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  Deontologia e privacy
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Privacy e giornalismo. Il documento del Garante
per la protezione dei dati personali
(commento pubblicato in www.altalex.com del 23/9/2004).

di Giuseppe Briganti, avvocato


 


Premessa


Con il documento dell’11 giugno 2004 “Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti”[1] il Garante per la protezione dei dati personali fornisce delucidazioni e puntualizzazioni in ordine ad alcune problematiche emerse dagli incontri del gruppo di lavoro costituito tra l’Autorità e l’Ordine nazionale dei giornalisti, il quale ha svolto una riflessione sul Codice deontologico dei giornalisti a sei anni dalla sua entrata in vigore[2].


 


Il documento, alla luce del nuovo Codice della privacy[3], cerca dunque di offrire indirizzi e risposte relativamente ad alcune delicate questioni quali autonomia e responsabilità del giornalista; rapporti con le pubbliche amministrazioni; diffusione di fotografie; nomi delle persone nelle cronache giudiziarie; dati sulla salute e sulla vita sessuale.


In estrema sintesi, in virtù di esso è possibile indicare come segue alcune linee guida per il giornalista o possibili soluzioni nei casi pratici, le quali saranno meglio illustrate nel prosieguo[4]:


1) viene riaffermata la responsabilità del giornalista, al quale spetta acquisire, selezionare, scegliere i "dati utili ad informare la collettività", in assoluta autonomia;


2) è il giornalista a valutare se la notizia sia di interesse pubblico e se il particolare che si sta per pubblicare (anche quello che rientra nella sfera privata del singolo) sia essenziale all'informazione;


3) il Garante ricorda (più volte lo aveva già fatto in passato) che la pubblica amministrazione ha precisi obblighi di trasparenza, derivanti da leggi. Dunque, "la disciplina sulla tutela dei dati personali non può in quanto tale essere invocata strumentalmente per negare l'accesso ai documenti";


4) i provvedimenti pronunciati dal Garante in questi anni hanno più volte chiarito che il giornalista può acquisire legittimamente, ad esempio: l'ammontare dei redditi dei contribuenti; le situazioni patrimoniali di coloro che ricoprono cariche pubbliche; i dati contenuti negli albi professionali; i risultati scolastici ecc. Se l'acquisizione è lecita, il Garante sottolinea però che la diffusione di queste informazioni deve essere essenziale alla notizia. Questo requisito dell'essenzialità costituisce il perno della normativa sulla privacy;


5) quanto alle foto dei bambini, il Garante ricorda che lo spirito delle norme esistenti è quello di non recare danno al minore e, pertanto "può ritenersi lecita, salvo casi assai particolari, la diffusione di immagini che ritraggano il minore in momenti di svago e di gioco";


6) possono essere pubblicate, anche senza il consenso dell'interessato le foto di "persone in luoghi pubblici", purché non siano lesive del decoro e della dignità e purché il fotografo non abbia fatto ricorso ad artifici e pressioni indebite;


7) il Garante ribadisce il già noto divieto di pubblicare le foto "segnaletiche", fornite dalle forze dell'ordine per scopi di giustizia. Ma si deve notare che ciò non impedisce affatto di pubblicare "altre" immagini dei soggetti indagati od arrestati (purché acquisite lecitamente). Il diritto di cronaca va ribadito anche qui, pur sapendo che la legge prescrive "canoni di liceità e correttezza", sempre in base al criterio della "essenzialità, pertinenza e non eccedenza";


8) i nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio possono essere resi noti. Qui il Garante sottolinea la necessità di salvaguardare altre persone non direttamente implicate e fa notare che, ad esempio nella fase iniziale dell'indagine giudiziaria, le generalità di chi vi si trova coinvolto e il giudizio sull'entità dell'addebito possono creare problemi "non tanto per la riservatezza della notizia, quanto per l'enfasi del messaggio erroneo dato al lettore riguardo al grado di responsabilità già accertata".


 


Autonomia e responsabilità del giornalista


Come si legge nel documento in parola, le norme dettate in materia di trattamento dei dati personali a fini giornalistici[5] si limitano ad individuare solo alcuni parametri entro cui assicurare il rispetto dei diritti e libertà fondamentali protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali la riservatezza, l’identità personale e il “nuovo” ed importante diritto alla protezione dei dati personali[6], senza pregiudicare la libertà di informazione che è tutelata anch’essa sul piano delle garanzie costituzionali[7].


Il Garante rileva che la scelta di non introdurre regole rigide in materia, bensì di limitarsi ad indicare espressamente solo alcuni presupposti – scelta sostenuta dall’Ordine dei giornalisti e condivisa dal Garante al momento della stesura del Codice deontologico – si è basata su due ordini di considerazioni.


Da una parte, si è tenuto conto del fatto che la molteplicità e la varietà delle vicende  di cronaca e dei soggetti che in esse sono coinvolti non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e poi diffusi nel riferire sui singoli fatti: un medesimo dato può essere infatti legittimamente pubblicato in un determinato contesto e non invece in un altro.


D’altra parte, una codificazione minuziosa di regole in questo ambito risulterebbe inopportuna in un quadro nel quale sono assai differenziate le situazioni nelle quali occorre valutare nozioni generali dai confini non sempre immutati nel tempo (essenzialità dell’informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l’autonomia e la responsabilità del giornalista.


Alla luce di tali considerazioni, il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resta pertanto, in sostanza, affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente – in particolare, del Codice deontologico – e assumendosi la responsabilità del proprio operato. 


 


Interesse pubblico e essenzialità dell’informazione


Il giornalista è tenuto a valutare, in primo luogo, quando una notizia riveste effettivamente un rilevante interesse pubblico e, successivamente, quali particolari relativi a tale notizia sia essenziale diffondere al fine di svolgere la funzione informativa sua propria.


La diffusione di un determinato dato può essere ritenuta necessaria quando la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono coinvolti.


Quando non si ravvisa tale necessità oppure quando vi siano specifiche limitazioni di legge alla divulgazione di informazioni spesso connesse a determinati fatti di cronaca, rileva il Garante, il giornalista può comunque riferire di questi ultimi prediligendo soluzioni che tutelino la riservatezza degli interessati (ricorrendo ad esempio all’uso di iniziali, di nomi di fantasia e così via).


Deve in proposito tuttavia evidenziarsi come, in taluni casi, la semplice omissione delle generalità delle persone non basta, di per sé, ad escludere l’identificazione delle medesime: detta identificazione, infatti, potrebbe realizzarsi attraverso la combinazione di più informazioni concernenti la persona (l’età, la professione, il luogo di lavoro, l’indirizzo dell’abitazione, ecc.).


 


Accesso alle informazioni: i rapporti con le pubbliche amministrazioni


L’Autorità ricorda innanzitutto come viene spesso lamentato che le pubbliche amministrazioni giustificano la propria decisione di non fornire informazioni ai giornalisti dietro una supposta applicazione della legge sulla privacy.


Al riguardo, è stato più volte evidenziato anche dallo stesso Garante che la legge 675/1996 prima e, ora, il Codice della privacy non hanno inciso in modo restrittivo sulla normativa posta a salvaguardia della trasparenza amministrativa e che, quindi, la disciplina sulla tutela dei dati personali non può essere in quanto tale invocata strumentalmente per negare l’accesso ai documenti, fatto comunque salvo il peculiare livello di tutela assicurato per certe informazioni e, in particolare, per i dati sensibili[8].


 


Le difficoltà per il giornalista di accedere a determinati documenti in possesso di uffici pubblici deriva dunque, prosegue il Garante, non tanto dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, quanto dalla normativa sull’accesso ai documenti amministrativi, la quale, laddove il documento non è segreto, impone comunque di valutare l’eventuale necessità di tutelare la riservatezza di un terzo, ma prima ancora prescrive (non solo nei confronti del giornalista) che chi richiede il documento debba dimostrare la necessità di disporne per la tutela di un interesse giuridicamente rilevante e concreto.


Vi sono in proposito alcune aperture della giurisprudenza amministrativa, che ritiene legittimato all’accesso anche chi intende esercitare al riguardo il diritto di cronaca[9], ma il punto, rileva l’Autorità, non è pacifico.


Il giornalista può quindi chiedere di acquisire le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni utilizzando gli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico: presentando istanza in conformità a quanto previsto dalla legge 241[10] o da leggi speciali o, più semplicemente, consultando albi, elenchi ecc. quando la legge ha previsto un siffatto regime di pubblicità.


In tale ottica, e fatte salve le valutazioni che seguiranno in ordine alla loro possibile diffusione, il giornalista potrà ad esempio chiedere di acquisire o venire legittimamente a conoscenza delle informazioni concernenti:


- l’ammontare complessivo dei dati reddituali dei contribuenti, presso i comuni;


- le situazioni patrimoniali di coloro che ricoprono determinate cariche pubbliche o di rilievo pubblico per le quali è spesso previsto un regime di pubblicità;


- analogamente, le classi stipendiali, le indennità e gli altri emolumenti di carattere generale corrisposti da concessionari pubblici;


- le pubblicazioni matrimoniali affisse all’albo comunale;


- notizie relative ad alcuni nati e ad alcuni deceduti (possono essere rivolte specifiche domande all’ufficiale di stato civile, ma non si ha ad esempio diritto a ricevere un elenco giornaliero);


- gli esiti scolastici e concorsuali per i quali l’ordinamento prevede spesso un regime di pubblicità;


- i dati contenuti negli albi professionali;


- i dati contenuti nelle deliberazioni degli enti locali (per esempio anche mediante l’accesso alle sedute consiliari degli organi collegiali e la relativa ripresa televisiva);


- la situazione patrimoniale delle società e, in generale, i dati pubblici presso le camere di commercio.


Questo per quanto riguarda l’acquisizione delle informazioni. Rimane poi affidata alla responsabilità del giornalista, sottolinea il Garante, l’utilizzazione lecita del dato raccolto e quindi la sua diffusione secondo i parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo[11].


La legge sulla privacy e il Codice entrato in vigore nel gennaio scorso non hanno poi certamente “abrogato” – evidenzia ancora il Garante – i noti limiti generali al diritto di cronaca che la giurisprudenza ordinaria, da diversi anni, considera stabilizzati[12].


 


Diffusione di fotografie


 


a) Immagini di minori


Le disposizioni che tutelano la riservatezza dei minori si fondano sul presupposto che la pubblicità dei loro fatti di vita possa arrecare danno alla loro personalità. Questo rischio può non sussistere – osserva l’Autorità – quando il servizio giornalistico dà positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare in cui si sta formando.


 


Pertanto, rileva il Garante, può ritenersi lecita, ad esempio, salvo casi assai particolari, la diffusione di immagini che ritraggono un minore in momenti di svago e di gioco.


Resta comunque fermo l’obbligo per il giornalista di acquisire l’immagine stessa correttamente, senza inganno e in un quadro di trasparenza, nonché di valutare, volta per volta, eventuali richieste di opposizione da parte del minore o dei suoi familiari.


I principi di cui sopra trovano naturalmente applicazione anche con riferimento alle immagini che ritraggono personaggi noti insieme ai loro figli, ad esempio nel contesto di un servizio che voglia testimoniare il rapporto positivo tra gli stessi.


Anche in detto ambito è del resto affidata al giornalista una prima valutazione in ordine al rischio che tale spettacolarizzazione possa incidere negativamente sul minore e sulla sua famiglia.


Si dovrà in ogni caso evitare che la diffusione del tipo di dati in parola assuma carattere sistematico: è infatti evidente la differenza che esiste fra la raccolta occasionale dell’immagine delle persone che in un certo momento si trovano in un luogo pubblico ed invece la ripresa sistematica di tale situazione.


Analoghe considerazioni in ordine alla liceità della diffusione possono essere formulate con riferimento alle immagini di neonati, le quali si caratterizzano per avere una più ridotta valenza identificativa[13].


 


b) Fotografie relative a soggetti ripresi in luoghi pubblici


Di regola, le immagini che ritraggono persone in luoghi pubblici possono essere pubblicate, anche senza il consenso dell’interessato, purché non siano lesive della dignità e del decoro della persona.


Come il Garante ha avuto modo di precisare in alcune delle sue pronunce, il fotografo è comunque tenuto a rendere palese la propria identità e attività di fotografo e ad astenersi dal ricorrere ad artifici e pressioni indebite per perseguire i propri scopi.


Anche qui il giornalista deve d’altronde compiere una valutazione caso per caso, dovendo egli tenere presente il contesto del servizio giornalistico e l’oggetto della notizia[14].


Inoltre, nel documentare con fotografie fatti di cronaca che avvengono in luoghi pubblici, il giornalista e/o il fotografo sono chiamati a valutare anche quale tipo di inquadratura scegliere, astenendosi dal focalizzare l’immagine su singole persone o dettagli personali se la diffusione di tali dati risulta non pertinente e eccedente rispetto alle finalità dell’articolo.


 


c) Fotografie degli arrestati e degli indagati


Per quanto concerne le foto segnaletiche, queste, anche se esposte nel corso di conferenze stampa tenute dalle forze dell’ordine o comunque acquisite lecitamente, non possono essere diffuse se non in vista del perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (accertamento, prevenzione e repressione dei reati).


Inoltre, anche nell’ipotesi di evidente e indiscutibile “necessità di giustizia o di polizia” alla diffusione di queste immagini, il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione.


Tali principi – più volte ricordati dal Garante – trovano conferma in diverse circolari emanate dalle forze di polizia, oltre ad essere richiamati, con riferimento alla generalità dei dati personali, nell’art. 25, comma 2 del Codice della privacy[15].


Con riguardo, in secondo luogo, alle immagini che documentano operazioni di arresto, il Garante osserva che tali immagini non possono essere diffuse quando siano lesive della dignità dell’interessato.


Questo principio – che è alla base dei limiti già previsti dall’ordinamento relativamente alla diffusione di immagini che ritraggono persone in manette o sottoposte ad altro mezzo di coercizione fisica[16] – deve guidare il giornalista nella decisione sulla diffusione di altre immagini collegate ad operazioni di arresto.


Con riferimento, infine, ad altre foto a corredo di notizie su arresti, indagini e processi (ad esempio foto tratte da documenti di riconoscimento, da album familiari, o scattate nelle aule giudiziarie), in relazione a tali dati, rileva l’Autorità, a parte le prescrizioni che può impartire il giudice durante il dibattimento e le garanzie previste per le riprese televisive durante il processo, valgono i parametri generali che guidano il giornalista nell’esercizio della propria attività.


Tra questi parametri il Garante ricorda quello che impone di acquisire, e successivamente utilizzare, dette immagini in modo lecito e secondo correttezza, nonché di diffondere le stesse secondo la dovuta valutazione in ordine alla loro essenzialità, pertinenza e non eccedenza avuto riguardo alla notizia riferita.


In primo luogo, dunque, al fine di conformarsi ai citati canoni di liceità e correttezza, sarà necessario informare le persone presso cui sono raccolte le immagini nonché, ove possibile, gli interessati in merito all’utilizzo delle immagini acquisite (art. 2 Codice deontologico)[17].


 


Nomi delle persone nelle cronache giudiziarie


a) Nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio


I nomi degli indagati e degli arrestati, al pari di altre informazioni, possono essere soggetti al regime di segretezza-pubblicità eventualmente operante in base alle disposizioni dell’ordinamento processuale penale[18].


Tali dati dunque, di regola, possono essere resi noti, fatti salvi i divieti di diffusione ricavabili dalle suddette disposizioni e ferma restando la necessità che la notizia sia acquisita lecitamente, ad esempio da una parte che ha già legale conoscenza di un atto notificato.


La possibilità di diffondere queste informazioni, precisa il Garante, deve tuttavia misurarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute ai soggetti in parola.


Il giornalista deve valutare, ad esempio, se sia opportuno rendere note le complete generalità di chi si trova interessato da un’indagine ancora in fase assolutamente iniziale, e modulare il giudizio sull’entità dell’addebito. A volte, invece, osserva l’Autorità, l’addebito viene descritto senza evidenziare la fase iniziale dell’investigazione, con problemi non tanto per la riservatezza della notizia, quanto per l’enfasi del “messaggio” erroneo dato al lettore riguardo al grado di responsabilità già accertata.


Potrà invece verificarsi anche il caso in cui la diffusione dei nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio, pure astrattamente possibile, dovrà essere evitata al fine di tutelare la riservatezza e il diritto alla protezione dei dati relativi ad altri soggetti coinvolti nell’indagine giudiziaria.


Detto principio potrà trovare applicazione anche al di fuori delle ipotesi in cui i dati di tali soggetti trovino tutela in un’esplicita disposizione di legge, come ad esempio avviene per quanto attiene alle vittime dei reati di pedofilia o violenza sessuale.


In termini generali, il Garante ribadisce che l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene amministrata la giustizia devono comunque bilanciarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute all’indagato e all’imputato: la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, il diritto di difesa e ad un giusto processo[19].


Il giornalista sarà perciò tenuto a valutare, volta per volta, gli elementi che caratterizzano l’episodio di cronaca e che possono far propendere per una minore o maggiore pubblicità dei dati a seconda della fase delle indagini, della fase e del tipo di procedimento (ad esempio procedimenti che si svolgono con la presenza del pubblico, procedimenti in camera di consiglio), delle caratteristiche del soggetto ritenuto autore del reato.


 


La diffusione dei nomi di persone condannate e, in generale, dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali deve inquadrarsi nell’ambito delle disposizioni processuali vigenti, di regola improntate ad un regime di tendenziale pubblicità.


Potranno essere pubblicati, ad esempio – come già ricordato dal Garante in alcune sue pronunce – l’identità, l’età, la professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata ad una persona maggiorenne ove risulti la verità dei fatti, la forma civile dell’esposizione e la rilevanza pubblica della notizia[20].


Rispetto ai casi riguardanti gli indagati e gli imputati, i dati dei condannati possono essere diffusi più liberamente in ragione della minore incertezza sulla posizione processuale dell’interessato, essendo già intervenuto su di essa un primo giudizio da parte dell’Autorità giudiziaria. Tuttavia, anche l’applicazione di tale principio va valutata caso per caso, dovendo prendere in considerazione, fra l’altro, il tipo di soggetti coinvolti (ad esempio, persone con handicap o disturbi psichici, o, ancora, ragazzi molto giovani), il tipo di reato accertato e la particolare tenuità dello stesso, l’eventualità che si tratti di condanne scontate da diversi anni o assistite da particolari benefici (ad esempio quello della non menzione nel casellario), in ragione dell’esigenza di promuovere il reinserimento sociale del condannato.


Il giornalista dovrà inoltre verificare volta per volta se la pubblicazione dei dati identificativi del condannato – in linea generale consentita – debba nel concreto essere evitata al fine di impedire l’identificazione della vittima del reato accertato o di altre persone meritevoli di tutela.


Grazie al Codice della privacy, osserva il Garante, l’accesso al pubblico delle sentenze depositate nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario è più agevole, in quanto esse potranno essere rese accessibili anche via Internet, tramite il sito istituzionale dell’ufficio giudiziario[21], rendendo superflua una richiesta presentata di persona da chi dovrebbe altrimenti dimostrare di avere legittimo interesse alla copia.


Nell’effettuare le predette valutazioni, il giornalista non potrà non tener conto del bilanciamento di interessi effettuato in un altro fronte: le sentenze pubblicate per finalità di informatica giuridica (non giornalistiche, quindi) dallo stesso ufficio giudiziario, oppure da riviste giuridiche anche on-line, potranno infatti in alcuni casi più delicati non recare il nome di taluna delle parti o di terzi (minore, delicati rapporti di famiglia, ecc.)[22].


 


b) Nomi delle vittime, dei testimoni e di altre persone


Un particolare rigore nel valutare l’essenzialità dell’informazione rispetto ad un fatto di cronaca andrà osservato dal giornalista – evidenzia l’Autorità – con riferimento ai nomi delle vittime di reato, anche al di fuori dei casi in cui sussistono limiti specifici.


Nel procedere a tale valutazione possono assumere rilievo, unitamente o separatamente, il tipo di conseguenze subite da parte della vittima, il decorso del tempo, la volontà eventualmente espressa dalla stessa nonché i possibili rischi per la vittima medesima.


In primo luogo, dunque, ragioni di riservatezza e di tutela dei dati potranno prevalere quando l’episodio di cui l’interessato è stato vittima ha provocato conseguenze di carattere permanente sulla sua salute fisica e/o psicologica. In secondo luogo, la stessa cautela dovrà essere adottata quando il giornalista si trovi a trattare episodi di cronaca verificatisi nel passato: ciò al fine di evitare che alla sofferenza pregressa patita dall’interessato si aggiunga quella di essere sottoposto nuovamente alla pubblica attenzione.


Le medesime ragioni di tutela dei dati personali potranno altresì prevalere nei casi in cui la vittima abbia manifestato la volontà che i propri dati non siano resi pubblici (fermo restando il fatto che il giornalista può procedere alla pubblicazione dei diversi dati anche in assenza del consenso da parte degli interessati).


Osserva in proposito il Garante che il suddetto principio trova fra l’altro fondamento nella possibilità, per ogni soggetto interessato, di opporsi anche in anticipo per motivi legittimi alla pubblicazione ex art. 7 del Codice della privacy[23].


Infine, il giornalista dovrà tener conto della possibilità che la diffusione di notizie circa l’avvenuto reato ai danni di una determinata persona possa comportare rischi per la stessa, in relazione, tra l’altro, alla possibile ripetizione dello stesso reato nei suoi confronti.


Anche con riferimento ai nomi dei testimoni (e di persone che collaborano a vario titolo alle attività di giustizia) – e al di là dei limiti già previsti da disposizioni specifiche – prevalgono tendenzialmente ragioni di riservatezza.


Pure in questo caso è difficile generalizzare, non potendosi escludere la possibilità di diffondere l’identità e altre informazioni concernenti un testimone quando detta conoscenza sia essenziale rispetto alla notizia pubblicata.


Riguardo ai nomi di familiari e conoscenti di persone interessate da vicende giudiziarie, il giornalista, fatta salva la sussistenza di specifici divieti, potrà eventualmente rendere noti i dati relativi a persone che risultano direttamente coinvolte in tali vicende, astenendosi invece dal diffondere i nomi e altre informazioni che riguardino persone che non risultano coinvolte nelle indagini e che appaiono piuttosto collegate ai protagonisti dei fatti narrati, ad esempio, solo in ragione di precedenti relazioni sentimentali e convivenze avute con le stesse, ovvero in virtù di mere circostanze di fatto[24].


Principi questi che hanno trovato più volte richiamo da parte del Garante e dell’Autorità giudiziaria con riferimento, ad esempio, alla pubblicazione del contenuto delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche e ambientali.


 


Dati sulla salute e sulla vita sessuale


Particolari cautele sono prescritte al giornalista con riguardo alla circolazione di informazioni relative allo stato di salute, soprattutto quando la notizia riguarda persone – anche solo indirettamente identificabili – interessate da malattie gravi e irreversibili.


La necessità di proteggere tali persone da un’indebita intrusione sui loro fatti di vita e sulle loro scelte da parte dei mezzi di comunicazione giustificano pertanto gli interventi decisi dal Garante, come è avvenuto, ad esempio, per il caso della ragazza affetta dal morbo della c.d. “mucca pazza” o, più di recente, per la donna balzata sulle prime pagine dei giornali per il suo rifiuto di sottoporsi ad un intervento chirurgico ritenuto dai medici necessario per la salvarle la vita.


Quando simili informazioni vengono fornite dagli stessi interessati (ad esempio, mediante un’intervista) il giornalista può invece renderle pubbliche, assicurando in ogni caso che tale operazione non pregiudichi la dignità degli interessati medesimi.


Le informazioni relative alla sfera sessuale delle persone godono di una particolare protezione, analogamente a quelle relative allo stato di salute.


Al di fuori di tali ipotesi o di altre analoghe, il giornalista è chiamato ad effettuare un vaglio particolarmente attento sull’essenzialità di detto tipo di informazione nel contesto della notizia riportata, allo scopo di tutelare la dignità degli interessati ed evitare ingiustificate spettacolarizzazioni o strumentalizzazioni di scelte personali.


Ciò – sottolinea l’Autorità – anche quando la notizia riguardi personaggi pubblici (appartenenti, ad esempio, al mondo dello spettacolo o dello sport).


Fermo restando quanto sopra, nel riferire fatti di cronaca collegati ad abitudini o orientamenti sessuali di una persona si rivelerà in certi casi opportuno tutelare l’interessato, non solamente mediante l’omissione delle sue generalità, ma altresì evitando di divulgare elementi che consentono una sua identificazione anche solo nella cerchia ristretta di familiari e conoscenti.


Quanto precede in ragione del fatto che le informazioni diffuse possono rivelare aspetti della vita dell’interessato eventualmente non noti alla suddetta cerchia di persone.


Margini più ampi per la diffusione di dati relativi allo stato di salute o alle abitudini sessuali – anche in assenza del consenso dell’interessato – possono essere previsti con riferimento a persone che godono di particolare notorietà, eventualmente anche in ambito locale, in ragione del ruolo o funzione ricoperti. Ciò, però, solo quando l’informazione possa assumere rilievo sul loro ruolo e sulla loro vita pubblica e non vengano diffusi precisi dettagli.


In questi termini potrà, ad esempio, essere rilevante l’informazione relativa alla malattia che ha colpito un uomo politico o altra personalità di rilievo pubblico ove ciò sia necessario al fine di informare la collettività sulla possibilità che ha lo stesso uomo di continuare a svolgere il proprio incarico.


L’attuazione delle misure organizzative previste per gli organismi sanitari dall’art. 83 del Codice della privacy potrà infine essere di ausilio per chiarire entro quali limiti possono essere fornite, anche per telefono, informazioni a familiari e a terzi circa il ricovero, il passaggio in pronto soccorso, il decesso, ecc.[25].


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NOTE


[1] Il documento in parola può essere consultato sul sito www.garanteprivacy.it all’indirizzo www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1007634.


Si riporta il testo del comunicato stampa rilasciato dal Garante per la protezione dei dati personali in data 11 giugno 2004.


“Tutela assoluta dei minori, trasparenza delle fonti pubbliche, corretto uso di fotografie e foto segnaletiche, divieti e rischi della diffusione dei dati sulla salute, rapporti tra cronaca e giustizia, privacy ‘attenuata’ per i personaggi pubblici.


Il Garante (Stefano Rodotà, Giuseppe Santaniello, Gaetano Rasi, Mauro Paissan) interviene sul delicato rapporto tra privacy e giornalismo con un documento complessivo, la cui stesura finale è stata curata per il Garante da Mauro Paissan, in cui fornisce chiarimenti e puntualizzazioni su alcune problematiche emerse dagli incontri del gruppo di lavoro, costituito tra l’Autorità e l’Ordine nazionale dei giornalisti, che ha svolto una riflessione sull’applicazione del codice deontologico dei giornalisti a sei anni dalla sua entrata in vigore.


L'obiettivo è quello di sempre: trovare un punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto di ogni persona ad essere rispettata, nella sua dignità, nella sua identità, nella sua intimità.


I chiarimenti, desumibili in gran parte dalla giurisprudenza del Garante e dalle più recenti novità normative intervenute a livello nazionale ed europeo, riguardano trattamenti di dati personali effettuati mediante i tradizionali mezzi di informazione (televisione, radio e carta stampata). Successive riflessioni potranno prendere in considerazione le problematiche attinenti all’uso di Internet.


Il documento, una sorta di guida pratica (consultabile sul sito www.garanteprivacy.it), cerca di fornire indirizzi e risposte ad alcuni problemi spinosi che le redazioni si trovano spesso ad affrontare e basta scorrere le varie sezioni per avere un quadro della complessità dei temi: autonomia e responsabilità del giornalista; interesse pubblico ed essenzialità dell’informazione; accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni; diffusione di fotografie; nomi delle persone nelle cronache giudiziarie; dati sulla salute e sulla vita sessuale.


La molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca - si legge nel documento - non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e diffusi nel riferire su singoli fatti: un medesimo dato legittimamente pubblicato in un contesto può non esserlo in un altro. D’altra parte una codificazione minuziosa risulterebbe inopportuna.


Ma se il bilanciamento tra diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero resta, dunque, affidato innanzitutto al giornalista e alla sua responsabile valutazione, la sua attività deve comunque svolgersi nel rispetto di principi e diritti posti a tutela della riservatezza e dignità della persona”.


 


[2] Il testo del Codice deontologico dei giornalisti (provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, GU 179 del 3 agosto 1998) può essere consultato su www.garanteprivacy.it all’indirizzo www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=487496. Per un’analisi del Codice di deontologia si veda F. Abruzzo, Diritto di cronaca, giustizia e privacy, relazione in occasione dell’incontro di studi sul tema “La protezione dei dati sei anni dopo la legge 675/96: il nuovo Codice della privacy e l’attività giudiziaria”, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 2-3 ottobre 2003, disponibile su www.francoabruzzo.it all’indirizzo www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=6.


L’art. 139 (“Codice di deontologia relativo ad attività giornalistiche”) del Codice della privacy entrato in vigore il primo gennaio 2004 prevede quanto segue:


“1. Il Garante promuove ai sensi dell’articolo 12 l’adozione da parte del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui all’articolo 136, che prevede misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Il codice può anche prevedere forme semplificate per le informative di cui all’articolo 13.


2. Nella fase di formazione del codice, ovvero successivamente, il Garante, in cooperazione con il Consiglio, prescrive eventuali misure e accorgimenti a garanzia degli interessati, che il Consiglio è tenuto a recepire.


3. Il codice o le modificazioni od integrazioni al codice di deontologia che non sono adottati dal Consiglio entro sei mesi dalla proposta del Garante sono adottati in via sostitutiva dal Garante e sono efficaci sino a quando diviene efficace una diversa disciplina secondo la procedura di cooperazione.


4. Il codice e le disposizioni di modificazione ed integrazione divengono efficaci quindici giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’articolo 12.


5. In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante può vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c)”.


Il richiamo all’art. 12 del Codice della privacy (“Codici di deontologia e di buona condotta”), letto in uno con il comma 4 di tale disposizione, rende il rispetto delle prescrizioni contenute nel suddetto Codice di deontologia “condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali effettuato da soggetti privati e pubblici” (art. 12, comma 3).


Alla violazione del Codice deontologico potrà conseguire pertanto una responsabilità civile in ordine ai danni subiti dall’interessato. L’art. 11 (“Modalità del trattamento e requisiti dei dati”) del Codice della privacy prevede infatti, al comma 1, lett. a), che i dati personali oggetto di trattamento devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza. Risarcibile sarà anche il danno non patrimoniale, così come previsto dal secondo comma dell’art. 15 del Codice della privacy, il cui primo comma dispone che “Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile”.


Sugli artt. 11, 12 e 15 del D.L.vo 196/2003 v. G. Briganti, Privacy, codice comunicazioni e commercio elettronico: quando si hanno le idee chiare, 2004, disponibile nella sezione “Internet” degli e-book di www.iusondemand.com, cap. II.


 


[3] D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, GU 174 del 29 luglio 2003, Suppl. ord. 123. Il testo del provvedimento è consultabile su www.iusreporter.it all’indirizzo www.iusreporter.it/Testi/codiceprivacy.htm.


In generale, sul Codice della privacy si veda: Riccardo e Rosario Imperiali, Codice della privacy. Commento alla normativa sulla protezione dei dati personali, Milano, Il Sole 24 Ore, 2004; Il diritto alla protezione dei dati personali. La disciplina sulla privacy alla luce del nuovo Codice, a cura di R. Acciai, Rimini, Maggioli Editore, 2004; Guida al Codice della privacy. La protezione dei dati personali alla luce del D.Lgs. 196/2003, a cura di M. De Giorgi e A. Lisi, Napoli, Ed. Simone, 2003; Codice in materia di Protezione dei Dati Personali. Commentato per articolo, a cura di M. Iaselli, in Studiocelentano.it, www.studiocelentano.it, www.studiocelentano.it/codici/privacy; G. Briganti, Privacy, codice comunicazioni e commercio elettronico: quando si hanno le idee chiare cit., capp. II e V.


Sui rapporti tra privacy e giornalismo si veda in particolare Privacy e giornalismo. Diritto di cronaca e diritti dei cittadini, a cura di M. Paissan, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, 2003; F. Abruzzo, Diritto di cronaca, giustizia e privacy cit. Per una selezione di saggi, sentenze e altri provvedimenti in materia di privacy e diritto di cronaca v. su www.dirittoproarte.com la pagina www.dirittoproarte.com/cronaca.htm.


 


[4] V. Roidi, segretario del  Cnog, nota al documento del Garante, in www.odg.mi.it, www.odg.mi.it/privacy-giornalismo-garante.htm, il quale spiega anche le ragioni che hanno spinto l’Ordine nazionale dei giornalisti a richiedere al Garante di aprire un tavolo di discussione:


“Privacy. A distanza di cinque anni dall'entrata in vigore del codice deontologico, il Comitato esecutivo dell'Ordine ha avvertito la necessità di chiarire il significato di alcune norme. Infatti, dai giornali, scritti o trasmessi, emerge con chiarezza che molti colleghi si trovano in difficoltà, alle prese con regole che appaiono contraddittorie e limitatrici del dovere di informare.


Qualche caso: sempre più spesso negli articoli di cronaca vengono omessi i nomi e i cognomi delle persone coinvolte nei fatti; quasi tutte le immagini di bambini vengono schermate, anche se riprese in occasioni dalle quali essi non ricavano alcun danno; gli organi di informazione non comunicano particolari sulla personalità, sulla carriera, sui guadagni degli uomini pubblici, quasi che ciò fosse proibito e disdicevole.


Gli spazi del diritto di cronaca sembrano essersi ristretti. C'è un freno all'informazione, in qualche caso doveroso, in altri ingiustificato e preoccupante. Molte amministrazioni (questure, ospedali) rifiutano di fornire dati. Per questo, esse citano la legge 675, pur sapendo che essa non intendeva affatto limitare la comunicazione pubblica, rafforzata in questi anni da altre leggi, come la numero 150 del 2001”.


 


[5] Oltre al richiamato Codice deontologico, si vedano in particolare anche gli artt. 136-139 del Codice della privacy (collocati nel Titolo XII della Parte II, “Giornalismo ed espressione letteraria ed artistica”).


Si ricordano in special modo gli artt. 136 (“Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero”) e 137 (“Disposizioni applicabili”):


“1. Le disposizioni del presente titolo si applicano al trattamento:


a) effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità;


b) effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69;


c) temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione artistica”.


“1. Ai trattamenti indicati nell’articolo 136 non si applicano le disposizioni del presente codice relative:


a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26;


b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari;


c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I.


2. Il trattamento dei dati di cui al comma 1 è effettuato anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli articoli 23 e 26.


3. In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’articolo 136 restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”.


 


[6] L’art. 1 del D.L.vo 196/2003 sancisce che “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”.


L’art. 2 (“Finalità”) dispone quanto appresso:


“1. Il presente testo unico, di seguito denominato ‘codice’, garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.


 


2. Il trattamento dei dati personali è disciplinato assicurando un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà di cui al comma 1 nel rispetto dei principi di semplificazione, armonizzazione ed efficacia delle modalità previste per il loro esercizio da parte degli interessati, nonché per l’adempimento degli obblighi da parte dei titolari del trattamento”.


 


[7] La libertà di manifestazione del pensiero, com’è noto, trova il suo riconoscimento costituzionale nell’art. 21 Cost. Pari rilievo costituzionale ha la libertà di espressione artistica di cui all’art. 33 Cost.


 


[8] Il Garante ricorda che per dati sensibili devono intendersi i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale (cfr. art. 4, comma 1, lett. d) del Codice della privacy).


 


[9] Cfr. Cons. di Stato n. 570/1996 e Cons. di Stato n. 99/1998.


 


[10] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, GU Serie gen. 192 del 18 agosto 1990.


 


[11] Il giornalista dovrà valutare, ad esempio, l’eventualità di non diffondere in certi casi taluni dati relativi agli esiti scolastici, sebbene pubblici, in ragione dell’opportunità di tutelare gli interessati (minori e non) dagli effetti negativi che può determinare un’eccessiva risonanza data al loro risultato.


 


[12] Un’utile novità potrà tra l’altro derivare, segnala l’Autorità, dall’adozione del decreto del Ministro dell’interno relativo alla legittima comunicazione e diffusione di informazioni da parte di forze di polizia, ad esempio in caso di incidenti, eventi tragici, calamità, ecc. (art. 57, comma 1, lett. e), del Codice della privacy).


I cd. limiti del diritto di cronaca, cui rinvia l’art. 137 del Codice della privacy sopra illustrato,  sono stati individuati dalla giurisprudenza, in particolare con due note sentenze della Suprema Corte: Cass. pen. 30/06/1984, n. 8959; Cass. civ. 18/10/1984, n. 5259. Detti limiti sono costituiti dall’utilità sociale della informazione; dalla verità dei fatti esposti; dalla forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione. Si veda anche Cass. civ. 9/06/1998, n. 5658, secondo cui il diritto di cronaca prevale sul diritto alla privacy se i fatti sono veri, di interesse pubblico e se sono esposti in forma civile e corretta.


 


[13] Si ricorda un’altra disposizione del Codice della privacy rilevante con riguardo ai minori, vale a dire l’art. 50 (“Notizie o immagini relative a minori”) il quale prevede quanto segue:


“1. Il divieto di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione di un minore si osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale”.


 


[14] Ad esempio, la pubblicazione dell’immagine di una signora anziana, chiaramente identificabile, ripresa al mercato con la spesa, può ritenersi non pertinente rispetto ad un articolo sulla solitudine degli anziani, oltre che lesiva della dignità dell’interessata. Diverso il giudizio potrebbe essere se la stessa foto fosse posta, per esempio, a corredo di un articolo sulla longevità.


 


[15] L’art. 25 (“Divieti di comunicazione e diffusione”), comma 2, del Codice della privacy stabilisce che “E’ fatta salva la comunicazione o diffusione di dati richieste, in conformità alla legge, da forze di polizia, dall’autorità giudiziaria, da organismi di informazione e sicurezza o da altri soggetti pubblici ai sensi dell’articolo 58, comma 2, per finalità di difesa o di sicurezza dello Stato o di prevenzione, accertamento o repressione di reati”.


 


[16] Si veda anche l’art. 8 del Codice deontologico (“Tutela della dignità delle persone”):


“1. Salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine.


2. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell'interessato.


3. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi”.


 


[17] L’art. 2 del Codice deontologico (“Banche dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti”) prevede quanto segue:


“1. Il giornalista che raccoglie notizie per una delle operazioni di cui all'art. 1, comma 2, lettera b), della legge n. 675/1996 rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l'esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell'informativa di cui all'art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996.


2. Se i dati personali sono raccolti presso banche dati di uso redazionale, le imprese editoriali sono tenute a rendere noti al pubblico, mediante annunci, almeno due volte l'anno, l'esistenza dell'archivio e il luogo dove è possibile esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996. Le imprese editoriali indicano altresì fra i dati della gerenza il responsabile del trattamento al quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996.


3. Gli archivi personali dei giornalisti, comunque funzionali all'esercizio della professione e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità, sono tutelati, per quanto concerne le fonti delle notizie, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 69/1963 e dell'art. 13, comma 5, della legge n. 675/1996.


4. Il giornalista può conservare i dati raccolti per tutto il tempo necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua professione”.


 


[18] Segretazione degli atti del procedimento e del relativo contenuto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque fino alla chiusura delle indagini preliminari, nonché nei casi decisi dal giudice; possibile diffusione del contenuto degli atti non più coperti da segreto.


 


[19] Artt. 24, 27 e 111 Cost.


 


[20] Rilevanza che può essere tale anche solo nel contesto locale di riferimento della testata giornalistica.


 


[21] Art. 51, comma 2, del Codice della privacy, il quale prevede che “Le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo”.


 


[22] L’art. 52 del Codice della privacy (“Dati identificativi degli interessati”) prevede in proposito quanto segue:


“1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, l’interessato può chiedere per motivi legittimi, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell’ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.


2. Sulla richiesta di cui al comma 1 provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l’autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento. La medesima autorità può disporre d’ufficio che sia apposta l’annotazione di cui al comma 1, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.


3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, all’atto del deposito della sentenza o provvedimento, la cancelleria o segreteria vi appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione, recante l’indicazione degli estremi del presente articolo: "In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di.....".


 


4. In caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l’annotazione di cui al comma 2, o delle relative massime giuridiche, è omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato.


5. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 734-bis del codice penale relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell’annotazione di cui al comma 2, le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.


6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche in caso di deposito di lodo ai sensi dell’articolo 825 del codice di procedura civile. La parte può formulare agli arbitri la richiesta di cui al comma 1 prima della pronuncia del lodo e gli arbitri appongono sul lodo l’annotazione di cui al comma 3, anche ai sensi del comma 2. Il collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, provvede in modo analogo in caso di richiesta di una parte.


7. Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”.


 


[23] Art. 7, comma 4, lett. a), del Codice della privacy, secondo cui  l’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta.


Sull’art. 7 (“Diritto di accesso ai dati personali e altri diritti”), v. G. Briganti, Privacy, codice comunicazioni e commercio elettronico: quando si hanno le idee chiare cit., cap. II.


 


[24] Ad esempio dovrà essere omessa l’identità di colui che risulta essere proprietario dell’immobile dove si è consumato un delitto.


 


[25] L’art. 83 del Codice della privacy (“Altre misure per il rispetto dei diritti degli interessati”) prevede quanto segue:


“1. I soggetti di cui agli articoli 78, 79 e 80 adottano idonee misure per garantire, nell’organizzazione delle prestazioni e dei servizi, il rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati, nonché del segreto professionale, fermo restando quanto previsto dalle leggi e dai regolamenti in materia di modalità di trattamento dei dati sensibili e di misure minime di sicurezza.


2. Le misure di cui al comma 1 comprendono, in particolare:


a) soluzioni volte a rispettare, in relazione a prestazioni sanitarie o ad adempimenti amministrativi preceduti da un periodo di attesa all’interno di strutture, un ordine di precedenza e di chiamata degli interessati prescindendo dalla loro individuazione nominativa;


b) l’istituzione di appropriate distanze di cortesia, tenendo conto dell’eventuale uso di apparati vocali o di barriere;


c) soluzioni tali da prevenire, durante colloqui, l’indebita conoscenza da parte di terzi di informazioni idonee a rivelare lo stato di salute;


d) cautele volte ad evitare che le prestazioni sanitarie, ivi compresa l’eventuale documentazione di anamnesi, avvenga in situazioni di promiscuità derivanti dalle modalità o dai locali prescelti;


e) il rispetto della dignità dell’interessato in occasione della prestazione medica e in ogni operazione di trattamento dei dati;


f) la previsione di opportuni accorgimenti volti ad assicurare che, ove necessario, possa essere data correttamente notizia o conferma anche telefonica, ai soli terzi legittimati, di una prestazione di pronto soccorso;


g) la formale previsione, in conformità agli ordinamenti interni delle strutture ospedaliere e territoriali, di adeguate modalità per informare i terzi legittimati in occasione di visite sulla dislocazione degli interessati nell’ambito dei reparti, informandone previamente gli interessati e rispettando eventuali loro contrarie manifestazioni legittime di volontà;


h) la messa in atto di procedure, anche di formazione del personale, dirette a prevenire nei confronti di estranei un’esplicita correlazione tra l’interessato e reparti o strutture, indicativa dell’esistenza di un particolare stato di salute;


i) la sottoposizione degli incaricati che non sono tenuti per legge al segreto professionale a regole di condotta analoghe al segreto professionale”.


 


 di Giuseppe Briganti, avvocato


 


 


 


 


 





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