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  Diritto di cronaca
Stampa

Informazione.
Natale (Fnsi):
vale per tutti
la presunzione
d'innocenza.

Roma, 29 dicembre 2008.  "Eppure in teoria lo sappiamo bene come dovremmo


comportarci, in vicende tragiche come quella di Rocco. Lo sappiamo, lo


dovremmo sapere, da una ventina di anni almeno. Da quando cioè noi


giornalisti sembravamo aver imparato, sotto i colpi delle critiche esterne,


che non potevamo sempre brandire il diritto di cronaca come una spada; che


il nostro lavoro di cronisti doveva saper trovare il punto di equilibrio con


altri diritti egualmente importanti". Così Roberto Natale, presidente Fnsi


interviene sul dibattito che si è aperto sul sito di Articolo21 in merito


alla vicenda della morte del piccolo Rocco Pellegrini, il cui nonno ha


stigmatizzato il ruolo dell'informazione". "Avevamo imparato a parlare, e a


sentir parlare - afferma Natale - di 'diritto dei cittadini ad essere


informati in modo corretto', o di 'tutela dei soggetti deboli'. La stagione


delle 'carte' fu il frutto più visibile del cammino (combattuto, faticoso,


però sincero) che il giornalismo italiano fece per guarire dalla malattia


del corporativismo. Nell'88 la prima bozza di una 'Carta dei diritti del


lettore e dello spettatore' promossa dal Gruppo di Fiesole. Nel '90 la Carta


di Treviso su un'informazione rispettosa dei minori. Nel '93 il documento


più importante: ordine e sindacato adottano insieme (per libera scelta,


senza che nessuna legge dello Stato lo imponga) un testo che parla non dei


nostri diritti ma dei nostri doveri di giornalisti. Dovrebbe essere la guida


della professione, e parla in maniera inequivocabile anche di Rocco, del


dolore dei suoi familiari, delle nostre responsabilità".


"Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua


dignità e il diritto alla riservatezza... Il giornalista - afferma il


presidente Fnsi - rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione


d'innocenza... Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino


alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive.


Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di


specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano


rivelate inesatte o errate...Il giornalista non deve dare notizia di accuse


che possano danneggiare la dignità e la reputazione di una persona senza


garantire opportunità di replica all'accusato." "Cosa si potrebbe scrivere


di meglio? Eppure la Carta resta lì, sulla carta. Almeno quando non c'è


qualcuno di importante che a questi nostri doveri ci sa richiamare perché fa


valere il suo potere. E' la cronaca di questi giorni: mostrata in un modo


per noi imbarazzante dal dibattito sulla nuova disciplina delle


intercettazioni. Se ad invocare la presunzione di innocenza e il diritto


alla riservatezza sono i 'soggetti forti' - politici, amministratori locali,


imprenditori - le loro ragioni hanno un risalto particolare, anche nei


nostri giornali. La Costituzione e le norme della professione valgono anche


per loro, nessun dubbio. Ma se valgono solo per loro, se la deontologia


funziona a due velocità, allora diventa difficile per noi giornalisti


respingere le critiche di servilismo e di sottomissione. Anche per questo la


storia di Rocco merita una risposta: perché non vogliamo rassegnarci alle


accuse indiscriminate; perché crediamo che l'autogoverno della categoria in


materia disciplinare possa e debba funzionare; perché sappiamo che essere


rigorosi con noi stessi e verso i cittadini è l'unica speranza che abbiamo


per evitare nuove leggi che fingono di voler tutelare la riservatezza e


invece mirano ad imbavagliarci per garantire meglio l'impunità di alcuni".


"E' una risposta - conclude Natale - che deve arrivare da quegli organi


della categoria che sul rispetto dei doveri professionali sono chiamati a


vigilare, e che saranno investiti della vicenda (se non lo hanno già fatto


nel frattempo i nonni di Rocco). Chi di noi ha rigettato l'idea sommaria e


liquidatoria che dell'Ordine dei giornalisti ha mostrato Beppe Grillo


proponendone l'abolizione è tenuto alla coerenza, e dunque a far vedere che


l'Ordine funziona. Ma il percorso di tipo eventualmente disciplinare, pur se


necessario, non può bastare. Resta da capire perché, nonostante le Carte e


le loro promesse, una famiglia possa ancora oggi essere devastata, quasi


nell'indifferenza, in nome di un malinteso giornalismo "di denuncia". I


nostri direttori, che sul pedale della cronaca hanno spinto parecchio in


questi anni, avranno forse qualcosa da dirci". (velino).


 





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