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Comunicato stampa – In coda l’intera delibera 17 luglio 2000 e in allegato la sentenza della Cassazione 31 marzo 2006 (n. 7607).
.......................

"PANORAMA" - Deliberazione
del Consiglio dell’Ordine
dei Giornalisti della Lombardia
sulla pubblicazione delle
generalità di un aviere,
vittima di violenze in caserma

Due mesi di sospensione
a Marcella Andreoli.
Censura al direttore
Roberto Briglia

 Milano, 26 luglio 2000.  Due mesi di sospensione a Marcella Andreoli e la censura a Roberto Briglia, rispettivamente inviato e direttore responsabile di “Panorama”. Questa è la deliberazione (17 luglio 2000) del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia sulla  pubblicazione da parte del settimanale (n. 9/2000)  delle generalità  di un aviere, vittima di violenze in caserma. L’inchiesta è stata promossa dai genitori del militare con un esposto (in data 15 marzo 2000).  A Roberto Briglia e a Marcella Andreoli era stato contestato questo addebito: (deontologia dei giornalisti, ndr) della legge professionale n.  69/1963 in relazione al comma 1 dell’articolo 8 (tutela della dignità delle persone, ndr) del Codice di deontologia sulla privacy, che, tutelando la dignità delle persone, consentono la pubblicazione di una notizia nella sua essenzialità (cioè senza le generalità della persona offesa), bilanciando i valori e i principi garantiti dagli articoli  2 (tutela della dignità della persona, ndr) e 21 (diritto di manifestazione del pensiero e diritto di cronaca, ndr) della Costituzione>.


I giornalisti si sono difesi  sostenendo che . Marcella Andreoli  .


Nella  deliberazione si legge:


< La legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica detta (agli articoli 2 e 48)  vincoli fondamentali per l'attività  del giornalista:


·      la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti;


·      le norme che tutelano la persona umana e  il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limite alle libertà di informazione e di critica;


·      l'esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà;


·      il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori;


·      il mantenimento del decoro e della dignità professionali;


·      il rispetto della propria reputazione;


·      il rispetto della dignità dell'Ordine professionale.


L’articolo 8 del Codice di deontologia sulla privacy (“Tutela della dignità delle persone”) dice al comma 1: “Salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine”.  La legge professionale e la legge n. 675/1996 sulla tutela dei dati personali, - figlie entrambe dell’articolo 2 della Costituzione -,  hanno al centro della loro azione la salvaguardia della dignità della persona. L’articolo 21 non sempre prevale sull’articolo 2 della Costituzione. Nel bilanciamento dei valori tutelati, succede che la difesa della dignità di una persona - coinvolta in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona stessa - possa prevalere. In questo caso il cronista fa un passo indietro,  racconta  gli avvenimenti nella loro essenzialità e tace il nome della persona o delle persone ferite nella loro identità e nella loro dignità, perché la pubblicazione dei nomi e cognomi aggiungerebbe dolore al dolore sofferto, umiliazione all’umiliazione patita. Non si possono mettere sullo stesso piano, come fa la difesa degli incolpati, gli  aguzzini e la vittima, affermando grosso modo: “Pubblichiamo i nomi delle parti processuali”, lasciando intendere che sono alla pari. A Marcella Andreoli (lettera del 17 luglio 2000 al  Consiglio) “non sembrava giusto rivelare solo le generalità degli imputati, innocenti fino a prova del contrario”.


Il  Consiglio afferma la colpevolezza del direttore di “Panorama”, che non ha vigilato, e della giornalista autrice del servizio, che, con la lettera 17 luglio 2000, mostra di non avere consapevolezza dei principi costituzionali in tema di tutela della dignità delle persone e dei  limiti che l’ordinamento pone al diritto di cronaca. Marcella  Andreoli  è venuta meno pure al dovere di attenersi alla verità sostanziale dei fatti, quando ho omesso ogni riferimento al “ravvedimento” del maresciallo G. B.. Questa circostanza emerge per tabulas. Il difensore ha allegato alla memoria del 13 aprile 2000 una relazione (documento 1) del comandante facente funzioni della base militare. L’ufficiale  il 29 giugno 1999 ha raccolto la “confessione” dell’aviere, che accusa il maresciallo di avere ordinato a un altro aviere di violentarlo con una carota una volta abbassati pantaloni e mutande. Scrive il comandante della base (punto 4): “Il fatto non si è però concretizzato, a  detta dell’interessato, a seguito di un improvviso ravvedimento del G. B., che avrebbe ordinato ai presenti di ‘lasciar perdere’, e quindi di non continuare oltre”.   Di questo passaggio, il ravvedimento di G. B., non c’è traccia nel servizio firmato da Marcella Andreoli, che pur accenna al colloquio tra l’aviere e il comandante  della base. Il titolo, il sommario e il testo fanno capire, invece, che l’aviere  sia stato violentato con la carota. Marcella Andreoli, tacendo un particolare significativo, ha  “gonfiato” il fatto (“strillato” nella prima pagina del periodico), facendo apparire ingannevolmente per avvenuta una violenza sessuale non portata in realtà fino alle estreme conseguenze (come dimostra il capo di imputazione allegato agli atti).  


In conclusione Marcella  Andreoli, rendendo pubblico il nome dell’aviere, ha inferto un vulnus profondo ai valori  tutelati dagli articoli 2 e 48 della legge professionale in relazione al solo articolo 8 del Codice di deontologia della privacy.   La sanzione della sospensione di due mesi, per Marcella Andreoli, appare congrua. Ed appare equa la sanzione della censura a  Roberto Briglia, che risponde per colpa e non per dolo>.


..................................................


Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia


Prot. n. 3415/00/FA/dr                                                                                         Milano, 19 luglio 2000


                                                        notifica urgente a mezzo ufficiale giudiziario (art. 57 legge 69/63)


                                                                                                     


 


Dott.  Roberto Briglia


presso studio legale Bovio


via Podgora 13 – 20122  Milano


e


dott.ssa Marcella Andreoli


presso studio legale Bovio


via Podgora 13 – 20122  Milano


e p.c.:


 


Gent.ma Famiglia Botticelli


presso avv. Gigliola Guglielmi


Piazza Giovanni XXIII, n. 11 - 21100  Varese


 


On.le Consiglio nazionale


dell’Ordine dei Giornalisti


Lungotevere dei Cenci 8 - 00186  Roma


 


On.le Procura generale della Repubblica


presso la Corte d’Appello


Via Freguglia 1 - 20122 Milano


 


On.le  Ufficio del Garante


per la tutela dei dati personali


Largo del Teatro Valle, 6 – 00186  Roma


 


On.le Comitato di Redazione


A.     Mondadori Editore


Via A. Mondadori, 1 - 20090  Segrate (Mi)


 


Deliberazione disciplinare


 


 


Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia


nella sua seduta del 17 luglio 2000;


sentito il consigliere istruttore,  Sergio D’Asnasch  (articolo 6 della legge 7 agosto 1990 n. 241);


visti gli articoli 2 e 48 della legge 3.2.1963 n. 69 sull’ordinamento della professione giornalistica con riferimento all’articolo 8 (rimo comma) del Codice deontologico sulla privacy (pubblicato il 3 agosto 1998 sulla Gazzetta Ufficiale) nonché all’articolo 734-bis Cp;


lette la sentenza n. 11/1968 della Corte costituzionale secondo la quale l’Ordine <....con i suoi poteri di ente pubblico vigila, nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla> e la sentenza n. 7543 del 9 luglio 1991 (Mass. 1991) della Cassazione civile secondo la quale ;


espletate le sommarie informazioni di cui all’articolo 56 della legge 3.2.1963 n. 69;


tenuto conto della sentenza 14 dicembre 1995  n. 505 della Corte costituzionale;


visti altresì gli atti del procedimento;


Considerato quanto segue:


 


1. Esposto e fatti


In data 15 marzo 2000 alla segreteria del Consiglio è pervenuto  un esposto firmato dall’avv. Gigliola Guglielmi e indirizzato alla giornalista Marcella Andreoli, al direttore di “Panorama” e ad altri soggetti, tra i quali l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia; esposto, che qui si riproduce integralmente:


“Si è rivolta a questo Studio per essere consigliata, assistita e difesa nei Vs. confronti la gent.ma Famiglia Botticelli, la quale mi ha riferito di aver preso conoscenza - con grandissima sorpresa, rammarico e sofferenza (anche e non solo nel rivivere la brutta e dolorosa esperienza passata) - che: a) sull'edizione 02.03.2000 - Anno XXXVIII - n. 9 (1767) della rivista "Panorama" è stato pubblicato l'articolo ""II sacco, la carota e altre storie di "nonni"" a cura di Marcella Andreoli (cfr. pagg. 68 ss. del numero cit.), avente per oggetto i fatti di cui è stato vittima l'egr. sig. Alessandro Botticelli durante il servizio di leva svolto presso la caserma di Aeronautica di Bagnoli di Sopra (PD); b) nell'articolo in questione l'inviata Andreoli non solo ha effettuato una dettagliata ricostruzione di detti fatti (per cui ora pende un procedimento penale chiamato per l'udienza - preliminare e non dibattimentale! - del 15.03.2000 e non del 16.03.2000, come erroneamente dichiarato nell'articolo stesso), ma ha anche fatto riferimento esplicito ad Alessandro Botticelli, indicando persino nome, cognome e luogo di provenienza dello stesso, vittima di aggressioni anche di natura sessuale; c) quindi, il contenuto del precitato articolo consente, con estrema facilità, la diretta ed esplicita identificazione sia di Alessandro Botticelli che della Sua famiglia con cui convive, ledendo così i Loro diritti e, in particolare, quello alla riservatezza.


In ragione di quanto sopra esposto, la Famiglia Botticelli mi ha, quindi, conferito l'incarico di procedere nelle sedi competenti contro tutti coloro nei cui confronti sono ravvisabili delle responsabilità, di qualsiasi natura esse siano, in merito all'articolo sopra richiamato ed alla pubblicazione dello stesso.


Gli stessi sigg.ri Botticelli mi hanno, inoltre, richiesto cortesemente di diffidarVi dal redigere e pubblicare ulteriori articoli lesivi dei diritti e, soprattutto, di quello - fondamentale - alla privacy di cui i miei clienti sono titolari. Pertanto, con la presente, Vi invito, sin da ora, - in nome e per conto della famiglia Botticelli - ad astenerVi da qualsivoglia pubblicazione ulteriormente pregiudizievole dei diritti dei miei Assistiti.


Avverto che, in difetto, gli egregi sigg.ri Botticelli si vedranno ulteriormente costretti ad agire direttamente in sede giudiziaria per tutelare i propri diritti, senza darVi altro avviso e protestando a Vs. carico ogni spesa che si renderà a tal fine necessaria.


Con la presente, trasmetto, inoltre, copia dell'articolo in oggetto alla spett.le Direzione della Amoldo Mondadori Editore spa, alla spett.le Fieg, nonché allo spett.le Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti di Milano che qui mi leggono per conoscenza -onde consentire Loro di effettuare le debite verifiche e di adottare gli eventuali provvedimenti di competenza in merito a quanto sopra segnalato, con riferimento ai quali chiedo cortesemente sin da ora di avere tempestiva comunicazione”.


 


2.   Sommarie informazioni, capo d’incolpazione e comunicazioni alle parti


In data 17 marzo  2000, il presidente di questo Consiglio dell’Ordine ha trasmesso ai giornalisti Briglia e Andreoli un avviso disciplinare con contestuale richiesta di chiarimenti (articolo 6, lettera b, della legge n. 241/1990). All’avviso era unito l’esposto dell’avvocato Gigliola Guglielmi.  In data 13 aprile  ha replicato l’avvocato  Caterina Malavenda (studio Bovio) per conto di Marcella Andreoli. Questo il testo integrale della memoria:


“Il sottoscritto Avv. Caterina Malavenda, difensore di fiducia di Marcella Andreoli, giusta nomina che si allega, facendo seguito all'avviso datato 17.3.2000 ed alla contestuale richiesta di chiarimenti (ex art. 6 lett b) legge 241/90, espone quanto segue.


Le pur comprensibili doglianze avanzate dalla famiglia Botticelli, per tramite del loro legale, non sono condivisibili però sotto il profilo che qui interessa, vale a dire quello della eventuale violazione dei principi elaborati in riferimento all’art. 25 della legge sulla privacy.


Com'è noto, infatti, il giornalista nell'esercizio dei diritto di cronaca deve, fra l'altro, agire osservando le regole stabilite dal codice deontologico approvato il 27 marzo 1998, a contemperamento del diritto sancito dall’art. 21 della Costituzione quando l'esercizio dello stesso si trovi ad interessare la sfera individuale o riservata della persona.


In particolare, la condotta di Marcella Andreoli pare potersi ricondurre al combinato disposto degli artt. 6 e 8 del codice, che individuano i limiti entro i quali il giornalista può legittimamente operare.


La vicenda umana di Alessandro Botticelli deve inserirsi (ed è stata appunto inserita) nell'ambito assai più generale delle problematiche connesse ai gravi episodi di nonnismo verificatisi nelle caserme, di cui la stampa ha diffusamente dato notizia e che ha condotto addirittura a interventi legislativi, essendo state apportate modifiche al codice penale militare di pace.


Evidente è dunque l'interesse pubblico a conoscere i particolari di tale vicenda, emblematica del trattamento cui le richieste possono essere sottoposte.


Si tratta, peraltro, di vicenda fin dal giugno 1999 nota ai Comandante della caserma presso il quale l'aviere prestava servizio (all. 1) ed in relazione alla quale, a seguito delle dichiarazioni rese dall'interessato (all. 2) qualche tempo dopo ed alla luce delle sostanziali ammissioni di uno degli accusati (all. 3) e di un teste oculare (all. 4) la Procura militare, in data 19 settembre 1999 ha chiesto il rinvio a giudizio di quattro militari (all. 5): l'udienza preliminare è stata celebrata il 16 marzo 2000 (all. 6)).


Proprio nella imminenza di tale udienza la giornalista, che pure conosceva da tempo i fatti, ha ritenuto di poter alfine raccontare il triste episodio, senza omettere i nomi dei protagonisti, compresa la vittima, tutte "parti processuali", ma senza indulgere in particolari inutili, ai fini informativi.


Risulta, dunque, rispettato il dettato dell’art. 6 che legittima la divulgazione di notizie anche attinenti la sfera privata (ma la vicenda non pare possa ricondursi a tale sfera) purché le informazioni anche dettagliate, siano, come nel caso de quo, indispensabili sia in ragione della descrizione dei modi particolari in cui il fatto è avvenuto, sia dei ruoli svolti dai protagonisti.


Innanzi tutto, si tratta di fatti sottoposti alla cognizione del giudice penale e solo le generalità dei minori coinvolti nei processi devono essere omesse, costituendo tale divieto una eccezione alla regola generale secondo la quale i nominativi delle parti di un processo, giunto peraltro alla fase della udienza preliminare, non sono coperti da alcun segreto, soprattutto quando, come in questo caso, il processo si regge essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa. Del resto, non sarebbe stato corretto, parlando di un processo che oppone imputati e parte lesa, citare solo i primi, per i quali vige, peraltro, la presunzione di innocenza e non la seconda. Non si tratta, infine, della divulgazione di dati sensibili, ma di dati relativi a fatti, come detto, sottoposti alla cognizione del giudice penale. Si chiede, dunque, la archiviazione del procedimento”.


Il Consiglio, nella seduta del 17 aprile 2000, considerato quanto prescrivono l’articolo 2 della legge n. 69/1963, l’articolo 734-bis Cp  e il comma  1 dell’articolo 8 del Codice di deontologia sulla privacy, ha  deliberato l’apertura del procedimento disciplinare a carico di  Roberto Briglia e Marcella Andreoli con la contestazione del seguente addebito: .


Il Consiglio  in quell’occasione ha sottolineato quanto affermato dalla Cass. sez. un. 25 ottobre 1979 n. 5573 per cui .


Nel rispetto della legge n. 241/1990, la delibera di apertura del procedimento disciplinare - che fa parte integrante di questo provvedimento - è stata notificata anche ai controinteressati.


 


3. Audizione degli incolpati


Roberto Briglia e Marcella Andreoli, entrambi difesi dall’avvocato Caterina Malavenda dello studio legale Bovio, hanno rinunciato a comparire davanti al  Consiglio come risulta dagli atti allegati al procedimento. Nella seduta del 17 luglio l’avvocato  Caterina Malavenda ha svolto le difese degli incolpati,  illustrando le tesi già esposte nella memoria del 13 aprile (vedi punto 2 di questo provvedimento) e successivamente nella memoria trasmessa il 28 giugno. Il legale contesta il riferimento all’articolo 734-bis Cp, perché la magistratura militare penale non ha contestato la violenza sessuale di gruppo agli imputati bensì il reato di “violenza continuata ad inferiore” (articolo 195  Cpmp) assimilabile alla violenza privata (articolo 610 Cp). “La giornalista e il direttore - ha scritto  Caterina Malavenda -  hanno rispettato tutti i limiti posti all’esercizio del diritto di cronaca e quelli posti all’operato del giornalista quando questi si trovi ad occuparsi della sfera privata dei soggetti, protagonisti di fatti di cronaca”.


 


4. Valutazioni conclusive


La legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica detta (agli articoli 2 e 48)  vincoli fondamentali per l'attività  del giornalista:


·      la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti;


·      le norme che tutelano la persona umana e  il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limite alle libertà di informazione e di critica;


·      l'esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà;


·      il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori;


·      il mantenimento del decoro e della dignità professionali;


·      il rispetto della propria reputazione;


·      il rispetto della dignità dell'Ordine professionale.


L’articolo 8 del Codice di deontologia sulla privacy (“Tutela della dignità delle persone”) dice al comma 1: “Salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine”.  La legge professionale e la legge n. 675/1996 sulla tutela dei dati personali, - figlie entrambe dell’articolo 2 della Costituzione -,  hanno al centro della loro azione la salvaguardia della dignità della persona. L’articolo 21 non sempre prevale sull’articolo 2 della Costituzione. Nel bilanciamento dei valori tutelati, succede che la difesa della dignità di una persona - coinvolta in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona stessa - possa prevalere. In questo caso il cronista fa un passo indietro,  racconta  gli avvenimenti nella loro essenzialità e tace il nome della persona o delle persone ferite nella loro identità e nella loro dignità, perché la pubblicazione dei nomi e cognomi aggiungerebbe dolore al dolore sofferto, umiliazione all’umiliazione patita. Non si possono mettere sullo stesso piano, come fa la difesa degli incolpati, gli  aguzzini e la vittima, affermando grosso modo: “Pubblichiamo i nomi delle parti processuali”, lasciando intendere che sono alla pari. A Marcella Andreoli (lettera del 17 luglio 2000 al  Consiglio) “non sembrava giusto rivelare solo le generalità degli imputati, innocenti fino a prova del contrario”.


Il  Consiglio afferma la colpevolezza del direttore di “Panorama”, che non ha vigilato, e della giornalista autrice del servizio, che, con la lettera 17 luglio 2000, mostra di non avere consapevolezza dei principi costituzionali in tema di tutela della dignità delle persone e dei  limiti che l’ordinamento pone al diritto di cronaca. Marcella  Andreoli  è venuta meno pure al dovere di attenersi alla verità sostanziale dei fatti, quando ho omesso ogni riferimento al “ravvedimento” del maresciallo Giovanni Buonanno. Questa circostanza emerge per tabulas. Il difensore ha allegato alla memoria del 13 aprile 2000 una relazione (documento 1) del comandante facente funzioni della base militare, Roberto Bassi. L’ufficiale  il 29 giugno 1999 ha raccolto la “confessione” dell’aviere Alessandro Botticelli. Botticelli accusa il maresciallo Buonanno di avere ordinato all’aviere Perini di violentarlo con una carota una volta abbassati pantaloni e mutande. Scrive  Bassi (punto 4): “Il fatto non si è però concretizzato, a  detta dell’interessato, a seguito di un improvviso ravvedimento del Buonanno, che avrebbe ordinato ai presenti di ‘lasciar perdere’, e quindi di non continuare oltre”.   Di questo passaggio, il ravvedimento di Buonanno, non c’è traccia nel servizio firmato da Marcella Andreoli, che pur accenna al colloquio Botticelli-Bassi. Il titolo, il sommario e il testo fanno capire, invece, che l’aviere Botticelli  sia stato violentato con la carota. Marcella Andreoli, tacendo un particolare significativo, ha  “gonfiato” il fatto (“strillato” nella prima pagina del periodico), facendo apparire ingannevolmente per avvenuta una violenza sessuale non portata in realtà fino alle estreme conseguenze (come dimostra il capo di imputazione allegato agli atti).  


In conclusione Marcella  Andreoli, rendendo pubblico il nome dell’aviere Alessandro Botticelli, ha inferto un vulnus profondo ai valori  tutelati dagli articoli 2 e 48 della legge professionale in relazione al solo articolo 8 del Codice di deontologia della privacy.   La sanzione della sospensione di due mesi, per Marcella Andreoli, appare congrua. Ed appare equa la sanzione della censura a  Roberto Briglia, che risponde per colpa e non per dolo.


Vale richiamare due principi fissati nella giurisprudenza:


·      In assenza di tipizzazione dei comportamenti illeciti sul piano disciplinare, la rilevanza deontologica dei comportamenti del giornalista va teleologicamente valutata in rapporto all'obbligo di comportarsi in modo conforme al decoro ed alla dignità professionale e tale da non compromettere la propria reputazione o la dignità dell'Ordine sancito dall'art. 48 1. n. 69 del 1963 nonché al dovere di lealtà e buona fede ed all'obbligo di promuovere.... la fiducia tra la stampa ed i lettori sanciti dall'art. 2 della legge medesima. (App. Milano, 18 luglio 1996; Foro It., 1997, I, 919)


·      Oltre all'obbligo del rispetto della verità sostanziale dei fatti con l'osservanza dei doveri di lealtà e di buona fede, il giornalista, nel suo comportamento oltre ad essere, deve anche apparire conforme a tale regola, perché su di essa si fonda il rapporto di fiducia tra i lettori e la stampa. (App. Milano, 18 luglio 1996; Riviste: Foro Padano, 1996, I, 330, n. Brovelli;  Foro It., 1997, I, 938);


 


                                                          PQM


 


il Consiglio  dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, ritenuta la sussistenza dei fatti addebitati,


 


                                                                       delibera


 


1) di sanzionare con la censura (art. 53 legge n. 69/1963) il giornalista professionista Roberto Briglia, sottolineando che ;


2) di sanzionare con  la sospensione di due mesi (articolo 54 legge n. 69/1963) la giornalista professionista Marcella Andreoli, sottolineando che sospensione dall’esercizio professionale può essere inflitta nei casi in cui l’iscritto con la sua condotta abbia compromesso la dignità professionale>.


 


Avverso il presente provvedimento (notificato ai controinteressati ex legge n. 241/1990) può essere presentato (dall’interessato e dal Procuratore generale della Repubblica) ricorso al Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti (Lungotevere dei Cenci  8, 00186 Roma) ai sensi dell'art. 60 della legge n. 69/1963 nel termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento stesso e secondo le modalità fissate dagli artt. 59, 60, e 61 del Dpr 4 febbraio 1965 n. 115.


 


 


 


                                                                                  Il presidente dell’OgL-estensore


                                                                                        (dott. Franco Abruzzo)







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