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Convegno in Cassazione sulle pensioni. L'intervento di Corrado Calabrò: la manovra del Governo Conte, che anticipa l'età pensionabile e che pensa di imporre un pesante prelievo sulla retribuzione differita costituita dai contributi di chi ha lavorato per diversi decenni, contraddice il principio cardine della nostra Costituzione sancito nell'articolo 1 per il quale la Repubblica è fondata sul lavoro. Il lavoro, invece, diventa un disvalore a vantaggio del non lavoro. Il non lavoro è il nuovo valore fondante dello Stato. Una lezione magistrale su 70 anni di storia del sistema pensionistico nazionale. Spiegato perché per la Lega Nord è così importante l’anticipo dell’età pensionabile.

di Corrado Calabrò/magistrato, presidente di Agcom dal 2005 al 2012.

12 ottobre 2018 - Il mio non sarà un discorso in apicibus.. Se lo fosse, avrei poco da aggiungere a quanto è stato detto dall'insigne relatore e dagli illustri interventori che mi hanno preceduto. Parte della nostra retribuzione è stata accantonata per esserci erogata dopo il collocamento a riposo. Sia sulla parte pagata in servizio che su quella corrisposta dopo paghiamo le imposte; imposte elevate che possono arrivare al dimezzamento di quanto percepito. Questo è vero anche per il periodo in cui vigeva il sistema retributivo, nel quale c'era una valorizzazione dello stipendio percepito negli ultimi anni. Ancor più vero per il sistema contributivo, in cui sono esclusivamente i nostri contributi -vale a dire i nostri versamenti al sistema pensionistico- a costituire l'accantonamento. Ma questo sistema così saldo e coerente è stato scardinato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che ha ritenuto che il diritto sulle somme accantonate, di nostra spettanza, andasse contemperato e bilanciato con altri principi; in specie con quello di solidarietà. Quello e quello solo sarebbe suscettibile di decurtazione tra i diritti patrimoniali, compresi quelli più indicativi di una situazione di agiatezza.





Ero all'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro negli anni '50 quando è stato rifondato il sistema pensionistico; ed ero Capo di Gabinetto al Ministero del bilancio nel 1995, quando quel sistema è stato riformato. Farò quindi una rapida carrellata. Quando, negli anni 50', il sistema pensionistico venne rifondato, la gestione era in attivo, perché a fronte dell'afflusso di contributi le pensioni erogate erano poche. Vi era, anzi, un eccesso di liquidità che poté essere utilizzato da Fanfani per il programma di costruzioni INA Casa.















Nei decenni successivi la tendenza lentamente s'invertì, accentuandosi per  un'improvvida legge che consentì ai pubblici impiegati di andare in pensione dopo 15 anni, sei mesi e un giorno di servizio, prescindendo dall'età anagrafica e regalando per di più due promozioni. Si abbattevano così due capisaldi del sistema pensionistico: durata dell'attività lavorativa, e quindi anni di contributi versati, ed età anagrafica in cui si cessava dal lavoro.


 




Era un provvedimento anomalo e una tantum, limitato a una finestra temporale che subito dopo sarebbe stata chiusa, ma che ha ugualmente inciso negativamente nel sistema. Non meno grave era la deroga al limite di età.









 



 



 


 


 


 





I pubblici impiegati andavano allora in pensione  a 65 anni: era questo il fattore che temperava gli effetti del sistema retributivo, allora vigente, sotto due aspetti: perché all'anzianità erano generalmente correlati i contributi versati e perché quanto  più anziani si va in pensione tanto meno numerosi sono gli anni in cui la pensione viene erogata. Il provvedimento, quindi, era aberrante e si giurò che non si sarebbe mai più ripetuto. Negli anni successivi comunque lo squilibrio del sistema previdenziale si accentuò, anche perché aggravato dalle prestazioni assistenziali. E' elevatissimo e incontrollato il numero delle pensioni d'invalidità che vengono corrisposte in Italia, inquinando il sistema pensionistico vero e proprio.





Negli anni 90' si rese così indispensabile intervenire, trasformando il sistema retributivo in contributivo e fissando una soglia per il diritto alla corresponsione della pensione, determinata dalla somma degli anni di contribuzione e degli anni di età. Per il personale in servizio il passaggio al contributivo era modulatamente differito in relazione agli anni di servizio prestati (più o meno di 18), salvaguardando così quanto capitalizzato fino a quella data col sistema retributivo in base al principio della retribuzione differita. Secondo i calcoli attuariali la cifra soglia avrebbe dovuto essere fissata, all'epoca,  a 100. Ma la Lega Nord si oppose e la CGIL minacciò lo sciopero generale. Ci fermammo così a 95, ma con l'impegno a passare entro 3 anni a livello 100 e di adeguare poi questo livello alle accresciute aspettative di durata della vita. Malgrado ciò e malgrado che all'elaborazione del provvedimento avesse collaborato in maniera importante l'esperto prof. Brambilla, la Lega Nord contestò il provvedimento fino al punto di far venire meno la fiducia al Governo Berlusconi. Ma perché  per la Lega Nord è così importante l'anticipo dell'età pensionabile?





Il fatto è che molti lavoratori dipendenti, al Nord, anelano a mettersi in proprio il più presto possibile, e comunque in un'età giovanile che gli consenta di svolgere proficuamente un'attività di piccoli imprenditori, negozianti, agricoltori,  artigiani, avendo già assicurato un reddito sufficiente con la pensione. Con la possibilità, per di più, di eludere le imposte nella nuova attività. Per effetto della modifica della legge Fornero prevista dal provvedimento approvato nelle scorse settimane dal Consiglio dei Ministri, il costo di questo beneficio per il bilancio dello Stato è di 7 - 8 miliardi all'anno ed è considerato dall'UE il principale fattore di squilibrio strutturale, insieme al debito pubblico.





Non è vero quindi che il finanziamento del sistema previdenziale non sia intercomunicante con la fiscalità generale, come affermato nella sentenza Morelli n. 173/2016 della Corte Costituzionale. Il contributo di solidarietà è un surrogato del finanziamento a carico del bilancio dello Stato.





Un surrogato ancora più iniquo quando mira a sovvenire a misure di elargizione sconsiderate che pongono un fardello molto gravoso sulle spalle dei nostri figli e nipoti e squinternano i conti dell'INPS (oltre 130 miliardi secondo il presidente dell'INPS Boeri).





Nessun intervento una tantum di pretesa solidarietà potrà rimettere in sesto quei conti, dove già tutte le gestioni sono in deficit.





Tutte meno una, quella dei magistrati, per due motivi: perché noi versiamo contributi per più anni e perché andiamo in pensione ad età più avanzata. Al che si aggiunge -a quanto mi dicono- un terzo fattore: che la mortalità negli anni  successivi al collocamento a riposo è per i magistrati in pensione più elevata della media nazionale.





Nel leggere la sentenza Morelli sono rimasto disturbato nel vedere riportata, nella parte narrativa, l'espressione "pensioni d'oro" con riferimento alle nostre pensioni, costituite dai nostri versamenti. Forse ci hanno scambiato con i manager bancari... Io ho versato contributi per 56 anni di cui 37 sullo stipendio di Presidente di Sezione. Mi dice un attuario che se li avessi versati a una compagnia di assicurazione privata oggi avrei una pensione molto più elevata.





Ma addirittura allocchito mi ha lasciato che l'Avvocatura dello Stato nella sua memoria abbia sottolineato che noi abbiamo avuto il "beneficio" di lavorare più a lungo.





Il beneficio? E che cos'era la nostra, una sinecura? L'impegno totale  che abbiamo profuso in un'attività complessa e difficile era forse un hobby?





Qui, caro De Nardo, non viene solo espropriato l'accantonamento costituito con la retribuzione differita, qui viene proprio negato il fondamento costituzionale su cui poggia lo Stato. "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro", afferma l'art. 1 della nostra Costituzione.





Quell'improvvida frase dell'Avvocatura non è rimasta senza una qualche eco nel disegno di legge n. 1071, all'esame della Camera. Sembrerebbe che il lavoro sia un disvalore, l'impiego una rendita di posizione, il non lavoro il nuovo valore fondante dello Stato.





La prima pressione indebita ispirata a questa tendenza deviante l'abbiamo subita nel 1999 dall'allora Ministro del lavoro Salvi. All'epoca io rappresentavo l'Associazione magistrati del Consiglio di Stato. Insieme con i colleghi delle altre Associazioni magistrati accettammo, obtorto collo, che venisse sottratto alle nostre pensioni, per un triennio, un contributo di solidarietà del 2%.





Non era dovuto, ma ci compenetrammo con la situazione dei più svantaggiati e pensammo anche, così, di chiudere la partita, una volta per tutte. Forse sulla scia di quel precedente ci viene ora proposto di aderire a un contributo di solidarietà del 3%.





La proposta del prof. Brambilla è certo fatta con intenzione onesta: lo conosco, abbiamo collaborato  a distanza nel 1995, quando io ero al Bilancio,  e lui era l'esperto del Ministero del Lavoro.





Un contributo del 3% potrebbe apparire sopportabile. Ma non sarà del 3%! Non lo sarà già in partenza col Governo populista che abbiamo, dove 5 Stelle e Lega giocano sempre al rialzo, in emulazione reciproca.





La Corte Costituzionale, con l'infausta sentenza n. 173/2016, ha avallato un contributo del 18%, per tre anni, in patente elusione dei principi affermati nella propria precedente sentenza n. 116 del 2013, e con solo la foglia di fico che fosse un contributo una tantum.





Pensate forse che il Governo e il Parlamento attuali possano accontentarsi di qualcosa di meno?





Abbiamo visto come sono stati evocati in emulazione i disavanzi approvati dai precedenti Governi per attestarsi su un disavanzo debito-PIL non inferiore al 2,4%! E che farà la Corte Costituzionale dopo aver avallato l'espropriativa legge del Governo Renzi?





Meno afflittivo, al confronto, appare il disegno di legge n. 1071 Camera, che stabilisce il ricalcolo dei trattenimenti pensionistici, riducendo le quote retributive con un coefficiente di trasformazione corrispondente all'età prevista per il pensionamento.





Un certo  disfavore per i magistrati trapela comunque nell'insufficiente considerazione dell'età più avanzata in cui noi andiamo in pensione (70 anni, non 65).





Appare comunque necessario, anzitutto, che sia chiarito e confermato che il correttivo va applicato solo "sulle quote retributive del reddito pensionistico complessivo lordo superiore a 90.000 euro annui",  come illustrato nella relazione al disegno di legge.





Questo perché la dizione dei comma 1 e 2 dell'art. 1 si riferisce genericamente alle quote retributive da ridurre, mentre solo nel comma 5 viene puntualmente chiarito che le quote retributive di applicazione sono quelle del reddito complessivo pensionistico lordo superiore a 90.000 euro annui; ma questa disposizione si riferisce espressamente al "caso di titolarità di più pensioni".





Inoltre i coefficienti di trasformazione previsti dalle tabelle dell'art. 1 sono agganciati all'età dell'assicurato al momento del pensionamento, tuttavia con coefficienti entro margini di riferimento da 63 a 67 anni (tabella A)  e da 57 a 65 (tabella B). La fascia di magistrati che subisce una decurtazione è particolarmente quella dei cessati dal servizio del 1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2018, perché in quell'arco temporale le tabelle prevedono coefficienti di trasformazione più elevate dopo i 65 anni mentre a loro viene ingiustificatamente applicato il coefficiente 65.





Ma bisognerà soprattutto tenere gli occhi aperti. Non sappiamo cosa potrà succedere in Parlamento nel corso dell'esame del disegno di legge. Gli anni di maggior lavoro dei magistrati sono un "beneficio", ha detto l'Avvocatura! Tanto più che la decurtazione della pensione diventerebbe a regime, superando la condizione della temporaneità posta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 173/2016 con la considerazione che la situazione di crisi del sistema pensionistico non è transitoria ma permanente.





E certo che è permanente e tanto più grave diventa quando si adottano misure irrazionali quale è quella della diminuzione dell'età pensionabile!





Chi ha lavorato di più dovrà pagare anche per coloro che scelgono volontariamente di lavorare un minor numero di anni!





Per correggere il testo attuale, e soprattutto per sventare eventuali emendamenti punitivi, sarebbe bene tener pronto un controemendamento che dica che "Non si applica alcuna riduzione quando l'età anagrafica alla decorrenza del trattamento sia superiore a quella indicata nella tabella A relativamente al pertinente periodo temporale di riferimento".





Già per le nostre pensioni è stata esclusa la rivalutazione in base al costo della vita. E a noi è vietato svolgere, dopo il pensionamento, qualsiasi attività, anche saltuaria, presso le pubbliche Amministrazioni.





Corrado Calabrò





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Per saperne di più su Corrado Calabrò in https://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_Calabr%C3%B2


 






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