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Diffamazione: fissati dalla Cassazione importanti principi in tema di interviste e di libero esercizio del diritto di cronaca in caso di pubblicazione o di messa in onda su radio, tv e on-line di dichiarazioni lesive dell’altrui reputazione, ma ritenute dal giudice, caso per caso, di possibile interesse pubblico.

di Pierluigi Franz

9.11.2020 - Con una "storica" decisione la Cassazione ha fatto finalmente chiarezza sull'eventuale responsabilità penale per diffamazione a carico del direttore e del giornalista autore del servizio se nel corso di un'intervista viene leso l'onore e la reputazione di terze persone.


La quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Gerardo Sabeone, con sentenza n. 29128 del 21 ottobre 2020, che va letta con particolare attenzione e che é scaricabile dal sito http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20201021/snpen@s50@a2020@n29128@tS.clean.pdf , ha scisso, da un lato, la responsabilità penale della persona intervistata da quella del giornalista autore del servizio e, dall'altro, la responsabilità del giornalista autore dell'intervista da quella del suo direttore, ma ritenute dal giudice, caso per caso, di possibile interesse pubblico.


I magistrati italiani dovranno in pratica applicare di volta in volta queste regole in caso di pubblicazione o di messa in onda su radio, tv e on-line di dichiarazioni pur lesive dell’altrui reputazione, ma tenendo sempre ben distinta e separata l'eventuale responsabilità dell’intervistato da quella dei giornalisti.


I supremi giudici sono giunti a questa conclusione dopo aver analizzato a fondo la complessa e delicata problematica e riesaminato a 360 gradi non solo tutte le precedenti pronunzie emesse nel “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma, ma anche quelle della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo e della Corte Costituzionale (tra cui la recente ordinanza n. 132 del 2020). Con quest'ultima decisione i giudici della Consulta hanno infatti riconosciuto la libertà di manifestazione del pensiero come diritto fondamentale «coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione», nonché vera e propria «pietra angolare dell'ordine democratico» e «cardine di democrazia nell'ordinamento generale». A  loro parere la libertà di stampa «assume un'importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel funzionamento del sistema democratico, nel quale al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo "diritto all'informazione" dei cittadini: un diritto quest'ultimo "qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale", ed é caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti. Non v'è dubbio pertanto che l'attività giornalistica meriti di essere "salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta" che possa indebolire la sua vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte di chi detenga posizioni di potere».


Applicando questi principi la Cassazione, nonostante il contrario parere del Sostituto Procuratore generale Dott. Giovanni Di Leo, ha annullato - anche perché ormai caduta irrevocabilmente in prescrizione per il decorso del tempo - la condanna che era stata inflitta due anni fa in sede penale per diffamazione dalla Corte d'Appello di Brescia sia ad Arturo Celletti, autore nel 2009 di un'intervista all'immobiliarista Danilo Coppola (considerato il più pettinato dei “furbetti del quartierino” e accusato di bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, appropriazione indebita e falso ideologico), sia alla giornalista calabrese Maria Latella, all’epoca direttrice di “Anna”, settimanale femminile della Rcs, perché ritenuta responsabile di omesso controllo. Essi erano stati infatti denunciati per violazione della legge sulla stampa del 1948 e dell'art. 595 del codice penale dal magistrato della Procura della Repubblica di Roma Giuseppe Cascini, che aveva condotto le indagini e sostenuto l'accusa proprio nel procedimento penale a carico del Coppola, per il clamoroso crack del suo Gruppo per circa 300 milioni di euro. Il dottor Cascini, napoletano, classe 1965, era poi divenuto Presidente dell'Anm (Associazione Nazionale Magistrati) e nel 2017 procuratore aggiunto di Roma. La posizione di entrambi i giornalisti si é così conclusa in sede penale.


Viceversa in sede civile Arturo Celletti e Maria Latella saranno di nuovo processati in 2° grado assieme a Luca Dini, all’epoca direttore della rivista "Vanity Fair", edito da Condé Nast, e a Maria Mianiti, autrice di un'analoga intervista a Coppola. La Corte d'appello civile dovrà, però, riesaminare l'intero incartamento ed applicare i principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte. Per quanto riguarda, infine, l'ex immobiliarista Danilo Coppola la sua condanna per diffamazione é divenuta definitiva perché la sua intervista rilasciata ad "Anna" e a "Vanity Fair" é stata giudicata lesiva dell'onore e della reputazione nei confronti del giudice Cascini.  


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sentenza in http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20201021/snpen@s50@a2020@n29128@tS.clean.pdf


 


 





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