Massima-1. Foto raccapricciante e impressionante.
Il comune sentimento della morale cui fa riferimento l'art. 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47, richiamandosi al complesso di valori spirituali e sociali avvertiti come tali dalla comunità con immediatezza di consenso, si pone come limite interno all'esercizio del diritto di cronaca in quanto esprime il valore fondamentale del rispetto della persona e della dignità umana che trova protezione nell'articolo 2 della Costituzione e va a controbilanciare l'altro valore costituzionale espresso dall'articolo 21 della Costituzione su cui si fonda il diritto di cronaca. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che integrasse la fattispecie di cui all'art. 15 l. cit. che richiama l'art. 528 c.p. - salvo poi assolvere gli imputati per l'intervenuta prescrizione del reato - la condotta di due giornalisti e del direttore del relativo giornale i quali, essendo a conoscenza del contenuto di foto che mostravano la vittima dell'omicidio uccisa in modo raccapricciante ed impressionante, pubblicavano tali stampati a corredo dell'art. di commento dal titolo "Nella villa del delitto").
Nel merito la sentenza impugnata ha motivato in modo corretto e coerente in relazione al caso: "Le immagini della vittima dell'omicidio sono infatti tali da destare impressione e raccapriccio nell'osservatore di normale emotività, improntato ad impulsi di solidarietà umana, pietà per la defunta, rispetto per la sua spoglia, repulsione istintiva verso le ferite efferatamente impresse, senso di dignità della persona già uccisa in quel modo ed ulteriormente oltraggiata dalla pubblica ostensione del suo corpo, naturale esigenza di riservatezza verso l'intimità fisica personale rinforzata dalla condizione mortale del soggetto: insomma tutto, quel complesso di valori spirituali e sociali che, avvertiti come tali dalla comunità con immediatezza di consenso costituiscono quello che secondo l'art. 15 cit. è il comune sentimento della morale ed intende salvaguardare dal pericolo di turbamento insito in un particolare modo eccessivo e socialmente inadeguato dell'informazione, così rispecchiando valori costituzionali che controbilanciano il diritto alla libera manifestazione del pensiero e perciò costituiscono limiti interni all'esercizio del diritto medesimo….”. (Cass. pen. Sez. III, 27-04-2001, n. 23356 – Visto - FONTI Riv. Pen., 2001, 730).
Massima-2. Il corpo di Moro pubblicato dall’Europeo.
Nel reato previsto e punito dall'art. 15, l. 8 febbraio 1948, n. 47 non ha efficacia esclusiva del dolo né la finalità, o motivazione, della pubblicazione, né il dissenso, pur dichiarato contestualmente alla pubblicazione stessa (nella specie: trattavasi di foto dell'on. Moro, nudo all'obitorio, accompagnate da un articolo di commento contro la strage, nel quale venivano evidenziate le finalità di carattere storico della pubblicazione). (Cass. pen., 09-06-1982; Valentini; FONTI Cass. Pen., 1984, 417 nota di SALAZAR; Riv. Pen., 1983, 637).
Comitato nazionale di biotetica: “L’embrione umano va trattato con i criteri di rispetto e tutela che si debbono adottare verso una persona”.
Vale la pena ricordare il parere 22.6.96 del Comitato Nazionale di bioetica su “identità e statuto dell’embrione umano”, dove la riflessione è introdotta dalla domanda: “l'embrione umano è o no un individuo umano a pieno titolo?” ed è conclusa con la dichiarazione che “il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si debbono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone”.
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La sentenza integrale relativa alla massima-1.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
ha pronunciato la seguente SENTENZA
sul ricorso proposto da:
<C. L.> n. Roma 23/6/1958
<L. C.> n. Roma 17/3/1964
<M. M.> n. Milano 24/2/1939
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 25/5/1998.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. Amedeo Postiglione,
Udito il Pubblico Ministero in persona del dr. Antonio Siniscalchi
che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione,
Uditi i difensori Avv. Prof. Franco Coppi per <M.>; Avv. Armando Conti e Avv. Mario Geraci per <C.> e <L.>.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 25/5/1998, in parziale riforma di quella del Tribunale di Roma del 3/2/1995, condannava <M. M.>, <C. L.> e <L. C.> a mesi tre di reclusione e 300 mila di multa per il reato di cui all'art. 15 legge n. 47/48.
La Corte riteneva manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 della legge 8.2.1948 n. 47 - disposizioni sulla stampa - in relazione all'art. 25 della Costituzione, escludendo che la norma penale violi i principi di tassatività e determinatezza.
Nel merito la Corte riteneva che tutti gli imputati (il <M.> nella qualità di direttore del Settimanale "Visto", il <C.> e <C. L.>, quali autori dell'articolo) si erano resi responsabili del reato, perché, in concorso tra loro e con un pubblico ufficiale non identificato, avevano redatto e pubblicato un articolo sul n. 35, anno 3 del predetto settimanale, intitolato "Nella villa del delitto", corredandolo con tre fotografie a colori riproducenti le immagini del cadavere della contessa <A. F. Della T.>, cosi come era stata rinvenuta nella casa all'Olgiata nella immediatezza dell'omicidio, perpetrato il 10/7/1991, con particolari impressionanti e raccapriccianti delle tracce sul corpo e sugli indumenti, delle nudità del cadavere e delle modalità di esecuzione del delitto, tali da turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare.
Secondo la Corte l'elemento oggettivo del reato sarebbe stato integrato dalla peculiarità del caso, considerata la natura delle immagini ed il "carattere insistito e quasi martellato dell'intero articolo, foto più testo", non giustificato dal normale esercizio del diritto di cronaca.
Secondo la Corte il reato era ascrivibile a tutti gli imputati, perché le foto erano state certamente viste anche dagli autori dell'articolo, per il preciso e puntuale riferimento ad esse nel contenuto dell'articolo pubblicato sul settimanale.
Contro questa sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge, omessa ad erronea motivazione sotto vari profili:
a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 l. 47/48, in relazione agli artt. 3 e 25, 2° comma Costituzione può porsi, perché la norma penale opera un rinvio così generico e vago al concetto di comune sentimento della morale da rendere non solo difficile, ma impossibile definire l'oggetto giuridico che la norma intende tutelare;
b) nel caso in esame trattavasi di esercizio del diritto di cronaca e le immagini riproducevano un evento reale ed andavano valutate nel contesto dell'articolo pubblicato e non isolatamente, considerando anche l'elemento soggettivo degli autori della pubblicazione, che intendevano esecrare il delitto e rappresentarlo senza voler offendere il sentimento morale del pubblico;
c) doveva essere escluso il concorso nel reato dei due giornalisti (<L. C.> e <C. L.>), perché estranei alla condotta di fabbricazione, pubblicazione e diffusione, imputabili all'editore, che aveva fornito le foto incriminate.
Rileva la Corte che i ricorsi non possono essere accolti. Occorre premettere che con la sentenza n. 293/2000 la Corte Costituzionale ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (disposizione sulla Stampa), sollevata in riferimento agli artt. 3, 21 sesto comma e 25 della Costituzione.
La Corte di Cassazione condivide le argomentazioni della sentenza sopra indicata:
"L'art. 15 della legge n. 47 del 1948 dispone che si applichi l'art. 528 del codice penale ai fatti riguardanti gli "stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari".
La previsione penale esige, come elemento della fattispecie legale, che tali stampati siano formati in modo "da poter turbare il comune sentimento della morale o l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti". Essa è all'esame di questa Corte per indeterminatezza, violazione del principio di uguaglianza e indebita limitazione della libertà di stampa, ma soltanto nella parte in cui dispone che questi stampati siano idonei a "turbare il comune sentimento della morale".
L'art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema radiotelevisivo pubblico e privato dall'art. 30, comma 2, della legge 6 agosto 1990, n. 223, non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a "turbare il comune sentimento della morale". Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l'art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata.
Solo quando la soglia dell'attenzione della comunità civile è colpita negativamente e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall'intera collettività, scatta la reazione dell'ordinamento. E a spiegare e a dar ragione dell'uso prudente dello strumento punitivo é proprio la necessità di un'attenta valutazione dei fatti da parte dei differenti organi giudiziari, che non possono ignorare il valore cardine della libertà di manifestazione del pensiero. Non per questo la libertà di pensiero è tale da inficiare la norma sotto il profilo della legittimità costituzionale, poiché essa è qui concepita come presidio del bene fondamentale della dignità umana."
Non possono essere, perciò, accolte le pur pregevoli osservazioni sollevate dalla difesa di <M. M.>, perché è bensì vero che la descrizione dell'elemento materiale del fatto reato e della condotta é caratterizzata dal riferimento a concetti elastici affidati alla prudente valutazione del giudice nel caso concreto, ma non si può negare che nel nostro - come in altri ordinamenti - il legislatore possa rinviare a concetti, che evolvono secondo il costume sociale, ma attengono ad un bene giuridico reale, ossia il comune sentimento della morale e della dignità umana tutelata dall'art. 2 della Costituzione che l'esercizio del diritto di cronaca, pur pienamente legittimo in una società democratica ed aperta, deve salvaguardare come valore comune, non solo per un dovere di deontologia professionale ma - in casi estremi - per un dovere giuridico.
Nel merito la sentenza impugnata ha motivato in modo corretto e coerente in relazione al caso:
"Le immagini della vittima dell'omicidio sono infatti tali da destare impressione e raccapriccio nell'osservatore di normale emotività, improntato ad impulsi di solidarietà umana, pietà per la defunta, rispetto per la sua spoglia, repulsione istintiva verso le ferite efferatamente impresse, senso di dignità della persona già uccisa in quel modo ed ulteriormente oltraggiata dalla pubblica ostensione del suo corpo, naturale esigenza di riservatezza verso l'intimità fisica personale rinforzata dalla condizione mortale del soggetto: insomma tutto, quel complesso di valori spirituali e sociali che, avvertiti come tali dalla comunità con immediatezza di consenso costituiscono quello che secondo l'art. 15 cit. è il comune sentimento della morale ed intende salvaguardare dal pericolo di turbamento insito in un particolare modo eccessivo e socialmente inadeguato dell'informazione, così rispecchiando valori costituzionali che controbilanciano il diritto alla libera manifestazione del pensiero e perciò costituiscono limiti interni all'esercizio del diritto medesimo. Ciò posto non hanno alcun fondamento due specifiche argomentazioni del gravame: non quella che secondo l'interpretazione fatta propria dal Tribunale per l'integrazione del reato basterebbe la semplice fotografia di un cadavere, perché, mentre nessun raccapriccio può indurre la visione di una persona deceduta per cause naturali, qui si versa in una ipotesi ben diversa; e neppure quella secondo cui l'attuale bombardamento mediatico avrebbe indotto una tale assuefazione da far mutare il comune sentimento della morale, perché tale affermazione deve comunque misurarsi con la peculiarità del caso, e cioé con il "carattere insistito e quasi martellato che presenta l'intero articolo (foto più testo)".
Trattasi di valutazioni - sullo specifico caso concreto - che esulano dalla sfera del giudice di legittimità.
Egualmente incensurabile, perché correttamente motivata, è la decisione della Corte di Appello di Milano in ordine alla piena consapevolezza e volontarietà di tutti gli imputati (Direttori e giornalisti) di pubblicare un articolo integrato da fotografie estremamente crude sulla persona uccisa, fotografie che anche gli autori dell'articolo avevano visto.
Per la configurabilità del reato in oggetto non è necessario un dolo specifico, essendo sufficiente la consapevolezza e volontarietà della condotta.
Come è stato precisato nella sentenza impugnata per quanto riguarda la configurabilità dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen. in relazione all'art. 21 Costituzione è noto che il diritto di cronaca, come ogni diritto, si definisce per mezzo dei suoi stessi limiti, che consentono di precisarne il contenuto e di determinare l'ambito di esercizio. Tali limiti secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità (ad es. Cass. V, n. 7632 del 6/7/92, <M.>) sono costituiti tra l'altro dalla pertinenza del fatto narrato, e cioé dall'oggettivo interesse che il fatto riveste per l'opinione pubblica e dalla correttezza con cui il fatto viene esposto (cosiddetta continenza), essendo estraneo all'interesse sociale, che giustifica la discriminante in parola, ogni inutile eccesso.
Poiché dalla sentenza impugnata non emergono in modo evidente cause di non punibilità ex art. 129 cod. pen., ma anzi è stata motivata la penale responsabilità degli imputati, la Corte deve dichiarare estinto il reato perché è decorso il termine massimo di prescrizione (a partire dalla pubblicazione dell'articolo nell'agosto 1991).
Vanno, invece, confermate le statuizioni civili.
P.Q.M.
La Corte;
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili.
Così deciso in Roma il 27.4.2001.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 08 GIU. 2001