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L'Inpgi a rischio default?/
Relazione attuariale (30 agosto 2004) del prof. Fulvio Gismondi al presidente Gabriele Cescutti/
“L’Inpgi evidenzia dal 1° gennaio 2017
uno squilibrio che non consente di fronteggiare,
nel lungo periodo, il pagamento
delle pensioni promesse agli iscritti mediante
le risorse derivanti dalla contribuzione corrente”

La risposta dell’Istituto: “La riforma pensioni non ci riguarda. Il bonus contributivo può, ma non deve, essere recepito”.

Milano, 19 ottobre 2004.  “L’Inpgi evidenzia dal 1° gennaio 2017 uno squilibrio che non consente di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento delle pensioni promesse agli iscritti mediante  le risorse derivanti dalla contribuzione corrente”:  questa affermazione è sottoscritta dal prof. Fulvio Gismondi, titolare di uno studio di consulenza finanziaria e attuariale, che,  in data 30 agosto 2004, ha trasmesso al presidente dell’Inpgi una “Relazione al bilancio tecnico al 31 dicembre 2003 della Gestione Previdenziale Principale dell'INPGI”.


Il prof. Gismondi scrive ancora: “Ritengo opportuno precisare quanto segue:


1. Dalle simulazioni attuariali eseguite, ed in particolare dalle dinamiche descritte nei bilanci tecnici, emergono alcuni rilevanti tendenze.


2. Con riferimento alla Gestione Principale, il Fondo evidenzia dal 1° gennaio 2017 uno squilibrio che non consente di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento delle pensioni promesse agli iscritti mediante le risorse derivanti dalla contribuzione corrente.


3. La natura dello squilibrio è di tipo strutturale: l'attuale modello contributi/prestazioni, sancito dal Regolamento, stante l'attuale assetto demografico del Fondo, non consente ipotesi di equilibrio tendenziale della gestione in ripartizione.


4. Peraltro l'ottimizzazione dell'area finanziaria ed amministrativa del Fondo non può essere considerata una soluzione di riequilibrio della gestione previdenziale; in primo luogo perché l'attuale "stato dell'arte" presenta una condizione in linea con quella di enti analoghi, in secondo luogo perché pur ulteriormente ottimizzando le aree in questione (attivazione di strategie di asset allocation coerenti con la struttura temporale degli impegni del Fondo, perfetto allineamento tra entrate e uscite, ulteriore contenimento delle spese) il risultato prodotto potrebbe posporre, peraltro marginalmente, l'epoca del default senza incidere strutturalmente sulla condizione di squilibrio del Fondo”.


A questo punto bisogna parlarsi chiaro ed avere buon senso. Se la situazione è quella descritta dal prof. Gismondi e se è vero che nei prossimi 12 anni le uscite  (pensioni) supereranno le entrate (contributi), allora bisognerà riconsiderare la scelta fatta nel 1994, cioè la privatizzazione del Fondo. Bisogna tornare ad essere ente pubblico, come l’Inpgi lo era tra il 1951 e il 1994 e come lo siamo ancora, per un certo aspetto, in base all’articolo 76 (punto 4) della legge n. 388/2000 (l’Istituto è definito  ente sostitutivo dell’Inps tenuto a rispettarne la normativa).


L’Inpgi non riconosce il superbonus a chi ha 57 anni, perché il bilancio non lo permette. Così viene negato un diritto a 933 colleghi. Se tutti i 933 giornalisti dovessero chiedere il superbonus l’Inpgi perderebbe contributi per euro 79.700.000, ma avrebbe una minore spesa per  euro 31.118.000 con un sbilancio effettivo di euro 48.500.000.


L’Inpgi nega la libertà di cumulo, un diritto questo che presto spetterà anche ai pensionati di anzianità (occorre un decreto legislativo).


Dal 1° gennaio 2008 la riforme Maroni delle pensioni si applicherà anche all’Inpgi per quanto riguarda le pensioni di anzianità. Fino al 31 dicembre 2007 le finestre di uscita saranno quattro (gennaio, aprile, luglio e ottobre). Dal 1° gennaio 2008 le finestre saranno due:


a)il mese di gennaio per coloor che hanno maturato i requisiti previsti entro il secondo trimestre dell’anno precedente;


b)                  il mese di luglio per coloro che hanno maturato i requisiti previsti entro il 4° trimestre dell’anno precedente.


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 Franco Abruzzo illustra la sua posizione sul futuro dell’Istituto


L’Inpgi  assorbito nell’Inps?


No, l’Inpgi torni ente pubblico


come l’Inps. Vi spiego perché”


L’Inpgi deve tornare pubblico (come l’Inps), perché i giornalisti non devono  convivere con il rischio di ricevere un  certo giorno la pensione sociale.


Se fosse rimasto in vita il principio del Dlgs 509/1994 (riserva tecnica in misura non inferiore a cinque annualità dell'importo delle pensioni in essere) a quest’ora l’Inpgi dovrebbe essere “governato” da un commissario straordinario con il compito “di adottare i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione”. L’allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, ha salvato l’Istituto abbassando sostanzialmente, con la legge finanziaria del 1998, la riserva tecnica da 5 a 3 annualità. La riserva tecnica è sempre ferma a 1.400 miliardi di vecchie lire (ma dovrebbe essere di 2.500 secondo il Dlgs 509/1994). L’Istituto denuncia una riserva tecnica di 1.750 miliardi (350 in più del necessario). Oggi la Fondazione, se fosse vivo il vincolo del Dlgs n. 509/1994, sarebbe “sotto” di  circa 750 miliardi.


Alla Corte dei Conti (sezione controllo enti) la patata bollente dei finanziamenti Inpgi al sindacato.


Sono oltre 2.000 i praticanti d’ufficio dal 1989 ad oggi. L’Ordine di Milano ha salvato i conti dell’Inpgi


Tutto quello che i giornalisti non sanno e che il sindacato non spiega: 1. Età pensionabile a 65 anni (maschi) e a 60 anni (donne) dall’1. 1. 2007(5mila giovani già con il contributivo); 2. L’autonomia dei giornalisti (come  afferma il  Contratto) poggia solo sulla deontologia


 


di Franco Abruzzo


Alcuni personaggi avanti negli anni e quindi meritevoli di rispetto e altri, che hanno cariche  nel sindacato,  per fini elettorali mi hanno attribuito, contrariamente al vero, il progetto di voler favorire l’assorbimento dell’Inpgi nell’Inps. E’ una falsità grossolana e volgare, un colpo basso indecente. Dal 1995 notoriamente e coerentemente mi batto perché l’Inpgi torni a essere pubblico come l’Inps.  I numeri mi danno ragione: in base al Dlgs n. 509/1994 l’Inpgi dovrebbe avere una riserva tecnica in misura non inferiore a cinque annualità dell'importo delle pensioni in essere (circa 2.500 miliardi di vecchie lire). Ho scritto ne  Il Sole-.24 Ore del 7 gennaio 1998: “La Finanziaria '98 - in particolare le misure disposte dai commi 13,16, 20, 27, 28, 29 e 30 dell'articolo 59 - dà respiro ai conti dell'Inpgi. L'azione congiunta Fnsi-Fieg  è valsa ad ottenere, tramite la manovra di quest'anno (legge n. 449/97), buoni risultati (sul fronte del risanamento dei conti dell'ente), che possono essere così riassunti. La riserva tecnica, pari a cinque annualità delle pensioni in pagamento, verrà calcolata con riferimento a quelle in essere nel 1994 (salvo adeguamento della somma complessiva che verrà determinata sulla base di criteri individuati di volta in volta, con decreti interministeriali del Lavoro e del Tesoro, una volta valutati i bilanci tecnici da presentare con periodicità triennale). Nell'ottobre '97 la situazione finanziaria dell'Inpgi presentava questi numeri: per rispettare le prescrizioni della legge n. 509/1994 sulla privatizzazione delle casse dei professionisti, l'Inpgi avrebbe dovuto possedere una riserva legale di 2mila miliardi (contro 1750 effettivi). L'Istituto era sotto di 250 miliardi. Per effetto delle novità introdotte nella Finanziaria '98, la riserva tecnica sarà calcolata nei 1.400 miliardi del 1994 (ciò significa che l'Inpgi ha un eccesso di riserva di 350 miliardi)”.


Se fosse rimasto in vita il principio del Dlgs 509/1994 (riserva tecnica in misura non inferiore a cinque annualità dell'importo delle pensioni in essere) a quest’ora l’Inpgi dovrebbe essere “governato” da un commissario straordinario con il compito “di adottare i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione”. L’allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, ha salvato l’Istituto abbassando sostanzialmente, con la legge finanziaria del 1998, la riserva tecnica da 5 a 3 annualità. La riserva tecnica è sempre ferma a 1.400 miliardi di vecchie lire (ma dovrebbe essere di 2.500 secondo il Dlgs 509/1994). L’Istituto denuncia una riserva tecnica di 1.750 miliardi (350 in più del necessario). Oggi la Fondazione, se fosse vivo il vincolo del Dlgs n. 509/1994, sarebbe “sotto” di  circa 750 miliardi. I ministri dell’Economia e del Lavoro si sono dimenticati di adeguare e rivalutare i 1.400 miliardi di riserva legale tecnica del 1994. Questi numeri devono far riflettere i colleghi.


I rapporti di lavoro in essere sono 14.992 contro i 14.531 registrati a fine 2002 (+461). Gli articoli 1 a tempo indeterminato sono 13.537 (con una crescita di 378 unità) cui si aggiungono 1.046 contratti a termine. I contratti a termine sono un fenomeno che preoccupa, perché sono in crescita e si prevede che aumenteranno. Nessuno poi parla dei 3mila giornalisti “dormienti”: sono coloro che, iscritti all’Inpgi, non versano da tempo contributi. Costoro, se hanno più di 12 mesi di versamenti, mantengono il diritto di voto. Ma chi sono i dormienti? Persone che hanno cambiato “mestiere” o che vivono di collaborazioni? Sono incluse nel numero dei giornalisti attivi? Oggi il rapporto attivi-pensionati è di 2,72/1.


Le pensioni pagate dall’Istituto sono 5.284: 3.529 pensioni dirette, 464 pensioni indirette, 1.291 trattamenti di reversibilità. L'aumento 2003 della spesa pensionistica (5,56%) è superiore alla crescita della contribuzione Ivs corrente (3,43%). Anche questi numeri dovrebbero determinare meditazioni  ragionevoli.


L’Inpgi deve tornare pubblico (come l’Inps), perché i giornalisti non devono  convivere con il rischio di ricevere un  certo giorno la pensione sociale. Voglio l’Inpgi pubblico come l’Inps per sentirmi, andando avanti negli anni (Dio volendo), più sicuro per quanto riguarda l’accredito mensile della pensione sul conto corrente bancario. E non sono il solo a pensarla così. L’Inpgi privatizzato, privo dello scudo pubblico, mi fa paura. Il ministro Maroni, intervistato recentemente da “Il Sole 24 Ore”, ha detto che tutte le casse privatizzate hanno una prospettiva non certa. Nessuno  dice che se le cose dovessero andare male (faccio scongiuri), lo Stato, secondo una sentenza della Corte costituzionale, dovrà sì garantire il diritto alla pensione ma non avrà l’obbligo di garantire il  “quantum” (cioè l’assegno in essere). Ne consegue che lo Stato assolverà il suo obbligo (articolo 38 della Costituzionale) passando ai giornalisti iscritti all’Inpgi soltanto l’assegno sociale (meno di 400 euro al mese). Perché dobbiamo correre simili paurosi rischi? Perché non riflettere sulla necessità di ritornare al pubblico e al “come eravamo” fino al 1994?. L’Inpgi non ammette la pericolosità attuale dei bilanci (incassiamo 100 e spendiamo 90). Fortunatamente l’Inpgi  è l’unica cassa privatizzata qualificata dall’articolo 76 (punto 4) della legge 388/2000 “ente sostitutivo dell’Inps”. L’altro collegamento Inpgi.-Inps è rappresentato dall’articolo 3 della “legge Vigorelli” (n. 1122/1955): i due enti, in presenza di contributi versati all’uno e all’altro Istituto, danno la pensione pro-quota (cioè “ripartita in proporzione dell’importo dei contributi a ciascuno versati”). Questi collegamenti con l’Inps, in caso di emergenze, potrebbero significare la salvezza. Nessuno ha la palla di vetro. Il problema è: aumenteranno gli occupati stabili o no?  Dalla risposta dipende il futuro dell’Inpgi. Preparare scenari diversi (tra cui quello del ritorno al pubblico) è soltanto una misura dettata dalla prudenza. Significa  comportarsi da buoni padri di famiglia.


Alla Corte dei Conti (sezione controllo enti) la patata bollente dei finanziamenti Inpgi al sindacato. Nel corso dell’assemblea del Consiglio generale dell’Inpgi del 23 ottobre, il presidente del collegio dei sindaci, Michele Daddi, ha comunicato che il collegio ha deciso di trasmettere alla sezione controllo enti della Corte dei Conti la lettera 13 ottobre 2003 del presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, che ha chiesto chiarimenti sui finanziamenti dell’Istituto alla Fnsi e alle sue strutture regionali per un importo pari a circa 2,4 miliardi di vecchie lire. Questi i contributi: Fnsi, due assegni rispettivamente di  77.368 e 72.532 euro (pari a circa 300 milioni di vecchie lire); Associazione ligure 49.717 euro (come Trento, Trieste e Firenze); Associazione  Emilia/Romagna 65.580 euro (come Napoli, Palermo e Venezia); Torino 77.271 euro; Aosta 17.953; Milano 159.089; Ancona 28.256 (come Pescara);  Perugia 19.366; Roma 166.988; Reggio Calabria 37.028 (come Bari e Cagliari);  Potenza 20.062. Quale legge autorizza l’Inpgi a finanziare il sindacato con norma statutaria?


Bisognerà far chiarezza anche sui 180.759 euro elargiti dalla Banca di Roma all’Istituto e destinati, come ha ammesso Gabriele Cescutti  con la circolare (Prot. Pres. N. 560) del 14 ottobre 2003 "alle spese sostenute per convegni, congressi, scopi istituzionali dell’Istituto stesso, e per interventi a favore di associazioni di categoria".  Cescutti non ha smentito la notizia (da me resa pubblica il 12 ottobre 2003 e segnalata ufficialmente all’Inpgi il giorno successivo) secondo la quale gli “aiuti” della Banca di Roma non vengono contabilizzati in bilancio. Entrate e uscite di questa “voce”, quindi, non figurano nei conti con il risultato che il bilancio non  appare “veritiero” (articolo 2423 Cc) e che conseguentemente vengono elusi i principi di trasparenza e di pubblicità. Ma quali sono le regole in base alle quali vengono erogati i contributi? La questione è tecnico/giuridica ma è anche politica. Nessuno sa nulla sulle erogazioni della Fondazione al sindacato e sulle erogazioni collegate ai 180mila euro della Banca di  Roma. Sull’argomento non c’è una comunicazione pubblica agli iscritti, che pure versano i loro contributi all’Istituto e che ne sono in effetti gli “azionisti”.


Sono oltre 2.000 i praticanti d’ufficio dal 1989 ad oggi. L’Ordine di Milano ha salvato i conti dell’Inpgi. Il Consiglio dell’Ordine della Lombardia ha fissato da tempo delle  regole per il riconoscimento del praticantato d’ufficio. Il Consiglio ha difeso la legalità e i diritti di tanti vessati nelle redazioni. Sono presidente dell’Ordine di Milano dal 15 maggio 1989: da allora il Consiglio, ha iscritto nel Registro oltre 2.000 praticanti d’ufficio (comprendendo in questo numero anche le delibere di  retrodatazione delle iscrizioni). Abbiamo contributo a  salvare i conti dell’Inpgi. Oggi tutto questo lavoro viene  sminuito  da alcuni strani e “pentiti” personaggi, che hanno lavorato con me (in via Monte Santo 7 e in via Appiani 2), approvando le mie richieste in sede di votazione. L’Ordine di Milano non fa la carità, ma applica rigorosamente le leggi della  Repubblica democratica in difesa di chi lavora come giornalista (”in nero”). Ho guadagnato anche diverse denunce, ma ne sono uscito sempre vittorioso. Sono le mie medaglie…al valore civile. Tengo a precisare che io, i consiglieri e i sindaci lavoriamo, come si diceva il secolo scorso, a titolo onorifico e  gratuito. Questo è anche il nostro orgoglio.


Franco Abruzzo


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1. Tutto quello che i giornalisti non sanno


e che il sindacato non spiega:


Età pensionabile a 65 anni (maschi)


e a 60 anni (donne) dall’1. 1. 2007


(5mila giovani già con il contributivo)


Dal 1° gennaio 2001 i giornalisti conseguono la pensione di vecchiaia a 65 anni e le giornaliste a 60 anni (con un minimo di 20 anni di contributi). La  pensione di vecchiaia anticipata (quest’anno scatta per chi ha 62 anni e 30 anni di contributi) scomparirà alla fine del 2006, quando termineranno le scorciatoie ancora oggi in vigore  (e per i prossimi tre anni). Dal primo gennaio 2007, quindi, i giornalisti andranno in pensione tutti a 65 anni (se maschi) e a 60 (se donne). Ai giovani giornalisti assunti per la prima volta dopo il 25 luglio 1998 (sono 5mila, un terzo dei giornalisti attivi) si applica già il calcolo contributivo con il risultato che gli stessi percepiranno una pensione inferiore del 22-24 per cento rispetto  a quelle erogate oggi ai colleghi meno giovani. Nessuno  dice che se le cose dovessero andare male (faccio scongiuri), lo Stato garantirà il diritto alla pensione (ma non il quantum) e darà ai  giornalisti Inpgi soltanto l’assegno sociale (meno di 400 euro al mese). Perché dobbiamo correre simili paurosi rischi? Perché non riflettere sulla necessità di ritornare al pubblico e al “come eravamo” fino al 1995?. L’Inpgi non ammette la pericolosità attuale dei bilanci (incassiamo 100 e spendiamo 90).


 


2. L’autonomia dei giornalisti


(come  afferma il  Contratto)


poggia solo sulla deontologia


La Fnsi favoleggia sulla presunta  “autonomia previdenziale dei giornalisti”. Che non esiste. E’ un mito. La sezione lavoro della  Cassazione ha già stabilito (sentenza n.  6680/2002) che l’Inpgi, essendo ente sostituivo dell’Inps, deve applicare i principi contenuti nella legge finanziaria per il 2001 (legge n. 388/2000). L’articolo 76 di questa legge stabilisce al punto 4 che “le forme previdenziali gestite dall'INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive". “Ne consegue – ha scritto la terza sezione del  Tar Lazio con la sentenza n. 5280/2003 -  che l'esercizio della potestà di autonomia normativa e del dovere di garantire l'equilibrio finanziario della gestione…. a decorrere dall'entrata in vigore della legge finanziaria 2001 richiede il coordinamento specifico con le norme generali che regolano il sistema contributivo e delle prestazioni previdenziali”. L’unica autonomia dei giornalisti da difendere a spada tratta  è quella che, richiamata dall’articolo 1 (III comma) del Contratto,  è “garantita” dalla deontologia fissata nell’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963: “La legge su «Ordinamento della professione giornalistica» del 3 febbraio 1963 n. 69 garantisce l'autonomia professionale dei giornalisti e fissa i contenuti della loro deontologia professionale specificando che «è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede»”.


 (da Tabloid n. 11/2003)


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La risposta dell’Istituto:


“La  riforma pensioni non ci riguarda.


Il bonus contributivo può,


ma non deve, essere recepito”


 Roma, 19 ottobre 2004.    Il dibattito che precede l'elezione dei delegati al prossimo Congresso della Fnsi, rileva una nota dell' Inpgi, sta interessando anche il settore previdenziale e l'Inpgi, ''con notizie inesatte che è opportuno precisare'' e che riguardano l'età pensionabile, il cosiddetto superbonus e la stabilità stessa dell' Inpgi che coinvolge il futuro di  molti giornalisti.


Età pensionabile -  La riforma previdenziale approvata dal Parlamento, sottolinea l'Inpgi, ''non interessa i giornalisti in quanto l'Inpgi, come tutti gli enti privatizzati, è stato escluso dalla nuova norma''. Di conseguenza, nota l'istituto, i requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità Inpgi sono i seguenti: almeno 57 anni di età e 35 anni di contributi, oppure 40 anni di contributi con qualsiasi età anagrafica. Per l'accesso alla pensione di anzianità la riforma generale ha innalzato l'età anagrafica. ''Ma l'Inpgi  - si legge nella nota - non è obbligato ad adeguarsi. Restano confermati i requisiti per la pensione di vecchiaia che sono sempre i seguenti: 65 anni di età per gli uomini e 60 per le donne, con un minimo contributivo per entrambi di 20 anni.


Superbonus -  Anche a questo riguardo, rileva l'istituto, il decreto attuativo del Ministro del Lavoro rispetta l'autonomia della Casse previdenziali privatizzate, ''e prevede che l'Inpgi possa, ma non sia obbligato,  recepire la norma sul superbonus.Ogni decisione deve tener conto che il bonus contributivo è stato concepito dal legislatore per  “incentivare il posticipo al pensionamento, ai fini del contenimento della spesa”. Quindi il Cda dell'Istituto previdenziale dei giornalisti deve accertare se, adottando la regola del superbonus, la spesa sia destinata a diminuire o ad aumentare. Se cioè la differenza fra contribuzione che verrebbe a mancare, e pensioni non corrisposte, determinerebbe un beneficio ovvero un danno all'Inpgi e quindi alla categoria nella sua generalità''.


Stabilità dell'Inpgi - L'assestamento al bilancio di previsione 2004, che sarà discusso in novembre, rileva infine la nota, ''evidenzia un avanzo di gestione di 67,671 milioni di euro, superiore di quattro milioni all'avanzo del consuntivo 2003. Una situazione dunque solida, che tuttavia richiede l'adozione di misure le quali allontanino i rischi che si potrebbero profilare negli anni futuri''.   Questa realtà, sottolinea l'Inpgi, era stata già espressa  dal bilancio tecnico triennale predisposto nel 2001, che evidenziava dal 1ø gennaio 2019 l'inizio di un disequilibrio tra entrate contributive e pensioni. Di conseguenza il Cda aveva  proposto l'adozione di una mini riforma previdenziale che, pur approvata dal Consiglio generale, non era poi entrata in vigore.


Oggi quella situazione è confermata da un nuovo bilancio tecnico attuariale, il quale prevede che il punto di criticità decorra dal 1° gennaio 2017. Questo peggioramento è determinato dall'opportuna decisione dell'attuario di tener conto anche dell' onere dei prepensionamenti per stati di crisi, i quali provocano un aumento di spesa annuo pari a 13 milioni di euro.   La situazione è stata già discussa dal Cda, conclude la nota,  che a breve affronterà l'esigenza di proporre le opportune misure al fine di garantire la stabilità dell'Istituto non solo nel presente, ma anche nel piu' lontano futuro. (ANSA).


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Arrigoni: "La bancarotta è ineludibile"


Caro Presidente, il tuo grido d'allarme sull'INPGI non sarà compreso dai più ma rappresenta una situazione davvero drammatica e preoccupante, dato che se l'attuario afferma che le entrate non copriranno le uscite, e sappiamo tutti come le rendite del patrimonio siano insufficenti, l'unica alternativa è la bancarotta. Questo potrebbe avvenire presto o tardi, a seconda della capacità di sopravviovenza degli iscritti, ma si presenta come ineludibile.


Dispiace non sentire nuovamente la sottolineatura sulla indebita ingerenza della componente assistenziale che, complice la demagogia di certe componenti della professione, ha affossato i conti dell'Ente.


Dato il carattere pubblicistico dello stesso come si fa a gestirlo, e controllarne la gestione, in presenza di un default annunciato? Forse un intervento drastico e rivoluzionario potrebbe limitare i danni Cordialmente


Alberto Arrigoni


dottore commercialista in Milano


e giornalista pubblicista


 


 


 





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