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Editoria, la crisi scaricata su lavoratori e previdenza. Numeri che fanno paaura. E gli editori ringraziano.

di Luciano Cerasa/Il FattoQuotidiano


(link) -11.7.2018- Al gruppo Gedi – erede delle società editrici di Repubblica, L’ Espresso e La Stampa con gli annessi stati di crisi proclamati nel 2012 e nel 2015 – sono ancora sotto contratto “di solidarietà” i lavoratori poligrafici, mentre ai giornalisti la proprietà preannuncia una nuova stagione di sacrifici. Così come nella galassia di un altro tra i massimi gruppi editoriali del Paese, quello del Sole 24 Ore, si è usciti da poco dallo strascico degli ultimi provvedimenti anti-crisi. Alla Mondadori, come scrive il nostro Daniele Martini, di recente si sono regalati ai dirigenti la bellezza di quasi 8 milioni di euro di incentivi e premi, nonostante gli oltre 200 redattori siano da anni in cottura, rosolati tra stati di crisi a ripetizione, ricorsi alla solidarietà, casse integrazioni, tagli ai benefit ottenuti quando ancora l’ azienda fioriva. Oggi la proprietà li ha costretti a firmare una specie di conciliazione tombale in Assolombarda con cui rinunciano in media al 30% secco della retribuzione (con punte del 38), alle qualifiche ottenute in anni di lavoro, ai superminimi, cioè i vantaggi retributivi personali, a quasi metà degli scatti di anzianità cumulati e ai permessi retribuiti. Non spira un’ aria migliore nel mondo delle agenzie di stampa, un tempo considerate l’ élite del giornalismo d’ informazione per il ruolo di fonte primaria che le ha portate ormai a fornire il 70% delle notizie che vediamo pubblicate su giornali e siti internet. Anche tra le più grandi ci si trascina ormai tra contratti di solidarietà, stati di crisi e pensionamenti, nonostante i cospicui contratti di fornitura stipulati con le istituzioni centrali e locali che in alcuni casi ne costituiscono oltre la metà del fatturato. Askanews, una delle prime quattro agenzie nazionali italiane, è nata nel 2014 dall’ integrazione dell’ Asca, di proprietà dell’ ex presidente della Confindustria, Luigi Abete, con Tm News, fondata dalla giornalista Lucia Annunziata. Gli 84 giornalisti della redazione hanno trascorso questi quasi 4 anni tra contratti di solidarietà e Cig, 8 prepensionamenti e 15 esuberi dichiarati nel 2016, nonostante le ovvie promesse di investimenti industriali e di sviluppo editoriale formulate al momento della fusione. Si calcola che i risparmi sugli stipendi dei redattori realizzati dall’ azienda con l’ accesso agli ammortizzatori sociali ammontino a oltre 4 milioni. Le convenzioni firmate con Palazzo Chigi, Camera, Senato e Farnesina apportano al bilancio circa 5 milioni l’ anno. In un’ altra agenzia parlamentare, Il Velino, sono arrivati al 70% dello stipendio coperto con le provvigioni Inpgi e Inps per Cig e solidarietà. Erano nati per sostenere le grandi imprese nei periodi di crisi eccezionali e per evitare licenziamenti di massa. Situazioni che si sono moltiplicate nel settore dell’ Editoria, su cui si sono addensati gli effetti della crisi di sistema che ha colpito l’ economia dal 2008 in poi con la fuga costante dei lettori dalla carta stampata. Negli anni però gli ammortizzatori sociali, complice una normativa contrattuale particolarmente favorevole, sono stati utilizzati soprattutto per abbattere il costo del lavoro nelle grandi imprese editoriali. Il risultato è che, per quanto riguarda i giornalisti, i costi degli “stati di crisi” riconosciuti alle aziende editoriali dal ministero del Lavoro si sono scaricati quassi totalmente sull’ istituto di previdenza di categoria, l’ Inpgi, che per la prima volta nel 2017 ha chiuso con conti in rosso per cento milioni di euro. Nel solo quinquennio dal 2013 al 2017 le somme per il trattamento di integrazione salariale erogate dall’ ente previdenziale in favore dei lavoratori coinvolti in programmi di riduzione dell’ orario di lavoro – per effetto della stipula di contratti di solidarietà finalizzati a evitare licenziamenti per esubero di personale e per la Cassa integrazione guadagni – sono ammontate a 94 milioni di euro. Siamo passati dai 16,4 milioni del 2013 ai 23 del 2016 fino ai 12,1 erogati nel 2017. A questa cifra va aggiunto nel bilancio dell’ Inpgi il costo dei contributi figurativi (non versati ma accreditati sulle future pensioni), valutabile intorno ai 120 milioni di euro. Per assicurare invece agli iscritti licenziati il trattamento di disoccupazione, l’ Inpgi ha speso, nello stesso quinquennio, 75 milioni, ai quali vanno aggiunti altri 100 milioni di contributi figurativi. Tra il 2010 e il 2017 si calcola che i giornalisti prepensionati siano stati oltre mille. L’ erogazione del trattamento previdenziale dei prepensionati, fino al compimento dell’ età fissata per accedere alla pensione di vecchiaia, è invece a carico dello Stato. L’ Inpgi però nel frattempo non incassa i versamenti previdenziali che avrebbe acquisito se i lavoratori avessero continuato regolarmente a lavorare fino al pensionamento. Attualmente sono 42 le aziende editoriali che hanno accesso per decreto alle provvidenze legate ai contratti di solidarietà e 37 alla Cassa integrazione guadagni. Per farsi approvare un programma di crisi aziendale dal ministero del Lavoro che preveda solidarietà “difensiva” e Cigs paradossalmente non serve avere necessariamente bilanci in rosso. Secondo le disposizioni ribadite con una circolare del dicembre scorso, per le aziende basta illustrare in una relazione tecnica l’ andamento “involutivo” degli indicatori finanziari e di bilancio negli ultimi due anni e attestare che non vi siano state nuove assunzioni. Il resto, finora, lo hanno deciso i buoni rapporti dei grandi editori con la politica.






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