Milano, 15 aprile 2004. Con riferimento ai drammatici odierni eventi dell’Irak, Franco Abruzzo ha dichiarato: “La pubblicazione di fotografie del cadavere della vittima di un omicidio può costituire reato se le immagini sono caratterizzate da particolari impressionanti e raccapriccianti, lesivi della dignità umana. La pubblicazione non rientra nel diritto di cronaca”. Franco Abruzzo richiama in particolare l’articolo 15 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (sulla stampa) che punisce, con la pena della reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila, la pubblicazione di "stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti". Questo principio vale per tutti i media.
L’articolo 15 della legge sulla stampa è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza 11-17 luglio 2000 n. 293 con la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo, sollevata in riferimento agli articoli. 3, 21 (sesto comma) e 25 della Costituzione. In sostanza il divieto di pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante non contrasta con la Costituzione perché è diretto a tutelare la dignità umana. “La persona umana – ha precisato la Corte Costituzionale – è tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, in base al quale deve essere interpretato l’articolo 15 della legge sulla stampa; la descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza”. “Quello della dignità della persona umana – ha affermato la Corte - è, infatti, valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale”.
La Cassazione (Sezione Terza Penale n. 23356 dell’8 giugno 2001, Pres. Malinconico, Rel. Postiglione), richiamando l’indirizzo della Consulta, ha affermato - nella vicenda che vedeva coinvolti il direttore e due redattori del settimanale “Visto” (condannati dalla Corte d’Appello di Milano alla pena di tre mesi di reclusione e di lire trecentomila di multa ) - che “l’esercizio del diritto di cronaca pur pienamente legittimo in una società democratica ed aperta, deve salvaguardare come valori fondamentali il comune sentimento della morale e la dignità umana tutelate dall’articolo 2 della Costituzione. I giudici di appello - ha osservato la Suprema Corte - hanno correttamente motivato la loro decisione rilevando che le immagini della vittima dell’omicidio "sono tali da destare impressione e raccapriccio nell’osservatore di normale emotività, improntata ad impulsi di solidarietà umana, pietà per la defunta, rispetto per la sua spoglia, repulsione istintiva verso le ferite efferatamente impresse, salvaguardia della dignità della persona già uccisa in quel modo ed ulteriormente oltraggiata dalla pubblica ostensione del suo corpo, naturale esigenza di riservatezza verso l’intimità fisica personale rinforzata dalla condizione mortale del soggetto".
Il direttore e due redattori del settimanale "Visto" avevano, in concorso con un pubblico ufficiale non identificato, realizzato e pubblicato un servizio dedicato alla morte per omicidio della contessa Alberica Filo della Torre, avvenuta nel luglio 1991, corredandolo con tre fotografie a colori raffiguranti il cadavere della vittima così come era stato rinvenuto nell’immediatezza del delitto, con particolari impressionanti e raccapriccianti delle tracce lasciate sul corpo nudo e sugli indumenti e delle modalità di esecuzione del crimine.
Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e il Consiglio nazionale dell’Ordine hanno fatto proprio l’indirizzo della Corte costituzionale sul piano deontologico nella vicenda di “Libero”, conclusasi con la sanzione della censura per il direttore del quotidiano (radiato dall’Albo in primo grado). “Libero” aveva pubblicato il 28 settembre 2000 otto immagini raccapriccianti di bambini violentati. Il direttore ha patteggiato due mesi di reclusione per questi fatti e ha poi dichiarato al “Foglio” che non avrebbe mai in futuro ripetuto l’errore.