su di esso, nel segno di un apprezzamento della prevalenza dell’interesse collettivo alla conoscenza delle vicende processuali e del controllo sociale della loro gestione, essenziale in un assetto ordinamentale ispirato a principi democratici... In definitiva, se l’articolista riporta il contenuto di atti del procedimento non più  coperti da segreto, e ciò fa legittimamente non travisandoli, non aggiungendovi commenti volti alla denigrazione incivile, con l’uso di espressioni gratuite ed offensive, mantenendosi nell’ambito della obiettività, come è da ritenere sia avvenuto nel caso in questione, la condotta appare pienamente scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca (giudiziaria), specie se esso attiene a vicende di sicuro interesse generale”.


3. Conclusioni. Il rimedio sarà la riscoperta del giornalismo d’inchiesta. Diversi osservatori hanno visto nell’innovazione normativa la vendetta di una certa classe politica a 13  anni di distanza dai fatti e dalle cronache di Tangentopoli. I sostituti procuratori, secondo questa vulgata,  devono finire nel limbo degli anonimi e non devono più figurare come pubblici protagonisti, mentre i giornalisti non dovranno avere la libertà di movimento di quei giorni. La maggioranza parlamentare, però, ha dimenticato che il Testo unico sulla privacy (Dlgs n. 196/2003) e il  Codice di deontologia sulla privacy autorizzano il trattamento delle notizie giudiziarie e quelle del Casellario giudiziale sia pure nell’ambito delle regole deontologiche della professione giornalistica. I cronisti saranno spinti a recuperare le tecniche del giornalismo di inchiesta e a condurre indagini parallele a quelle dei magistrati delle Procure. Il duello giornalisti-magistrati-politici non è finito. Anzi sta per ripartire con nuovo slancio. I giornalisti, dopo le sentenze Goodwin e Roemen, avranno il sostegno della Corte di Strasburgo, che tutela in maniera forte il loro segreto professionale e pone un divieto drastico alle perquisizioni.


 


……………


 


DECRETO LEGISLATIVO 20 febbraio 2006, n. 106 Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150. (GU n. 66 del 20-3-2006)


 


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;


Vista la legge 25 luglio 2005, n. 150, recante delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico;


Visti, in particolare, gli articoli 1, comma 1, lettera d), e 2, comma 4, della medesima legge n. 150 del 2005 che prevedono la riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero;


Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 14 ottobre 2005;


Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati, espressi in data 14 dicembre 2005 ed in data 20 dicembre 2005 e del Senato della Repubblica, espressi in data 29 novembre 2005, in data 7 dicembre 2005 ed in data 15 novembre 2005 a norma dell'articolo 1, comma 4, della citata legge n. 150 del 2005;


Ritenuto di conformarsi alla condizione formulata dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati relativamente alla soppressione del comma 2 dell'articolo 2, nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri in sede di deliberazione preliminare, nonché alla condizione formulata dalla stessa Commissione giustizia della Camera dei deputati in ordine all'articolo 1, comma 1;


Ritenuto di non recepire le condizioni formulate dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati relativamente all'articolo 1, comma 3, atteso che il potere di designazione del vicario, da parte del procuratore della Repubblica, ricomprende in sé anche il potere di revoca della designazione medesima e relativamente all'articolo 1, comma 4, atteso che la stessa previsione, contenuta nella legge di delegazione, della possibilità, per il procuratore della Repubblica, di "delegare" uno o più procuratori aggiunti o uno o più magistrati addetti all'ufficio perché lo coadiuvino nella gestione per il compimento di singoli atti, per la trattazione di uno o più procedimenti o nella gestione dell'attività di un settore di affari, non può avere riguardo, dato il significato giuridico del concetto di delega, che al trasferimento dell'esercizio di parte del potere rientrante nella competenza dal procuratore della Repubblica, soggetto delegante, ai soggetti delegati sopra indicati, mentre, d'altra parte, appare difficilmente ipotizzabile, specie nel contesto degli uffici di grandi dimensioni, che il procuratore della Repubblica possa in prima persona gestire l'intero ufficio cui è preposto, sia pure "coadiuvato" dai soggetti di cui sopra;


Esaminate le osservazioni formulate dalla Commissione affari costituzionali e dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica;


Preso atto del nulla osta espresso dalla Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati e del parere favorevole espresso dalla Commissione programmazione economica, bilancio del Senato della Repubblica;


Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 febbraio 2006;


Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;


E m a n a il seguente decreto legislativo:


 


Articolo 1. Attribuzioni del procuratore della Repubblica


1. Il procuratore della Repubblica, quale preposto all'ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell'azione penale e la esercita sotto la propria responsabilità nei modi e nei termini fissati dalla legge.


2. Il procuratore della Repubblica assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio. 3. Il procuratore della Repubblica può designare, tra i procuratori aggiunti, il vicario, il quale esercita le medesime funzioni del procuratore della Repubblica per il caso in cui sia assente o impedito ovvero l'incarico sia rimasto vacante.


4. Il procuratore della Repubblica può delegare ad uno o più procuratori aggiunti ovvero anche ad uno o più magistrati addetti all'ufficio la cura di specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di procedimenti ovvero ad ambiti di attività dell'ufficio che necessitano di uniforme indirizzo.


5. Nella designazione di cui al comma 3 e nella attribuzione della delega di cui al comma 4, il procuratore della Repubblica può stabilire, in via generale ovvero con singoli atti, i criteri ai quali i procuratori aggiunti ed i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o della delega.


6. Il procuratore della Repubblica determina:


a) i criteri di organizzazione dell'ufficio;


b) i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del suo ufficio, individuando eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato dell'ufficio;


c) le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica.


7. I provvedimenti con cui il procuratore della Repubblica adotta o modifica i criteri di cui al comma 6 devono essere trasmessi al Consiglio superiore della magistratura.


 


Articolo 2.  Titolarità dell'azione penale


1. Il procuratore della Repubblica è il titolare esclusivo dell'azione penale che esercita, sotto la sua responsabilità, nei casi, nei modi e nei termini stabiliti dalla legge, personalmente ovvero delegando uno o più magistrati addetti all'ufficio. La delega può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 70-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni.


2. Con l'atto di delega per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il delegato deve attenersi nell'esercizio della stessa. Se il delegato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con la delega, ovvero insorge tra il delegato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio della delega, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocarla; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il delegato può presentare osservazioni scritte; subito dopo la scadenza del termine il procuratore della Repubblica trasmette il provvedimento di revoca e le eventuali osservazioni al procuratore generale presso la Corte di cassazione; il provvedimento di revoca della delega e le eventuali osservazioni del delegato sono entrambi inseriti nei rispettivi fascicoli personali.


 


Articolo 3. Prerogative del procuratore della Repubblica in materia di misure cautelari


1. Il fermo di indiziato di delitto disposto da un procuratore aggiunto o da un magistrato dell'ufficio deve essere assentito per iscritto dal procuratore della Repubblica ovvero dal procuratore aggiunto o dal magistrato appositamente delegati ai sensi dell'articolo 1, comma 4.


2. L'assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegati ai sensi dell'articolo 1, comma 4, è necessario anche per la richiesta di misure cautelari personali e per la richiesta di misure cautelari reali.


3. Il procuratore della Repubblica può disporre, con apposita direttiva di carattere generale, che l'assenso scritto non sia necessario per le richieste di misure cautelari reali, avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero alla rilevanza del fatto per il quale si procede.


4. Le disposizioni del comma 2 non si applicano nel caso di richiesta di misure cautelari personali o reali formulate, rispettivamente, in occasione della richiesta di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziato ai sensi dell'articolo 390 del codice di procedura penale, ovvero di convalida del sequestro preventivo in caso d'urgenza ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale.


 


Articolo 4. Impiego della polizia giudiziaria delle risorse finanziarie e tecnologiche


1. Per assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo emanato in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera a) e 2, comma 1, lettera s), della legge 25 luglio 2005, n. 150.


2. Ai fini di cui al comma 1, il procuratore della Repubblica può definire criteri generali da seguire per l'impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti.


 


Articolo 5. Rapporti con gli organi di informazione


1. Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell'ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione.


2. Ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all'ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.


3. È fatto divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio.


4. Il procuratore della Repubblica ha l'obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al comma 3.


 


Articolo 6. Attività di vigilanza del procuratore generale presso la corte di appello


1. Il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale.


Articolo 7. Abrogazioni e modificazioni


1. Oltre a quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione della delega di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 25 luglio 2005, n. 150, sono abrogati, dalla data di acquisto di efficacia delle disposizioni contenute nel presente decreto:


a) gli articoli 7-ter, comma 3 e 72, secondo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni;


b) l'articolo 3 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.


2. All'articolo 109 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, dopo le parole: "del procuratore della Repubblica", sono aggiunte le seguenti parole: "ove non sia stato nominato un vicario".


 


Articolo 8. Decorrenza di efficacia


1. Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo sono efficaci a decorrere dal novantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


 





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