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BASTA CON LE FAKE NEWS SULL’INPGI/2a PUNTATA. Come promesso proseguiamo con l’analisi puntuale di alcune delle principali false notizie che circolano sull’INPGI e che contribuiscono ad accrescere le difficoltà dell’Istituto in un momento già molto difficile per la nostra sopravvivenza.

di Marina Macelloni/presidente Inpgi


(8.3.2019) - L’INPGI ha adottato il sistema di calcolo contributivo in grave ritardo rispetto al sistema generale e alle altre Casse di Previdenza


La scelta di introdurre il sistema di calcolo contributivo solo a partire dal 2017 deriva da una considerazione molto semplice: in presenza di redditi mediamente elevati e grazie agli effetti del sistema misto (retributivo/contributivo) che non prevede il tetto ai contributi (attualmente pari a 102.543 euro) la spesa previdenziale sarebbe stata per l’INPGI molto più elevata. E’ stato possibile calmierare questi effetti grazie alla cosiddetta “clausola di salvaguardia” introdotta dal sistema generale nel 2015, dopo la riforma Fornero. In pratica se avessimo applicato il sistema contributivo tout court a tutti gli iscritti prima del 2015 il nostro deficit previdenziale si sarebbe manifestato molti anni prima di quanto avvenuto.


L’INPGI vuole “scippare” all’Inps migliaia di iscritti e vuole “deportare” intere categorie di lavoratori per salvarsi


Non siamo ladri di contributi e non vogliamo deportare nessuno. Stiamo cercando di interpretare i cambiamenti del nostro lavoro e di intercettare le nuove figure professionali che emergono nel settore più ampio della comunicazione e dell’informazione sia tradizionale che digitale. Stiamo parlando di un numero tra le 13 e le 20mila persone, cioè al massimo lo 0,1% degli iscritti all’Inps. Questi lavoratori non perderebbero alcun diritto previdenziale ma, anzi, avrebbero attraverso l’iscrizione a una cassa di professionisti la possibilità di rafforzare la propria identità professionale – con evidenti vantaggi in termini di riconoscimento di maggiore dignità professionale e con potenziali ricadute positive anche sul piano contrattuale – e di partecipare più facilmente alla vita del proprio Istituto di Previdenza. Potrebbero inoltre avere accesso alle prestazioni offerte dalla Casagit, la nostra cassa di assistenza sanitaria


Agli editori converrebbe maggiormente il passaggio all’Inps perché pagano all’INPGI più contributi


Per i giornalisti iscritti all’INPGI, il datore di lavoro ha versato dal 1996 al 2015 una aliquota contributiva IVS mediamente più bassa di almeno 4 punti percentuali di quella prevista per gli assicurati INPS. L’aliquota IVS INPGI si è uniformata a quella INPS (pari al 33%) solo a far data dal 1/01/2016.


Per gli ammortizzatori sociali (CIGS e solidarietà), solo dal settembre 2014 è stata istituita una aliquota dell’1% a carico del datore di lavoro. Fino a quella data, i trattamenti di integrazione salariale erano posti interamente a carico dell’INPGI. Nel sistema generale INPS, i datori di lavoro del settore dell’editoria, per gli impiegati sostengono un onere pari al 2,80% (di cui 1,90% per CIG e 0,90% per CIGS), elevato al 3,10% per le aziende con più di 50 dipendenti.


Negli ultimi cinque anni il costo degli ammortizzatori sociali pagati dall’INPGI è stato pari a 438 milioni di euro. Senza queste risorse uscite interamente dalle casse dell’Istituto molte aziende grandi e piccole oggi non esisterebbero più. In un paese che è fanalino di coda in Europa per investimenti nel settore editoriale, l’INPGI è l’unico attore del sistema che ha concretamente sostenuto le imprese e i lavoratori. (IN https://inpginotizie.it/fake-news-2/ ).



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1.3.2019 - BASTA FAKE NEWS SULL’INPGI/1a PUNTATA. LA PRESIDENTE MARINA MACELLONI FA CHIAREZZA SU ALCUNI TEMI CHE RIGUARDANO L’ISTITUTO: "Salvare l’Inpgi significa continuare a garantire lo svolgimento della propria funzione istituzionale nell’ambito del sistema previdenziale, intercettando le trasformazioni in atto nel mondo dell’informazione nonché a garantire l’autonomia al lavoro dei giornalisti. Confluire nell’Inps non offrirebbe la stessa garanzia e avrebbe un costo per lo stato di circa 600 milioni all’anno, cioè la spesa per pensioni e welfare che vogliamo continuare a pagare da soli senza gravare sulla fiscalità generale".  - TESTO IN https://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=26046



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