di Marco Mele
I diritti sul calcio in tv non potranno essere acquistati da un solo operatore. Lo schema di decreto legislativo approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che entrerà in vigore solo dopo il passaggio nelle commissioni parlamentari competenti, in attuazione della legge delega del luglio 2007, entrerà a regime nel 2010 cambiando le attuali regole del gioco. Il nuovo sistema è centrato sulla contrattazione collettiva in luogo di quella attuale dove a vendere i diritti sono i singoli club. Questi ultimi restano proprietari dei diritti d'archivio dei loro incontri casalinghi.
Gli obiettivi sono quelli di realizzare un mercato «trasparente ed efficiente» dei diritti e quello di «garantire l'equilibrio competitivo» tra i club. I quali restano contitolari con la Lega sugli eventi del campionato ma è l'organizzatore della competizione, che ha un mandato collettivo riconosciuto dalla legge, a venderne i diritti. La Lega dovrà approvare preventivamente le linee guida, che a loro volta dovranno essere approvate dall'Autorità per le comunicazioni. I diritti vanno assegnati con più aste, una per ogni singola piattaforma. In alternativa è possibile mettere in concorrenza diverse piattaforme. In questo caso, la Lega dovrà offrire diversi "pacchetti", che non potranno essere acquistati da un solo operatore e dovranno essere "equilibrati", fissando un prezzo minimo per ciascuno di essi.
Gli operatori della comunicazione vedono rafforzato il diritto di cronaca su ciascun evento (un massimo di tre minuti per singola partita e otto minuti complessivi), trascorse tre ore dalla sua conclusione e fino a 48 ore dalla sua conclusione, quindi anche durante i Processi. I diritti potranno essere ceduti a un intermediario indipendente, scelto a sua volta con procedura competitiva. Potranno partecipare all'assegnazione dei diritti solo gli operatori che hanno il titolo abilitativo per ciascuna piattaforma. Allo stato attuale, Sky non può partecipare per il digitale terrestre e Mediaset per il satellite.
I contratti di cessione dovranno avere la durata massima di tre anni, non potranno essere modificati da retrocessioni o promozioni né essere ceduti con sublicenza. In caso di diritti invenduti a livello centralizzato, il club può commercializzarli o distribuirli direttamente attraverso un proprio canale tematico. Una delle novità è quella che alcuni eventi possono non essere venduti dalla Lega e non essere oggetto di commercializzazione da parte del club.
Un regime speciale è previsto per le piattaforme emergenti, con la cessione di diritti non in esclusiva. Per la radio è possibile, al contrario della tv, vendere un pacchetto completo a un solo operatore, anche per l'estero, fatto salvo il diritto di cronaca.
Quanto alla ripartizione delle risorse, la quota divisa in parti uguali tra i club non può essere inferiore al 40% mentre, a partire dalla stagione 2010-2011, il 30% andrà ripartito sulla base dei risultati (il 15% su quelli delle ultime cinque stagioni) e un altro 30% sul bacino d'utenza.
IL SOLE 24 ORE del 10 novembre 2007.
In Europa decide tutto l'Uefa.
Mezzo miliardo dalla Champions ai club
di Luca Veronese
In Europa decide tutto l'Uefa: come gestire i diritti tv e come spartire i ricavi complessivi della Champions League. I criteri tuttavia sono chiari – anche qui si basano sui risultati sportivi e sul bacino dei tifosi – e il torneo è ambito da tutti, club e giocatori. Per gli sponsor poi, rappresenta una vetrina senza pari. Solo Mondiali ed Europei garantiscono al calcio partecipazioni simili di pubblico, dal vivo e in poltrona: la vittoria del Milan sul Liverpool nel maggio scorso è stata seguita in diretta (sono dati Adidas-StageUp) da una platea record di circa 150 milioni di persone nel mondo. Ma la Champions League si gioca tutti gli anni e tutto l'anno. E porta soldi alle casse dei club e non delle federazioni nazionali.
Per la stagione in corso – secondo le previsioni dell'Uefa riportate da sporteconomy.it – la torta da spartire è di 824,5 milioni di euro. Il 75% delle entrate derivanti dai contratti sui diritti televisivi e dagli accordi commerciali conclusi dall'Uefa – fino a un massimo di 530 milioni – vengono suddivisi tra le 32 squadre iscritte alla prima fase. I restanti 294,5 milioni, una volta coperti i costi organizzativi della Champions, sono utilizzati per sostenere il calcio europeo.
Ogni club riceve un bonus di partenza di tre milioni di euro e 400mila euro per ciascuno delle sei partite iniziali: per un totale di 5,4 milioni di euro, ai quali si aggiungono premi per la vittoria e il pareggio. Ai 16 team che superano la prima fase è previsto un bonus da 2,2 milioni di euro. Il passaggio ai quarti porta altri 2,5 milioni. I semifinalisti vengono premiati con tre milioni di euro. I finalisti con altri tre milioni. Il bonus per il campione è di quattro milioni di euro. Fatti due conti si può stabilire che ai club eliminati nella prima fase, è comunque garantito un minimo di 5,4 milioni di euro, mentre il vincitore si porta a casa 23,7 milioni: per un rapporto tra l'ultimo e il primo di poco superiore a un accettabile uno a quattro.
Queste cifre non includono il ticketing, lo stadio reale; e il cosiddetto market pool share: circa 280 milioni di euro distribuiti sulla base del valore di ciascun mercato televisivo dei club che partecipano alla coppa. Per l'Italia la quota Paese andrà dunque divisa tra Milan, Inter, Roma e Lazio per più di dieci milioni di euro a testa.
Nella passata edizione il Milan raggiunse i 65 milioni di euro di ricavi legati alla Champions: tra revenue Uefa, premi per i risultati sportivi, biglietti allo stadio, una tantum dagli sponsor, merchandising.