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13.5.2019 - LETTERA IN REDAZIONE. I tanti dubbi di Gianfranco Fabi (già vicedirettore de Il Sole 24 Ore) sull'accorpamento dei comunicatori nell'Inpgi: la riforma del nostro Istituto potrebbe essere costituita unicamente dall'integrazione nell'Inps. Perché un "comunicatore" dovrebbe lasciare il porto sicuro dell'Inps per entrare in un istituto in profonda crisi?.

13.5.2019 - Caro presidente Abruzzo, sto seguendo il dibattito in corso sulle proposte di riforma dell'INPGI in particolare con la possibilità di integrare nell'istituto i cosiddetti comunicatori, cioè le persone occupate nel vasto ambito dei nuovi mezzi di comunicazione, così come delle pubbliche relazioni. La proposta mi sembra velleitaria e in fondo pericolosa perché rischia di allungare i tempi per una vera riforma dell'Istituto, una riforma che tuttavia potrebbe essere costituita unicamente dall'integrazione nell'Inps. Perché velleitaria? Perché se l'allargamento della platea degli iscritti all'Inpgi fosse volontario mi chiedo perché un "comunicatore" dovrebbe lasciare il porto sicuro dell'Inps per entrare in un istituto in profonda crisi. Se invece fosse obbligatorio mi chiedo con quali criteri verrebbero individuate le persone da far confluire: non esiste un ordine dei comunicatori, esistono semplicemente delle associazioni in cui si può entrare e da cui si può uscire senza particolari formalità. Un addetto al web di un'impresa non è differente da un impiegato all'ufficio marketing. E allora? Si rischia un buco nell'acqua sulla pelle dei giovani giornalisti e degli anziani pensionati. Il tutto per difendere un'autonomia che di fatto non esiste più. la crisi dell'editoria (non tanto quella del giornalismo) è una crisi ormai strutturale. I vecchi parametri vanno semplicemente abbandonati. O mi sfugge qualcosa?


Grazie dell'attenzione


Gianfranco Fabi (già vicedirettore de Il Sole 24 Ore)


 





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