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  Diritto di cronaca
Stampa

La sentenza 7607/2006 è un forte monito dei giudici supremi al mondo giornalistico italiano
Anche la Cassazione afferma che il giornalismo
deve osservare le regole fissate per legge.
Non esiste la libertà di scrivere quel che si vuole
o di pubblicare le generalità e le foto di persone
che hanno subito violenze e che hanno anche
patito gravi lesioni alla loro dignità personale.


Sul n. 9/2000 del settimanale "Panorama", diretto da Roberto Briglia, veniva pubblicato - a firma di  Marcella Andreoli - un articolo dal titolo "Il sacco, la carota e altre storie di nonni", nel quale veniva raccontata con dovizia di particolari una vicenda di angherie e violenze subita da un giovane aviere  in una caserma del Padovano. A seguito di un esposto della famiglia dell'aviere, che lamentava la pubblicazione del nome e cognome e di altri particolari personali della vittima degli episodi di "nonnismo", sì da consentirne la "diretta ed esplicita identificazione", il Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia,  con delibera 17 luglio 2000, ritenuta sussistente la violazione del Codice di deontologia sulla privacy e del dovere di attenersi alla verità sostanziale dei fatti, ha irrogato alla Andreoli la sanzione della sospensione della professione per due mesi ed al  Briglia quella della censura”. Successivamente il Consiglio nazionale ha, invece, ridotto la sanzione a quella dell’avvertimento per entrambi i giornalisti, confermato l’impianto accusatorio. La decisione è stata ribadita dal Tribunale, dalla Corte d’Appello di Milano e dalla Corte suprema con la sentenza 7607/2006. Nel luglio del 2000 i direttori dei grandi giornali italiani lanciarono insulti contro la linea “calvinista” dell'Ordine di Milano, che, invece, in quell'occasione aveva difeso ancora una volta la legalità deontologica della professione di giornalista....


La sentenza della III sezione civile della Cassazione è una lezione di civiltà per coloro che in questi giorni predicano un giornalismo senza vincoli in contrasto con il dettato dell’articolo 21 della Costituzione che, al comma 6, pone il limite del  “buon costume” alla libertà  di manifestazione del pensiero. Il  “buon  costume”  coincide con il rispetto della dignità della persona (sentenza 293/2000 della Corte costituzionale).


(La sentenza è in https://www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2404)


..........................................


La sentenza nella home page di www.odg.mi.it


(https://www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2406)


Monito per i falsi profeti


di un giornalismo senza regole


“Il rispetto della persona


e della dignità umana è


il limite interno all’esercizio


del diritto di cronaca”.


F.to Cassazione penale


(sez. III, sentenza 23356/01)


 


Massima-1. Foto raccapriccianti e impressionanti.


Il comune sentimento della morale cui fa riferimento l'art. 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47, richiamandosi al complesso di valori spirituali e sociali avvertiti come tali dalla comunità con immediatezza di consenso, si pone come limite interno all'esercizio del diritto di cronaca in quanto esprime il valore fondamentale del rispetto della persona e della dignità umana che trova protezione nell'articolo 2 della Costituzione e va a controbilanciare l'altro valore costituzionale espresso dall'articolo 21 della Costituzione su cui si fonda il diritto di cronaca. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che integrasse la fattispecie di cui all'art. 15 l. cit. che richiama l'art. 528 c.p. - salvo poi assolvere gli imputati per l'intervenuta prescrizione del reato - la condotta di due giornalisti e del direttore del relativo giornale i quali, essendo a conoscenza del contenuto di foto che mostravano la vittima dell'omicidio uccisa in modo raccapricciante ed impressionante, pubblicavano tali stampati a corredo dell'art. di commento dal titolo "Nella villa del delitto").


Nel merito la sentenza impugnata ha motivato in modo corretto e coerente in relazione al caso: "Le immagini della vittima dell'omicidio sono infatti tali da destare impressione e raccapriccio nell'osservatore di normale emotività, improntato ad impulsi di solidarietà umana, pietà per la defunta, rispetto per la sua spoglia, repulsione istintiva verso le ferite efferatamente impresse, senso di dignità della persona già uccisa in quel modo ed ulteriormente oltraggiata dalla pubblica ostensione del suo corpo, naturale esigenza di riservatezza verso l'intimità fisica personale rinforzata dalla condizione mortale del soggetto: insomma tutto, quel complesso di valori spirituali e sociali che, avvertiti come tali dalla comunità con immediatezza di consenso costituiscono quello che secondo l'art. 15 cit. è il comune sentimento della morale ed intende salvaguardare dal pericolo di turbamento insito in un particolare modo eccessivo e socialmente inadeguato dell'informazione, così rispecchiando valori costituzionali che controbilanciano il diritto alla libera manifestazione del pensiero e perciò costituiscono limiti interni all'esercizio del diritto medesimo….”. (Cass. pen. Sez. III, 27-04-2001, n. 23356 – Visto -  FONTI Riv. Pen., 2001, 730).


 Massima-2. La foto del  corpo di Moro pubblicata dall’Europeo.


Nel reato previsto e punito dall'art. 15, l. 8 febbraio 1948, n. 47 non ha efficacia esclusiva del dolo né la finalità, o motivazione, della pubblicazione, né il dissenso, pur dichiarato contestualmente alla pubblicazione stessa (nella specie: trattavasi di foto dell'on. Moro, nudo all'obitorio, accompagnate da un articolo di commento contro la strage, nel quale venivano evidenziate le finalità di carattere storico della pubblicazione). (Cass. pen., 09-06-1982; Valentini; FONTI Cass. Pen., 1984, 417 nota di SALAZAR; Riv. Pen., 1983, 637).


 Comitato nazionale di biotetica: “L’embrione umano va trattato con i criteri di rispetto e tutela che si debbono adottare verso una persona”. 


Vale la pena ricordare il parere 22.6.96 del Comitato Nazionale di bioetica su “identità e statuto dell’embrione umano”, dove la riflessione è introdotta dalla domanda: “l'embrione umano è o no un individuo umano a pieno titolo?” ed è conclusa con la dichiarazione che “il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si debbono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone”.


 


 


 


 


 


 


 


 





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