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E' un ulteriore esempio della cronica lentezza dei processi civili per diffamazione: assolti dopo 17 anni tre giornalisti de "Il Giornale di Sicilia". Non denigrarono l'ex Assessore al Bilancio della Provincia di Palermo Pirillo.

 


8.7.2020- E' l'ennesima riprova della cronica lentezza della giustizia civile in Italia nei processi per diffamazione: dopo ben 17 anni la Cassazione ha definitivamente scagionato tre giornalisti de "Il Giornale di Sicilia" Giovanni Pepi, Riccardo Lo Verso e Luca La Mantia dall'accusa di aver leso l'onore e la reputazione dell'allora Assessore al Bilancio della Provincia di Palermo Maurizio Pirillo.


Questi i fatti. "Il Giornale di Sicilia" con tre distinti articoli pubblicati il 4, 5 e 6 settembre 2003 e firmati dai giornalisti Giovanni Pepi, Riccardo Lo Verso e Luca La Mantia divulgava la notizia dell'avvenuta iscrizione nel registro degli indagati dell’allora Assessore al bilancio della Provincia di Palermo Maurizio Pirillo per il delitto di falsa perizia di cui all'art. 373 del codice penale nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria volta ad accertare la regolarità e la legittimità della procedura seguita per autorizzare il trasferimento in via Malaspina dell'Istituto scolastico Einaudi. Il 30 agosto 2012 il Tribunale di Palermo accolse in parte la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati all'onore e alla reputazione dell'allora assesore Pirillo, rilevando l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca perché i tre articoli avevano violato il principio di verità, essendo emerso che il reato che gli era stato contestato riguardava la diversa ipotesi di concorso in tentata concussione. Pertanto il quotidiano siciliano e i tre giornalisti vennero condannati a pagare comunque un indennizzo - seppur inferiore a quello richiesto - di 8.000 euro a titolo di risarcimento del danno e di ulteriori 1.000 euro a titolo di riparazione pecuniaria in base all'art. 12 della legge sulla stampa del 1948.


Il verdetto fu, però, ribaltato dalla Corte d'Appello di Palermo che assolse i 3 giornalisti e "Il Giornale di Sicilia", rilevando che il tribunale avesse mal ricostruito e interpretato il contenuto degli articoli, in cui si affermava soltanto che il Pirillo fosse indagato, insieme ad altri, nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria relativa alla sicurezza delle scuole, nella quale era emersa la commissione di illeciti nella procedura di trasferimento dell'istituto Einaudi, illeciti commessi anche mediante l'uso di una falsa perizia. In pratica per i giudici di 2° grado il fatto di cronaca narrato era da considerare vero nei suoi aspetti generali nonostante fosse stata riferita una circostanza inesatta, in quanto tale discrasia era improduttiva di danno. Di conseguenza venne respinta la richiesta di risarcimento avanzata dal Pirillo. La terza sezione civile della Cassazione con ordinanza n. 12903 del 26 giugno scorso, scaricabile dal sito http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20200626/snciv@s30@a2020@n12903@tO.clean.pdf  ha ora messo fine alla vicenda confermando la sentenza di appello e condannando l'ex assessore Pirillo a rimborsare più di 7 mila euro di spese legali.


C''é, però, da chiedersi: é normale che un giornalista resti sub iudice così a lungo prima di ottenere ragione? E come giustifica il Consiglio Superiore della Magistratura questi tempi biblici che appaiono in aperta violazione sia dell'art. 111 della Costituzione sul giusto processo, sia dell’art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che prevede che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile”?


I tempi abnormi di conclusione davanti alla giustizia italiana delle cause civili di risarcimento danni da diffamazione sono provati da altri casi clamorosi. Eccone un campionario: l'ex direttore de "La Nazione" di Firenze Gabriele Cané é stato assolto dopo 21 anni dalla Corte d'Appello civile di Firenze l'8 settembre 2015; l'ex direttore de "La Stampa" Marcello Sorgi é stato scagionato a distanza di ben 19 anni dalla pubblicazione di un articolo ritenuto diffamatorio con sentenza della Cassazione civile n. 23647 del 10 ottobre 2017, cliccare su http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20171010/snciv@s30@a2017@n23647@tO.clean.pdf. Il record spetta comunque al giornalista Roberto Di Meo della redazione di Terni de "La Nazione", che ha definitivamente vinto la causa addirittura dopo 24 anni dalla pubblicazione di un suo articolo ritenuto diffamatorio con ordinanza della Cassazione civile n. 25177 dell'11 ottobre 2018, cliccare su http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20181011/snciv@s30@a2018@n25177@tO.clean.pdf  !!!


Pierluigi Franz


Presidente del Sindacato Cronisti Romani


                                                                                                           cccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccccc


Ordinanza n. 12903 del 26 giugno 2020 della 3^ Sezione Civile della Cassazione (Presidente Giacomo TRAVAGLINO, relatore: Stefano Giaime Guizzi)


 





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