Il 16 settembre è ripreso alla Camera il dibattito, sospeso il 5 agosto, sulla riforma del reato di diffamazione. La proposta di legge, come si legge in “Ossigeno per l’informazione”, estende la normativa prevista per la stampa scritta ai giornali online registrati in Tribunale e ai notiziari radiotelevisivi ma non ai blog. La legge propone inoltre una funzione riparatrice della rettifica, che diventa causa di non punibilità penale. La richiesta dei danni in sede civile deve essere fatta entro due anni (e non entro 5 come accade oggi). È prevista inoltre l’abrogazione dell’articolo 12 della legge 47 del 1948, in base al quale la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione. Si concede inoltre al direttore responsabile di delegare il controllo delle notizie a redattori dei vari settori specificamente indicati. La discussione [LEGGI IL RESOCONTO] verte sul testo varato dalla Commissione Giustizia [LEGGI], , che ha come principale obiettivo l’eliminazione della pena detentiva per i giornalisti. Da più parti si afferma che la riforma sia timida, perché non tiene conto delle principali sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo, che è il giudice unico della relativa Convenzione (CEDU) oggi inglobata nella Costituzione europea e quindi vincolante per gli Stati della Ue. In sostanza eliminare il carcere è importante ma non è sufficiente per allineare l’Italia all’Europa. La riforma non affronta il tema delle perquisizioni. Le perquisizioni nelle redazioni e nell’abitazione di un giornalista sono contrarie alla CEDU. Il diritto di un giornalista “a non svelare la fonte non è un privilegio da concedere o ritirare a seconda della liceità o meno della fonte, ma è un elemento essenziale della libertà di espressione che non deve essere compresso per non incorrere in una violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo”. Lo ha ribadito la Corte europea nella sentenza Nagla contro Lettonia depositata il 15 luglio 2013 (ricorso n. 73469/10, CASE OF NAGLA v. LATVIA). Nessuno novità rispetto alle vecchie sentenze Goodwin (1995), Roemen, Tillack e Financial Times. che hanno fissato lo stesso principio. La riforma stabilisce che le rettifiche non possono essere commentate. Ha scritto Alberto Spampinato su questo punto: “Escludere la possibilità di commentare la rettifica vanifica la possibilità di regolare così la maggior parte delle querele per diffamazione, perché una rettifica così concepita equivale a una totale ritrattazione del giornale e non c'è nessun bisogno di cambiare la legge per far cadere la querela quando l'autore dell'articolo si rimangia tutto e si cosparge il capo di cenere”. La riforma appare debolissima poi sul punto della previsione di un deterrente efficace contro le querele pretestuose, una tecnica intimidatoria utilizzata spesso dai politici e non solo dai politici. Secondo la Corte europea, i risarcimenti, che non tengono conto della situazione economica del giornalista, diventano di fatto una limitazione del suo diritto/dovere di informare i cittadini. Anche questo punto è ignorato dalla riforma.
Mentre era in corso il dibattito alla Camera, una nuova sentenza della Corte di Strasburgo ha fatto irruzione nel dibattito parlamentare. Condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d’espressione: lo ha stabilito, come ha riferito l’Ansa, la Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza in cui dà ragione a Maurizio Belpietro. Belpietro fu condannato per diffamazione a quattro mesi di carcere, poi sospesi, per aver pubblicato, nel novembre 2004, un articolo firmato da Raffaele Iannuzzi dal titolo ‘Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri’, ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte. I giudici di Strasburgo nella sentenza spiegano che una pena così severa rappresenta una violazione del diritto alla libertà d’espressione del direttore di Libero. La Corte sottolinea infatti che Belpietro venne condannato dalla Corte d’Appello di Milano non solo a risarcire Lo Forte e Caselli per un totale di 110 mila euro, ma fu anche condannato a quattro mesi di prigione. Secondo la Corte è questa parte della condanna, anche se poi sospesa, a costituire una violazione della libertà d’espressione. La Corte infatti ritiene che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre incompatibile con la libertà d’espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Solo in circostanze eccezionali, come per esempio nel caso di incitamento alla violenza o di diffusione di discorsi razzisti, può essere ammessa. Secondo i giudici di Strasburgo, nonostante l’articolo di Iannuzzi sia stato giustamente considerato diffamatorio, esso non rientra in quei casi eccezionali per cui può essere prevista la prigione.
Negli stessi giorni l’Osce ha lanciato un appello all’Italia: “DEPENALIZZATE. Non basta abolire il carcere, occorre una completa depenalizzazione e anche un blocco alle cause civile infondate a scopo intimidatorio”
Per la diffamazione non può essere prevista alcuna sanzione penale: questo è il senso di un’altra recente sentenza (17 settembre 2013) della Corte europea dei diritti dell’Uomo che ha dato ragione a due giornalisti portoghesi che erano stati condannati per diffamazione e che oggi hanno vinto il ricorso presentato alla Corte di Strasburgo. I giudici hanno stabilito, come ha riferito l’Ansa, che le autorità portoghesi hanno violato il diritto alla libertà d’espressione. I giornalisti erano stati condannati a pagare una multa pari a 3.620 euro e 5.000 euro per danni morali dalla Corte d’appello di Lisbona che li aveva ritenuti colpevoli di aver diffamato l’allora vicepresidente della regione di Madeira. Nella sentenza i giudici della Corte europea dei diritti dell’Uomo sottolineano che il tribunale portoghese “condannando i giornalisti ha rotto l’equilibrio che deve esserci tra la salvaguardia del diritto alla libertà di stampa e quello del vice presidente della regione di Madeira a veder protetta la sua reputazione”. Inoltre fanno notare che “indipendentemente dalla severità della condanna inflitta, l’esistenza stessa di una sanzione penale, in questo caso, è tale da provocare un effetto dissuasivo sul contributo che la stampa porta al dibattito su temi di interesse generale, effetto dissuasivo che non può essere ammesso che in casi particolarmente gravi”.
“L’ITALIA E’ FUORI DALL’EUROPA” è la denuncia (26 settembre 2013) dell’Ordine nazionale dei Giornalisti. “Il Consiglio chiede che vengano applicate le norme europee sulla libertà di stampa che non consentono l'incarcerazione dei giornalisti per reati di diffamazione. I risarcimenti che non tengano conto della situazione economica del giornalista diventano di fatto una limitazione del suo dovere di informare i cittadini”.
2. La libertà di stampa, il segreto professionale dei giornalisti e il diritto dei cittadini all’informazione nella giurisprudenza, come diritti fondamentali, della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La libertà dei giornalisti implica la facoltà di utilizzare una certa dose di esagerazione e, persino, di provocazione. Quanto al tono polemico e addirittura aggressivo dei giornalisti, oltre al contenuto delle idee e delle informazioni, l'articolo 10 della Cedu tutela anche il loro modo di espressione. Forzare i titoli si può, rientra nella libertà di stampa e non ci può essere condanna. No al carcere e no alle sanzioni pecuniarie sproporzionate, che limitano la libertà di cronaca dei giornalisti e il diritto dei cittadini all’informazione.
Il diritto di cronaca, la libertà di stampa, il diritto dei cittadini all’informazione e il segreto professionale dei giornalisti sono salvaguardati, non solo dall’articolo 21 della Costituzione, quanto anche dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU). L’articolo 10 (Libertà di espressione), - ripetendo le parole della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e anticipando il Patto sui diritti politici di New York del 1966 -, recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiere”. La libertà di ricevere le informazioni comporta, come ha scritto la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, la protezione assoluta delle fonti dei giornalisti.
Il diritto di cronaca non è un privilegio dei giornalisti, ma un diritto fondamentale di ogni cittadino europeo, del suo "conoscere per deliberare". Le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ripetono, con costanza e coerenza, che "la libertà d'informazione ha importanza fondamentale in una società democratica". In una sentenza del 2007, che riguardava due giornalisti francesi (Jérôme Dupuis et Jean-Marie Pontaut c. Francia), autori di un libro sulle malefatte di un collaboratore di Mitterrand, la Corte ha ritenuto che la notorietà della persona e l'importanza della vicenda rendevano legittima la pubblicazione anche di notizie coperte dal segreto. In due sentenze del 2005 e del 2008 (Pakdemirli c. Turchia e Riolo c. Italia) si è messo in evidenza che eccessivi risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione. Le sanzioni pecuniarie sproporzionate tolgono la libertà di espressione a chi viene condannato. Il No al carcere per il reato di diffamazione è un altro punto fermo della Corte di Strasburgo: il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare, con effetti negativi sulla collettività che ha, a sua volta, il diritto di ricevere informazioni. La libertà dei giornalisti implica la facoltà di utilizzare una certa dose di esagerazione e, persino, di provocazione. Quanto al tono polemico e addirittura aggressivo dei giornalisti, oltre al contenuto delle idee e delle informazioni, l'articolo 10 tutela anche il loro modo di espressione (Caso Bladet Troms e Stensaas/Norvegia). Concetto ribadito in due altre sentenze: al giornalista deve essere concessa «una certa dose di esagerazione e di provocazione», soprattutto nei giudizi di valore (Kydonis v. Grecia; Riolo v.. Italia). Forzare i titoli si può, rientra nella libertà di stampa e non ci può essere condanna. (Gutiérrez Suárez-direttore di Diario 16 v. Spagna, ricorso 16023/07)
Che peso hanno le sentenze di Strasburgo nel sistema giudiziario italiano? La risposta è stata data dalla Corte costituzionale con la sentenza 39/2008: “Questa Corte, con le recenti sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha affermato, tra l'altro, che, con riguardo all'art. 117, primo comma, Cost., le norme della CEDU devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati ad uniformarsi…Gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’Uomo)”. Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: ”I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo” (in Fisco, 2001, 4684). Dal 18 dicembre 2009 la Carta dei diritti fondamentali della Ue e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) fanno parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona) e sono direttamente applicabili dai giudici e dalle autorità amministrative italiani. Il terzo comma dell’articolo 6 del Tratto di Lisbona recita al riguardo: “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.
Con le modifiche all'articolo 6 del Trattato 7 febbraio 1992 apportate dal Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 i diritti fondamentali sanciti dalla Cedu hanno assunto il rango di principi interni al diritto dell'Unione europea. Le norme della Convenzione, immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione in forza del diritto comunitario, determinano a carico del giudice nazionale l'obbligo di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del giudice comunitario ma senza dover transitare per il filtro dell'accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno.
Spetta alla Corte costituzionale, in riferimento all'art. 117 (primo comma) della Costituzione, il compito di valutare, in termini di interpretazione e bilanciamento, come e in qual misura l'interpretazione della Cedu si inserisca nell'ordinamento costituzionale (Corte cost., 4 dicembre 2009, sentenza n. 317).
Ed ecco una sintetica casistica delle sentenze più rilevanti della Corte dei diritti dell’uomo:
1. Caso Riolo c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 17 luglio 2008 - ricorso n. 42211/07). Il diritto alla libertà di espressione esclude sanzioni pecuniarie sproporzionate rispetto alle capacità economiche del giornalista. La condanna è suscettibile di dissuaderlo dal continuare ad informare il pubblico su temi d’interesse generale.
2. Caso Bladet Troms e Stensaas v. Norvegia (Ricorso no 21980/93): la libertà dei giornalisti implica la facoltà di utilizzare una certa dose di esagerazione e, persino, di provocazione.
3. Caso Prager et Oberschlick v. Austria. La libertà giornalistica comprende anche la possibilità di ricorrere ad una certa dose di esagerazione e provocazione (ricorso no 11662/85, sentenza 23 maggio 1991).
4. Caso Pakdemirli c. Turchia, sentenza 22 febbraio 2005) - Eccessivi e sproporzionati risarcimenti del danno a carico di giornalisti e editori possono costituire una forma di intimidazione che viola la libertà d'informazione.
5. Condannata la Grecia. Caso Kydonis v. Grecia (sentenza del 2 aprile 2009 – prima sezione, ricorso n. 2444/07). “No al carcere per il reato di diffamazione”. Per la Corte europea, il carcere, previsto nei casi di diffamazione negli ordinamenti interni, ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare, con effetti negativi sulla collettività che ha, a sua volta, il diritto di ricevere informazioni.
6. Caso Gutiérrez Suárez (direttore di Diario 16) v. Spagna: forzare i titoli si può. rientra nella libertà di stampa e non ci può essere condanna (Ricorso 16023/07)
7. Sentenza Goodwin: la Corte di Strasburgo (27 marzo 1996, Goodwin c. Regno Unito) difende il segreto professionale dei giornalisti funzionale al diritto dei cittadini all’informazione.
8. Sentenza Roemen. La Corte impone l’alt alle perquisizioni negli uffici dei giornalisti e dei loro avvocati a tutela delle fonti dei giornalisti (25 febbraio 2003, procedimento n. 51772/99).
9. Pubblicazione di atti processuali coperti dal segreto istruttorio: la Corte di Strasburgo assolve due giornalisti francesi (Dupuis c. Francia, ricorso n. 1914/02, sentenza 7 giugno 2007).
10. Condannato il Belgio per la perquisizione della casa e dell’ufficio del giornalista Hans-Martin Tillack (sentenza 4 ottobre 2006, Causa T-193/04)
11. Financial Times e altri contro Regno Unito. Per i giornalisti il segreto sulle fonti è sacro. La libertà di stampa e il segreto professionale vanno privilegiati rispetto all'eventuale turbativa dei mercati (sentenza depositata il 15 dicembre 2009)
12. La Grande Camera della Cedu censura l’Olanda (ricorso n. 38224/03, Sanoma). Si rafforzano le tutele per le fonti dei giornalisti. Il sequestro di documenti in un giornale, anche senza che venga richiesto a un redattore di svelare la fonte, ha una diretta conseguenza negativa per la libertà di stampa e rischia di paralizzare l'intera attività di un giornale.
13. Condannata la Finlandia. La libertà di stampa vince sulla privacy. Corte europea e giudici nazionali non possono verificare se è necessario o meno pubblicare una foto o una notizia (sentenza del 10 febbraio 2009)
14. Condannata la Francia. Il caso «Le Canard Enchainé». Lecito pubblicato le dichiarazioni fiscali dell'ex presidente della Peugeot. “E' diritto dei giornalisti quello di comunicare informazioni su questioni di interesse generale” (sentenza 21 gennaio 1999, ricorso n. 29183/95).
15. Condannato il Montenegro. Automatica la violazione della libertà di stampa se il giornalista è costretto a versare un risarcimento troppo alto. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 22 novembre (ricorso n. 41158/09, Koprivica c. Montenegro)
16. Il diritto di cronaca va sempre salvato. Per i giudici l'interesse della collettività all'informazione prevale anche quando la fonte siano carte segretate (sentenza depositata l’11 aprile 2012, Martin contro Francia).
17. Condannata la Bulgaria. La sanzione pecuniaria eccessiva e sproporzionata limita la libertà di stampa. Per scagionare il giornalista dall'accusa di diffamazione il giudice deve solo verificare se il comportamento professionale è stato corretto (sentenza Kasabova e Bozhkov contro Bulgaria del 19 aprile 2011)
18. Condannata la Turchia: ha violato la LIBERTÀ di un GIORNALISTA. Il CRONISTA MULTATO PER AVER CRITICATO il PREMIER Recep ERDOGAN (sentenza 20 febbraio 2011)
19. Condannata la Francia. Giustificata la divulgazione di notizie di interesse generale. Intercettazioni pubblicabili. Niente sequestro del materiale che viene utilizzato dai giornalisti. La pronuncia impedisce agli inquirenti di cercare con mezzi invasivi la fonte delle informazioni nella (sentenza del 28 giugno 2013, Ressiot e altri contro Francia)
20. Condannato l’Estonia. La collettività ha diritto a ricevere notizie sulle indagini in corso. Le dichiarazioni rese alla stampa dal magistrato inquirente su un procedimento per corruzione in atti giudiziari a carico di un giudice non violano la Convenzione in punto di presunzione di innocenza e diritto all’equo processo (causa n. 39820/08, Shuvalov c. Estonia)
3. Conclusioni. CASSAZIONE CIVILE: sempre più vincolanti per il giudice nazionale le decisioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Nonostante questa pronuncia i Pm non demordono dall’ordinare perquisizioni nelle redazioni e nelle abitazioni dei cronisti, mentre i giudici continuano a infliggere il carcere ai giornalisti.
Il giudice nazionale deve tener conto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ai fini della decisione, anche in corso di causa, con effetti immediati e assimilabili al giudicato. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19985 del 30 settembre 2011. Nonostante questa pronuncia i Pm non demordono dall’ordinare perquisizioni nelle redazioni e nelle abitazioni dei cronisti, mentre i giudici continuano a infliggere il carcere ai giornalisti. Un motivo in più perché il Parlamento faccia in freatta la sua parte allineando finalmente l’Italia all’Europa. Lo chiedono i giornalisti per esercitare la professione nello spirito concreto della Costituzione e della “Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”.