1. Premessa. Sistema radiotelevisivo, cittadini-utenti, giornalisti e principi della Costituzione (nella rielaborazione della Corte costituzionale) in tema di libertà di manifestazione del pensiero.
L’articolo 21 della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, afferma solennemente che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». L’unico limite esplicito è posto nelle manifestazioni (a stampa, di spettacolo o di qualsiasi altro genere) «contrarie al buon costume» rispetto alle quali «la legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». La libertà di manifestazione del pensiero - in uno sforzo interpretativo dell’articolo 21 - abbraccia oggi la libertà di informazione, di espressione, di opinione, di stampa; la libertà e il diritto di cronaca e di critica nonché il diritto dei cittadini all’informazione. Nella sentenza 15 giugno 1972 n. 105 la Corte costituzionale definisce espressamente il lato attivo della libertà di manifestazione del pensiero come «libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, commenti» e il lato passivo come «interesse generale, anch’esso indirettamente protetto dall’articolo 21, alla informazione; il quale in un regime di libera democrazia, implica pluralità di fonti di informazioni, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee ed implica altresì esclusione di interventi dei pubblici poteri suscettibili di tradursi, anche indirettamente, e contro le intenzioni, in forme di pressione per indirizzare la stampa verso obiettivi predeterminati a preferenza di altri”.
La Corte Costituzionale e, sia pure con tappe successive, ha riconosciuto dal 1965 in poi:
a) la natura "coessenziale" dell'articolo 21 rispetto al regime di libertà garantito dalla Costituzione, cioè il carattere di "cardine" che tale norma riveste rispetto alla forma di "Repubblica democratica" fissata dalla Carta costituzionale (sentenze n. 5/1965; n. 11 e 98/1968; n. 105/1972; n. 94/ 1977);
b) l'esistenza di un vero e proprio "diritto all'informazione", come risvolto passivo della libertà di espressione (sentenze n. 105/1972; n. 225/1974; n. 94/1977; n. 112/1993).
c) la rilevanza pubblica o di pubblico interesse della funzione svolta da chi professionalmente sia chiamato a esercitare un'attività d'informazione giornalistica (sentenze n. 11 e 98/1968; n. 2/ 1977).
La Corte Costituzionale ha, infatti, affermato non soltanto il principio che i cittadini-utenti hanno diritto di ricevere informazioni, ma che essi hanno diritto a ricevere un’informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata. Valori, questi, trasfusi dal legislatore nell’articolo 1 (II comma) della legge n. 103/1975 e nell’articolo 1 (II comma) della legge n. 223/1990. La legge 103 afferma che “l'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo”. La legge 223 pone a base del sistema radiotelevisivo pubblico e privato “il pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione”.
Le linee-cardine fissate dalle sentenze della Consulta emesse dal 1960 in poi hanno trovato un’ampia conferma in nella fondamentale sentenza 24 marzo 1993 n. 112, che dice: “.....la libertà di manifestare il proprio pensiero ...ricomprende tanto il diritto di informare quanto il diritto ad essere informati (v., ad esempio, sentt. nn. 202 del 1976, 148 del 1981, 826 del 1988). L’art. 21....colloca la predetta libertà tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (art. 2 Cost.), i quali, in ragione del loro contenuto, in linea generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi dell’individuo di carattere assoluto. Tuttavia, l’attuazione di tali valori fondamentali nei rapporti della vita comporta una serie di relativizzazioni, alcune delle quali derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale, altre da particolari fisionomie della realtà nella quale quei valori sono chiamati ad attuarsi. Sotto il primo profilo, questa Corte ha da tempo affermato che il “diritto all'informazione” va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. Di qui deriva l'imperativo costituzionale che il “diritto all'informazione” garantito dall'art. 21 sia qualificato e caratterizzato:
a) dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - che comporta, fra l'altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l'accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse - in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti;
b) dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti;
c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata;
d) dal rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori”.
Il “diritto all'informazione” dei cittadini-utenti del sistema radiotelevisivo pubblico e privat,o garantito dall'art. 21 Cost., è qualificato e caratterizzato:
a) dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - che comporta, fra l'altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l'accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse - in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti;
b) dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti;
c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata;
d) dal rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori”.
I punti b, c e d riguardano sul rovescio i giornalisti, vincolati dalla Corte costituzionale
b) all'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti;
c) alla completezza,dalla correttezza e alla continuità dell'attività di informazione erogata;
d) al rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori.
2. L’articolo 3 della legge 112/2004 (“Gasparri”) amplia i diritti dei cittadini-utenti e dei giornalisti, recuperando principi elaborati dalla Corte costituzionale e presenti nelle Convenzioni internazionali.
E’ indubbio che l’articolo 3 (Principi fondamentali) della legge 112/2004 (“Gasparri”) allarghi i diritti dei cittadini-utenti e dei giornalisti, recuperando principi elaborati dalla Corte costituzionale e presenti nelle Convenzioni internazionali. Dice l’articolo 3:
“Sono princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali”.
Questo articolo assorbe sia il testo dell’articolo 1 della legge 103/1975 (“L'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo”) sia l’articolo 1 della legge 223/1990 (“Il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della presente legge”). Le novità sono presenti in questi passaggi, che affermano:
a) “Sono princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo …la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche”. Questa affermazione recupera il primo comma dell’articolo 10 della convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità”) e la sentenza n. 1/1981 della Corte costituzionale secondo la quale “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà, che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”.
b) “la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale”. Il riferimento è agli articoli 3 (uguaglianza), 6 (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e 9 (La Repubblica …..tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione) della Costituzione.
c) “rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali”.
Pur dovendosi riconoscere (con la sentenza 1/1981 Corte Cost.) “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà, l'interesse protetto dall'art. 21 della Costituzione non può dirsi in astratto superiore a quello parimenti fondamentale” e inviolabile della dignità della persona (tutelato dall’articolo 2 Cost.). Anche l’articolo 2 della legge professionale dei giornalisti (n. 69/1963) afferma che la dignità della persona (“cuore della Costituzione”, sentenza 293/2000 Corte cost.) è un limite all’esercizio del diritto “insopprimibile” di cronaca e di critica. Secondo la Corte costituzionale (che sul punto si è pronunciata con chiarezza con la sentenza n. 86/1974) l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione) è tra i beni protetti e garantiti dalla carta fondamentale, “in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana”.
3. Le convenzioni e i patti internazionali rafforzano in Italia la tutela dei diritti fondamentali della persona anche nel campo della libertà di manifestazione del pensiero. La tutela dei minori.
L’articolo 3 della legge 112/2004 (“Gasparri”) richiama “il rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali”.
Le convenzioni e i patti internazionali rafforzano in Italia la tutela dei diritti fondamentali della persona anche nel campo della libertà di manifestazione del pensiero.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite (assemblea di cui l’Italia fa parte dal 1954), all’articolo 19 afferma: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere».
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848) all’articolo 10 (Libertà di espressione) afferma: «Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
Il Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici (firmato il 19 dicembre 1966 e ratificato con la legge 25 ottobre 1977 n. 881) all’articolo 19 afferma: «Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo e frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta. L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che, però, devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica».
La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (legge 27 maggio 1991 n. 176) all’articolo 13 afferma: «Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere o di divulgare informazioni ed idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale scritta, stampata od artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo». L’articolo 16 della Convenzione afferma inoltre che “nessun fanciullo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata” (sono le parole precise dell’articolo 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).
L’articolo 3, quindi tutela i minori in linea con la sentenza 112/1993 della Corte costituzionale, che ha vincolato i giornalisti al rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori. Dei minori parla esplicitamente il comma 1 dell’articolo 10 (Tutela dei minori nella programmazione televisiva) della legge n. 112/2004 (“Gasparri”), che impegna “1e emittenti televisive a osservare le disposizioni per la tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori approvato il 29 novembre 2002”, mentre il comma 8 dello stesso articolo aggiunge un nuovo principio all’articolo 114 (comma 6) del Codice di procedura penale: "È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni". Il diritto di cronaca, quindi, non abbraccia la pubblicazione di notizie e immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore.
Negli anni 2003/2004 la tutela dei minori è stata al centro dell’attività del Parlamento. L’articolo 50 del Dlgs 196/2003 (Testo unico sui dati personali), richiamato l’articolo 13 del Dpr n. 448/1988, contiene “il divieto di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore si osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale”. Questa norma si aggiunge all’articolo 7 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy previsto dall’articolo 25 della legge n. 675/1996). L’articolo 7 del Codice – che assorbe le Carte di Trevisio - specifica che “la tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati”. Oggi il Codice è l’Allegato A del Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139). In sostanza vince l’articolo 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, quando afferma che “nessun fanciullo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata” (sono le parole precise dell’articolo 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).
In sostanza il principio che ogni persona abbia il diritto di manifestare liberamente il suo pensiero con ogni mezzo stabilito dal legislatore costituzionale italiano cammina di pari passo con il «diritto alla libertà di espressione» («diritto che comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità») sancito dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’articolo 10 della Convenzione, mutuato dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato ampliato successivamente dall’articolo 19 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici il quale stabilisce: <...Ogni individuo ha il diritto della libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta>. Queste enunciazioni formano un intreccio di rango costituzionale. Non sfugga la rilevanza dell’inserimento, attraverso leggi ordinarie, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del Patto di New York relativo ai diritti civili e politici nell’ordinamento giuridico dello Stato: il diritto di «cercare, ricevere e diffondere informazioni attraverso la stampa» figura esplicitamente nel nostro ordinamento e allarga la sfera del «diritto di manifestare il pensiero» tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. Si tratta di un crescendo di affermazioni e riconoscimenti che, partendo dalla solenne dichiarazione dell’articolo 21 della nostra Costituzione, passando attraverso le interpretazioni e le applicazioni della legislazione ordinaria e delle sentenze emesse da Corti di giustizia (tra le quali spicca la Corte europea dei diritti dell’uomo) di ogni ordine e grado, tornano all’articolo 21 citato disegnandone con estrema chiarezza i contenuti anche nei confronti della attività dell’Ordine dei giornalisti il quale «organizza coloro che per professione manifestano il pensiero» (sentenza n. 11/1968 della Corte Costituzionale): “Se la libertà di informazione e di critica è insopprimibile, bisogna convenire che quel precetto, più che il contenuto di un semplice diritto, descrive la funzione stessa del libero giornalista: è il venir meno ad essa, giammai l'esercitarla che può compromettere quel decoro e quella dignità sui quali l'Ordine è chiamato a vigilare” (Corte cost., sentenza 11/1968) .
Quando parliamo della libertà di informazione parliamo, quindi, di libertà di espressione e di opinione, di libertà di cronaca e di critica, valori di tutti i cittadini di una Nazione ma che trovano il momento più esaltante nel giornalismo e nella professione giornalistica. I giornalisti si pongono come mediatori intellettuali tra i fatti che accadono e i cittadini che leggono, ascoltano o vedono le immagini sul piccolo schermo. La libertà di informazione è il perno di ogni altra libertà riconosciuta dalla Costituzione. Tale dottrina trova il suo fondamento politico, il suo incipit, nell’articolo 11 nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 26 agosto 1789. L’articolo 11 di quella prima Carta riconosce che «la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo. Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge». Ed è noto il peso che ha avuto la norma rivoluzionaria francese nella nascita di una informazione politica anche nel nostro Paese.
La storia dell’Italia unita, in tema di libertà di stampa, parte con l’articolo 28 dello Statuto Albertino, emanato da Carlo Alberto il 4 marzo del 1848. La norma, dalla formulazione generale, stabilisce che “la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi”. Il virgolettato traduce sostanzialmente l’articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo della Francia rivoluzionaria del 1789. E’ una svolta, che nasconde la debolezza legata al carattere flessibile dello Statuto. Le Camere potranno utilizzare una sorta di delega in bianco per “reprimere gli abusi” nell’esercizio della dichiarata libertà. Questa disciplina dovrà fare i conti con le leggi di pubblica sicurezza del 1859, 1865, 1889, che, con vari mezzi, limitavano incisivamente nei fatti quella libertà sancita in via di principio. Allo Statuto segue il regio decreto n° 695, meglio noto come Editto Albertino sulla Stampa. L’articolo 1 dell’Editto affermava che “La manifestazione del pensiero per mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio meccanico, atto a riprodurre segni figurativi, è libera: quindi ogni pubblicazione di stampati, incisioni, litografie, oggetti di plastica e simili è permessa con che si osservino le norme seguenti…”.
Oggi la libertà di manifestazione del pensiero va, però, di pari passo con altri valori alti della Costituzione repubblicana (l’onore e l’identità della persona, l’obbligo per il giornalista di informare in maniera corretta). Resta inteso, infatti, che «perché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca, e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni: 1) utilità sociale dell’informazione; 2) verità oggettiva, o anche soltanto putativa purché frutto di diligente lavoro di ricerca; 3) forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta» (Cassazione penale, sentenza n. 5259/1984). Con la sentenza n. 2113/1997 la Cassazione penale chiede inoltre «la corrispondenza rigorosa tra i fatti accaduti e i fatti narrati, secondo il principio della verità: quest’ultimo comporta l’obbligo del giornalista (come quello dello storico) dell’accertamento della verità della notizia e il controllo dell’attendibilità della fonte». Il giornalista deve ubbidire a questa regola fissata dalla sua legge professionale: «E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». «Oltre all'obbligo del rispetto della verità sostanziale dei fatti con l'osservanza dei doveri di lealtà e di buona fede, il giornalista, nel suo comportamento oltre ad essere, deve anche apparire conforme a tale regola, perché su di essa si fonda il rapporto di fiducia tra i lettori e la stampa» (App. Milano, 18 luglio 1996; Riviste: Foro Padano, 1996, I, 330, n. Brovelli; Foro It., 1997, I, 938).
4. Segreto professionale dei giornalisti, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sentenze “Goodwin” e “Roemen” della Corte di Strasburgo.
La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) con l’articolo 10, come riferito, tutela espressamente le fonti dei giornalisti, stabilendo il diritto a “ricevere” notizie. Lo ha spiegato la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo con la sentenza che ha al centro il caso del giornalista inglese William Goodwin (Corte europea diritti dell’Uomo 27 marzo 1996, Goodwin c. Regno Unito, v. Tabloid n. 1/2000 n. Peron). La Corte di Strasburgo, con sentenza 27 marzo 1996, muovendo dal principio che ad ogni giornalista deve essere riconosciuto il diritto di ricercare le notizie, ha ritenuto che “di tale diritto fosse logico e conseguente corollario anche il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche, fondando tale assunto sul presupposto che l’assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti non ufficiali dal fornire notizie importanti al giornalista, con la conseguenza che questi correrebbe il rischio di rimanere del tutto ignaro di informazioni che potrebbero rivestire un interesse generale per la collettività”. Questa sentenza della Corte di Strasburgo è l’altra faccia di una sentenza (la n. 11/1968) della nostra Corte costituzionale: “Se la libertà di informazione e di critica è insopprimibile, bisogna convenire che quel precetto, più che il contenuto di un semplice diritto, descrive la funzione stessa del libero giornalista: è il venir meno ad essa, giammai l'esercitarla che può compromettere quel decoro e quella dignità sui quali l'Ordine è chiamato a vigilare”.
La decisione del caso “Goodwin” è particolarmente interessante anche perché ha concorso a dissipare i dubbi nascenti da una interpretazione letterale dell’articolo 10 della Convenzione, che si limita a specificare che la libertà di espressione comprende sia il diritto passivo a ricevere delle informazioni sia il diritto attivo di fornirle, senza, però, che sia menzionato il diritto del giornalista di cercare e procurarsi notizie tramite proprie fonti di informazioni. Tale lacuna aveva, difatti, sollevato il quesito - attualmente sciolto dalla Corte – che quest’ultimo diritto non rientrasse nell’ambito del diritto alla libertà e pertanto non fosse ricompreso nell’ambito della sua tutela. Ma del resto la tendenza espressa dalla Corte con tale decisione trova ulteriore conferma e riscontro con le tendenze espresse al riguardo dallo stesso Parlamento Europeo, il quale – in una risoluzione del 18 gennaio 1994 sulla segretezza delle fonti d’informazione dei giornalisti - ha dichiarato che “il diritto alla segretezza delle fonti di informazioni dei giornalisti contribuisce in modo significativo a una migliore e più completa informazione dei cittadini e che tale diritto influisce di fatto anche sulla trasparenza del processo decisionale”. In sintesi il segreto professionale è indispensabile sia nello svolgimento della professione giornalistica che nell’esercizio del diritto di ogni cittadino a ricevere informazioni, mentre per contro le uniche eccezioni ammissibili devono essere ragionevoli e in ogni caso limitate, poiché “il mancato rispetto del segreto professionale limita in modo indiretto lo stesso diritto all’informazione”.
L’ordinamento europeo peraltro impedisce ai giudici nazionali di ordinare perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni dei giornalisti nonché nelle “dimore” dei loro avvocati a caccia di prove sulle fonti confidenziali dei cronisti: “La libertà d'espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, e le garanzie da concedere alla stampa rivestono un'importanza particolare. La protezione delle fonti giornalistiche è uno dei pilastri della libertà di stampa. L'assenza di una tale protezione potrebbe dissuadere le fonti giornalistiche dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni d'interesse generale. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo ruolo indispensabile di "cane da guardia" e il suo atteggiamento nel fornire informazioni precise e affidabili potrebbe risultare ridotto”. Questi sono i principi sanciti nella sentenza “Roemen” 25 febbraio 2003 (Procedimento n. 51772/99) della quarta sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il segreto professionale dei giornalisti, come riferito, è tutelato solennemente dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, mentre l’articolo 8 della stessa Convenzione protegge il domicilio dei legali.
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5. Normativa richiamata
Legge 103/1975. TITOLO I. Del servizio pubblico di diffusione radiofonica e televisiva. Articolo 1 (II comma).
L'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo.
Legge 223/1990. Articolo 1. Princìpi generali.
1. La diffusione di programmi radiofonici o televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente interesse generale.
2. Il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della presente legge.
Legge 112/2004. Articolo 3. (Princìpi fondamentali)
1. Sono princìpi fondamentali del sistema radiotelevisivo la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali.