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Diffamazione: la Cassazione stringe le maglie in tema di pubblicazione di notizie riprese da comunicati stampa di pubbliche autorità.
di Pierluigi Roesler Franz/Presidente del Sindacato Cronisti Romani presso l'Associazione Stampa Romana
24.9.2019 -Cronisti, attenzione! Prima di pubblicare notizie riprese da comunicati stampa di pubbliche autorità un giornalista deve effettuare le più opportune e scrupolose verifiche. Quindi massima prudenza per evitare possibili condanne per diffamazione in sede civile e penale. La prudenza é d'obbligo. La Cassazione ha infatti stretto ulteriormente le maglie in tema di diritto di cronaca e di comunicati stampa emessi da pubbliche autorità, fissando importanti principi ai quali dovranno d'ora in poi attenersi i giudici italiani. Riesaminando a fondo a distanza addirittura di oltre 12 anni fa un articolo dal titolo "denunciato finto dentista operava a metà prezzo", ritenuto diffamatorio, pubblicato il 1° agosto 2007 sul Corriere della Sera, all'epoca diretto da Paolo Mieli, in cui si dava notizia di un comunicato della Guardia di Finanza su presunti evasori fiscali (vi si affermava, tra l'altro, che dall'indagine era emerso che "Stefano Lorenti, 40 anni, è evasore totale con circa 350 mila euro annui mai denunciati, l'uomo risulta proprietario di due macchine di lusso e di un attico di 300 metri vista mare a Ostia dove è residente) la quinta sezione penale della Suprema Corte (Presidente Maria Vessichelli, relatore Renata Sessa) con sentenza n. 38880 del 20 settembre 2019, cliccare su http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190920/snpen@s50@a2019@n38880@tS.clean.pdf ha annullato l'assoluzione di un redattore e dell'ex direttore del quotidiano milanese, decisa in appello a Roma, ed ha disposto un nuovo giudizio in sede civile per valutare se la parte lesa può essere risarcita. Gli ermellini di piazza Cavour hanno in particolare sancito che: "la fonte, di là della sua autorevolezza o meno, non può, comunque, risolversi in un'automatica legittimazione del diritto di cronaca, escludente di per sé qualunque profilo di colpa, dovendosi innanzitutto tener conto del suo contenuto ovvero di quanto attraverso di essa si esprime in termini di univocità e chiarezza; a fronte di un comunicato che riporta dati imprecisi non si può giungere ad affermare che il giornalista abbia, per ciò solo, ovvero affidandosi al contenuto dello stesso, sufficientemente svolto il suo dovere di verifica dello stesso in punto di esatta identificazione della persona di cui si parla e, correlativamente, dei dati ed informazioni alla medesima riferiti, ovvero che abbia, quindi, legittimamente esercitato il diritto di cronaca; la notizia deve essere verificata ed approfondita da ogni punto di vista e in tutte le sue affermazioni e ciò s'impone anche allorquando, pur provenendo essa da fonte qualificata, quale può essere quella dell'organo inquirente, scaturisca da uno scritto non del tutto chiaro e preciso che non consente cioè, da un lato, di individuare con esattezza lo stesso autore dei fatti addebitati e, ciò nondimeno, attribuisca, dall'altro, al contempo, condotte specifiche e determinate sia dal punto di vista penale che della vita privata; gli eventuali approfondimenti che la fonte dovesse imporre non possono, ovviamente, ritenersi soddisfatti, rectius superati da mere supposizioni o deduzioni logiche, a meno che esse non siano dirimenti conducendo a risultati certi, tali da escludere l'errore colpevole". xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Cassazione Sezione QUINTA PENALE Sentenza n. 38880 del 20 settembre 2019 (Presidente Maria Vessichelli, relatore Renata Sessa) http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190920/snpen@s50@a2019@n38880@tS.clean.pdf SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile LORENTI STEFANO nato a ROMA il 22/12/1968 nel procedimento a carico di: SASSI EDOARDO nato a ROMA il 27/10/1967 MIELI PAOLO nato a MILANO il 25/02/1949 avverso la sentenza del 25/09/2017 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI LEO che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio AL GIUDICE CIVILE COMPETENTE udito il difensore della parte civile avv. Enrico Petrucci in sostituzione dell'avv. Stefano Caroti LA DIFESA SI RIPORTA AL RICORSO RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, ha assolto gli imputati Sassi Edoardo e Mieli Paolo dai reati rispettivamente ascritti di cui agli articoli 595 cod. pen., 13, 21 Legge 47 del 1948, quanto al primo, per avere offeso la reputazione di Lorenti Stefano pubblicando sul quotidiano Corriere della Sera del primo agosto 2007 un articolo dal titolo "denunciato finto dentista operava a metà prezzo", affermando tra l'altro " dall'indagine è inoltre emerso che Stefano Lorenti, 40 anni, è evasore totale con circa 350.000 euro annui mai denunciati, l'uomo risulta proprietario di due macchine di lusso e di un attico di 300 metri vista mare a Ostia dove è residente; agli articoli 57, 595 c.p. e 13 e 21 legge 47/1948 quanto al secondo, per omesso controllo nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano "Il Corriere della Sera".
2.Avverso l'indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la costituita parte civile Lorenti Stefano, tramite il difensore di fiducia, nonché procuratore speciale, avvocato Stefano Caroti, articolato in due motivi. 2.1. Col primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in merito alla ritenuta scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca; assume, in particolare, che ai fini dell'applicazione di tale scriminante rilevi, innanzitutto, che la notizia sia vera, che il fatto narrato sia rappresentato così come verificatosi nella realtà, in maniera oggettiva, neutra, che sia attuale, che ci sia continenza nella sua esposizione, laddove nel caso di specie le notizie addebitate a Lorenti oltre a non essere non veritiere, nè attuali, sono state anche tali da ledere sotto ogni aspetto la reputazione del medesimo, indicato come autore di più reati. Evidenzia che erroneamente la Corte di Appello ha posto a fondamento della assoluzione la circostanza che trattavasi di notizie desunte dal comunicato stampa della Guardia di Finanza, essendo, invece, di contro emerso che tale comunicato si riferiva a soggetto diverso riportando iniziali non corrispondenti a quelle di Lorenti Stefano ( RS ), e che non corrisponde a verità che al momento in cui la notizia fu pubblicata il predetto fosse indagato anche per reati fiscali, il cui accertamento risale ad epoca successiva così come si evince chiaramente dalla deposizione del Tenente della Guardia di Finanza Giuseppe Garofalo, nonché dalla deposizione del capitano della Guardia di Finanza Augusto Dell'Aquila. Questi, in particolare, a precisa domanda, ha riferito che il comunicato stampa, prodotto dalla difesa degli imputati ed esibitogli nel corso dell'esame testimoniale, non si riferisse alla vicenda Lorenti, in ragione della conclamata divergenza rivelata dalle iniziali del nominativo riportate, quanto anche dal fatto che i dati relativi alla presunta evasione perpetrata da Lorenti non risultano essere certamente compatibili con l'esito degli accertamenti svolti, visto che la verifica fiscale è stata successiva a quel momento, precisando che all'epoca il comando della Guardia di Finanza aveva avuto modo di occuparsi di altre vicende analoghe. Quindi conclude che non possa ritenersi operante nel caso di specie la scriminante ravvisata perché nè l'estensore nell'articolo, nè il direttore della testata giornalistica potevano avere certezza che il Lorenti avesse commesso quella serie di reati riportati sul giornale, visto che, nel momento in cui è stata pubblicata la notizia, il Lorenti aveva subito esclusivamente una perquisizione domiciliare ed era stato indagato a piede libero per il solo reato di esercizio abusivo della professione di medico dentista, mentre gli accertamenti relativi a presunti illeciti di carattere fiscale sono stati effettuati in epoca successiva. Gli omessi controlli imputabili ad entrambi gli imputati, nelle rispettive qualità, non consentono di ravvisare neppure la scriminante in parola sotto il cosiddetto profilo putativo ai sensi dell'articolo 59 Cod. pen., visto che il giornalista, prima, il direttore, poi, avevano l'obbligo di controllare accuratamente la notizia, richiedendo la buona fede del giornalista necessaria per integrare l'esimente della verità putativa non solo la verosimiglianza della notizia medesima ma anche il controllo della fonte di provenienza e della sua attendibilità; accertamento che il giornalista agli effetti dell'esimente in questione non deve mai omettere, neppure per il convincimento proprio o della pubblica opinione della verità della notizia o per l'esigenza della speditezza dell'informazione, dovendosi, altrimenti, nel caso in cui l'abbia omesso, concludere che abbia agito quantomeno con negligenza ovvero imperizia imprudenza. 2.2. Col secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in merito alla presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste capitano Dell'Aquila della Guardia di Finanza, già sintetizzate nell'ambito del primo motivo; in particolare contesta la circostanza secondo cui con riferimento alla deposizione del predetto capitano fosse ravvisabile una sorta di potenziale conflitto che, quantomeno, avrebbe reso inutilizzabile la sua deposizione, non essendo consentito nel processo di assumere e richiedere dichiarazioni capaci di produrre al teste un pregiudizio anche solo potenziale ( interesse personale ravvisato nel caso di specie nel fatto che per le sue dichiarazioni l'ufficiale avrebbe potuto trovarsi esposto a conseguenze anche di natura penale dal momento che, essendo certa la paternità del comunicato stampa a suo nome, l'eventuale discordanza dal vero delle notizie in esso riportate avrebbe certamente avuto conseguenze sfavorevoli per lo stesso, di talchè, - conclude la corte - , lo stesso non poteva essere sentito in qualità di testimone ). Come già affermato dal Tribunale nella pronuncia di primo grado, non si può, invece, attribuire allo stesso un interesse a negare la riferibilità del comunicato stampa alla vicenda riguardante Lorenti Stefano, allo scopo di evitare una causa per diffamazione; indi passa in rassegna le specifiche circostanze indicate a sostegno di tale ricostruzione e conclude per l'annullamento della sentenza impugnata e per la conferma delle statuizioni civili in favore della costituita parte civile ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1 Il ricorso, proposto agli effetti civili, è fondato e merita di essere accolto per quanto di ragione. 1.1. Va innanzitutto rammentato: - che in tema di diffamazione a mezzo stampa, ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca qualora, nel riportare un evento storicamente vero, siano rappresentate modeste e marginali inesattezze che riguardino semplici modalità del fatto, senza modificarne la struttura essenziale. (In applicazione del principio, la S.C. Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva negato la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen. nei confronti del giornalista e direttore di un giornale per la pubblicazione di un articolo che, nel riferirsi all'attività professionale di un medico veterinario, aveva falsamente esposto che questi aveva millantato un intervento chirurgico mai eseguito, laddove invece, in realtà, detto intervento era stato eseguito, pur se in modo errato). (Sez. 5, n. 41099 del 20/07/2016 - dep. 30/09/2016, Carrassi e altro, Rv. 26814901); - che in tema di diffamazione a mezzo stampa, è configurabile la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l'onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l'affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte. La cronaca giudiziaria è infatti lecita quando diffonda la notizia di un provvedimento giudiziario, mentre non lo è quando le informazioni da esso desumibili siano utilizzate per effettuare ricostruzioni o ipotesi giornalistiche autonomamente offensive, giacché, in tal caso, il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare le notizie e non può certo esibire il provvedimento giudiziario quale unica fonte di informazione e di legittimazione dei fatti riferiti ( Sez. 5, Sentenza n. 15643 del 11/03/2005 Ud. (dep. 27/04/2005 ) Rv. 232134 ). Ed ancora, sussiste la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di critica quando, pur risultando il fatto oggetto dell'elaborazione critica obiettivamente falso, il giornalista abbia assolto all'onere di controllare accuratamente il fatto riferito in guisa che l'errore sulla verità dello stesso non sia frutto di negligenza, imperizia o colpa non scusabile ( Sez. 5, Sentenza n. 51619 del 17/10/2017 Ud. (dep. 13/11/2017 ) Rv. 271628; Sez. 5, Sentenza n. 23695 del 05/03/2010 Ud. (dep. 18/06/2010) Rv. 247524, l'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria non può essere affermata in ragione del presunto elevato livello di attendibilità della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia. (Fattispecie nella quale la Corte ha negato la sussistenza dell'esimente putativa "de qua" in relazione alla pubblicazione di una notizia risultata non vera).
1.2. Nel caso di specie, la motivazione posta dalla Corte territoriale a sostegno della ravvisata scriminate dell'esercizio del diritto di cronaca, innanzitutto, non dà compiutamente conto di tutti i passaggi necessari affinchè possa ritenersi razionalmente giustificata la difforme conclusione cui essa è pervenuta. Tale conclusione, fondata su una ricostruzione del tutto contrapposta a quella di primo grado e per di più espressa in termini di certezza, avrebbe imposto, innanzitutto, una maggiore analisi e ponderazione di tutti gli elementi di segno contrario in ogni caso esistenti, e ciò soprattutto nell'ottica di doversi fornire una giustificazione giuridica al fatto rispettosa dei principi di diritto affermati da questa Corte in materia, sopra riportati (cfr. Sez. U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017 Ud. (dep. 03/04/2018 ) Troise Rv. 272430, che fa riferimento alla necessità - anche in caso di ribaltamento di una sentenza di condanna - di una decisione espressa in maniera rafforzata, che dia puntuale ragione delle difformi conclusioni raggiunte). La Corte ha, invece, con assoluta tranquillità, affermato che il giornalista, a fronte di un comunicato stampa del tenore di quello descritto dal ricorrente, proveniente dalla Guardia di finanza, sarebbe esente da ogni colpa, avendo legittimamente fatto affidamento su di una fonte più che autorevole, quale appunto il comunicato in questione, che, in quanto tale esimeva da qualunque ulteriore accertamento; e ciò senza considerare minimamente che, come affermato da questa Corte in svariate pronunce - alcune delle quali sopra riportate - non può essere affermata nemmeno l'esimente cd. putativa del diritto di cronaca giudiziaria in ragione del presunto elevato livello di attendibilità della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia, poi risultata non vera; questa, anzi, ove presenta aspetti già di per sé poco chiari, come nel caso di specie, rende del tutto relativa l'eventuale autorevolezza della sua fonte ed impone penetranti verifiche prima della sua diffusione, con la conseguenza che nell'ipotesi in cui esse manchino non vi è spazio nemmeno per la esimente putativa. La Corte è peraltro giunta a tale conclusione svalutando, con motivazione non coerente né esaustiva, le dichiarazioni del capitano della gdf Dell'Aquila, che aveva escluso che tale comunicato potesse essere riferito al Lorenti, indicando anche le ragioni di tale sua affermazione ( non coincidenza delle inziali, riferimento nell'articolo ad un accertamento non ancora svolto, svolgimento di altre indagini analoghe in quel periodo ) ovvero circostanze obbiettive, che non potevano essere superate, come, invece, fatto dalla Corte, sulla base di un presunto conflitto di interesse del teste, delineato attraverso mere congetture e comunque senza procedere a una più compiuta analisi e comparazione con le ragioni della certa attribuibilità del contenuto del comunicato stampa al Lorenti, e ciò nonostante detto scritto non sia affatto chiaro ed univoco quanto a riferimenti espressi. 1.3. Il tutto assume vieppiù rilievo e significato laddove comparato con la motivazione della sentenza di primo grado in cui si precisa innanzitutto quanto di vero risultasse a carico del Lorenti ovvero che lo stesso, come dal medesimo affermato e non smentito dagli atti, non era né possessore di autovetture lussuose né di attico di 300 mq, avendo solo una Ford Fiesta del 1995 e un'abitazione di 70 mq, in cui abitava, ereditata dal padre, e non potesse essere ritenuto evasore per le cifra indicata nell'articolo di 350.000 euro. Né i successivi sviluppi delle indagini avrebbero poi confermeranno il dato di un siffatto ingente importo - come da verbale di constatazione del 31 ottobre 2008 successivo al fatto - con la conseguenza che l'unico dato effettivamente corrispondente alla posizione dello stesso era quello relativo all'esercizio abusivo dell'attività di dentista, mentre l'articolo aveva fornito le ulteriori informazioni indicate in maniera del tutto falsa. Tali informazioni, nel loro complesso, ben possono assumere valenza diffamatoria, non esaurendosi esse in meri dettagli di contorno, bensì risolvendosi, piuttosto, in dati che complessivamente considerati amplificavano la portata delle attività illecite attribuite al Lorenti, facendolo apparire come persona capace di svariati reati, che, anche tangibilmente, davano i loro frutti; esse, al contempo, non possono ritenersi scriminate, tout court, come fatto dalla Corte territoriale, dall'esercizio del diritto di cronaca sulla base di un comunicato stampa proveniente dalla Pg ma smentito dallo stesso ufficiale di Pg quanto a riferibilità al Lorenti (di talchè l'articolo riportava in definitiva dati non riferibili - quanto meno in parte - al Lorenti). 1.4. Il Tribunale era giunto, invece, ad affermare la responsabilità di entrambi gli imputati, per non avere, in buona sostanza, verificato, ognuno in relazione alle rispettive competenze, con diligenza adeguata al caso concreto, la notizia prima di darla, segnatamente in punto della sua imputabilità alla persona indicata, a fronte di una fonte astrattamente qualificata ma che in concreto non poteva ritenersi dotata di efficacia parimenti" qualificata" per essere in essa riportate solo delle iniziali, in parte anche non corrispondenti; mentre la Corte non ha ritenuto di approfondire tale aspetto afferente il contenuto stesso del comunicato, al fine di comprendere se di là della fonte qualificata che lo aveva reso, esso consentiva di giungere a conclusioni univoche; in tal modo omettendo di confrontarsi anche con i principi affermati da questa Corte in materia, sopra indicati. Principi che possono essere ulteriormente specificati, tenuto conto del caso concreto, nei seguenti termini: la fonte, di là della sua autorevolezza o meno, non può, comunque, risolversi un un'automatica legittimazione del diritto di cronaca, escludente di per sé qualunque profilo di colpa, dovendosi innanzitutto tener conto del suo contenuto ovvero di quanto attraverso di essa si esprime in termini di univocità e chiarezza; a fronte di un comunicato che riporta dati imprecisi non si può giungere ad affermare che il giornalista abbia, per ciò solo, ovvero affidandosi al contenuto dello stesso, sufficientemente svolto il suo dovere di verifica dello stesso in punto di esatta identificazione della persona di cui si parla e, correlativamente, dei dati ed informazioni alla medesima riferiti, ovvero che abbia, quindi, legittimamente esercitato il diritto di cronaca; la notizia deve essere verificata ed approfondita da ogni punto di vista e in tutte le sue affermazioni e ciò s'impone anche allorquando, pur provenendo essa da fonte qualificata, quale può essere quella dell'organo inquirente, scaturisca da uno scritto non del tutto chiaro e preciso che non consente cioè, da un lato, di individuare con esattezza lo stesso autore dei fatti addebitati e, ciò nondimeno, attribuisca, dall'altro, al contempo, condotte specifiche e determinate sia dal punto di vista penale che della vita privata; gli eventuali approfondimenti che la fonte dovesse imporre non possono, ovviamente, ritenersi soddisfatti, rectius superati da mere supposizioni o deduzioni logiche, a meno che esse non siano dirimenti conducendo a risultati certi, tali da escludere l'errore colpevole. Peraltro nel caso di specie un siffatto accertamento era non solo imposto ma plausibile ed effettuabile sulla base degli stessi dati emergenti dal comunicato - quali il possesso di autovetture ed abitazione lussuose e residenza in un determinato luogo - la cui verifica ben avrebbe potuto contribuire a confermare la non riferibilità - nella sua interezza- della notizia data sul giornale alla persona a cui la stessa è stata attribuita. Più in generale, si deve concludere che a fronte di una fonte non chiara, come quella nel caso in esame, il giornalista o acquisisce con certezza i dati identificativi del soggetto di cui vengono indicate solo delle iniziali o si astiene dall'indicare generalità complete desumendole dalle sole iniziali (nel caso di specie peraltro non univoche essendo state indicate diversamente nel corpo del medesimo comunicato). Né potrebbe farsi affidamento su eventuali notizie riferite oralmente da parte di chi ha trasmesso il comunicato o dall'organo inquirente in genere, perché una volta che la fonte è cristallizzata in uno scritto rimane quello il punto certo di riferimento, soprattutto se proveniente da parte dei medesimi inquirenti. Difficilmente potrebbero, tout court, assumere rilievo, di fronte a un comunicato stampa, eventuali informazioni sottostanti fornite in maniera del tutto ufficiosa, rimanendo in una siffatta ipotesi a totale rischio del giornalista l'affidamento che su di esse si sia fatto laddove non venga nemmeno disvelata da parte dello stesso, con esattezza, la fonte qualificata che le avrebbe fornite. In via ancor più generale, deve affermarsi che l'obbligo del preventivo accertamento non può ritenersi assolto allorquando solo in parte sono state verificate le circostanze pubblicate, risultando non vere anche solo alcune di esse, perché in tal caso rimane falsa la notizia, sia pure limitatamente alle parti non corrispondenti al vero, ed in quanto tale, ove derivata da un colposo non assolvimento del detto dovere, non è in alcun modo scriminabile. 2. In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata dev'essere pertanto annullata agli effetti civili per difetto di motivazione in punto di analisi sull'inidoneità - o meno - del comunicato della Gdf a legittimare il comportamento del giornalista, indi del direttore, oltre che per erronea applicazione del disposto di cui all'art. 51 cod. pen. che esclude la punibilità solo se non si versi in colpa, perché solo in tal caso può parlarsi di esercizio di un diritto; a tale statuizione consegue il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche per la regolamentazione delle spese della parte civile al giudizio definitivo, che si atterrà ai principi di diritto suindicati, ivi compreso quello che sancisce l'obbligo della motivazione rafforzata anche in caso di ribaltamento della pronuncia di condanna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Spese della parte civile al definitivo. xxxxxxxxxxxxxxxxxx
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