Franco Abruzzo: “Serve una legge
di un solo articolo che
abolisca i segreti istruttori
in vigore, i quali sono
inutili perché vengono
sistematicamente violati
da una pluralità di soggetti
pubblici. La nuova legge
dovrebbe dire che è
vietato pubblicare soltanto
quegli atti processuali sui quali
il giudice abbia deciso di apporre
il vincolo temporaneo di segretezza”
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INTERCETTAZIONI: procedure dell’Ordine lente per le sanzioni.
Roma, 19 luglio 2006. Una eventuale nuova legislazione che regoli l'uso e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche dovrebbe guardare, ai fini sanzionatori, alle ''fonti primarie in possesso delle stesse intercettazioni'' piu' che alle testate e ai giornalisti che le pubblicano: tutti d'accordo su questo punto i rappresentanti delle aziende editoriali e dei giornalisti che sono stati ascoltati oggi pomeriggio dalla commissione Giustizia del Senato presieduta da Cesare Salvi e cioè Boris Biancheri, presidente Fieg, Paolo Serventi Longhi e Franco Siddi, segretario generale e presidente della Fnsi e Lorenzo Del Boca, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Soprattutto quest'ultimo, comunque, ha insistito anche sulla ''inefficacia'' ed ''eccessiva lentezza'' della procedure stabilite da un ordinamento, quello istitutivo dell'Ordine dei giornalisti, ''vecchio di 43 anni'', come hanno ricordato anche Siddi e Serventi Longhi. Vista infatti la difficoltà di definire per legge i alcuni confini (per esempio quelli relativi all'interesse di alcune intercettazioni che riguardano terze persone non direttamente coinvolte in un procedimento giudiziario), la questione deontologica e' sembrata a tutti quella dirimente in molti dei casi citati. E proprio alla luce di queste osservazioni, il presidente Salvi, dopo aver chiesto ai rappresentanti dei giornalisti se ritenessero opportuna una modifica della legge istitutiva dell'Ordine, ha concluso l'audizione chiedendo ai rappresentanti dei giornalisti di far avere alla commissione ''delle proposte'' per una eventuale modifica legislativa che possa rendere piu' efficace l'intervento sanzionatorio da parte della stessa categoria nei casi in cui il codice deontologico sia stato chiaramente violato, anche in assenza di una pronuncia della magistratura. Del Boca ha fatto un esempio legato ai recenti casi di cronaca: ''Se potro' radiare Renato Farina solo tra 10 anni, a conclusione del procedimento giudiziario - ha detto - che senso avra' la mia sanzione se nel frattempo il giornalista ha potuto continuare a violare il codice?''. Siddi ha anche proposto un nuovo organismo ''piu' agile per provvedimenti urgenti, un giuri' per la lealta' dell'informazione che rafforzi anche il legame tra l'Ordine e il Garante della Privacy e possa tempestivamente comminare una sanzione morale pubblica, che incide sulla credibilita' del giornalista e risulta dunque piu' efficace di qualunque altra''. (ANSA).
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Il secondo Convegno regionale
“Giustizia e Informazione”
di Bema (Sondrio, 8 luglio 2006)
ha rilanciato il “progetto Abruzzo”.
Diffamazione a mezzo stampa,
una riforma possibile che
bilanci diritto di cronaca
e tutela della dignità della persona
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relazione di Francesco (“Franco”) Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia
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1. Premessa. Intercettazioni. Segreto istruttorio da eliminare. Ripeto qui a Bema, quello che vado sostenendo da tempo: serve una legge di un solo articolo che abolisca i segreti istruttori in vigore, i quali sono inutili perché vengono sistematicamente violati da una pluralità di soggetti pubblici. La nuova legge dovrebbe dire che è vietato pubblicare soltanto quegli atti processuali sui quali il giudice abbia deciso di apporre il vincolo temporaneo di segretezza. La nuova legge dovrebbe dire anche che i cronisti giudiziari, come mediatori intellettuali fra i fatti e la pubblica opinione, hanno il diritto di estrarre copia degli atti processuali depositati in cancelleria al termine della varie fasi istruttorie. L'abolizione del segreto istruttorio cancellerebbe le corsie preferenziali alle informazioni nella fase delle indagini istruttorie.
E’ legittimo, in via di principio, pubblicare le intercettazioni che consentono di far luce sui retroscena delle scalate bancarie e societarie, ma va assicurato il diritto preventivo di difesa ai protagonisti delle intercettazioni. Il rispetto del diritto di difesa significa soprattutto rispetto della dignità delle persone, che sono estranee alle inchieste penali, ma anche di chi vi è coinvolto sul presupposto che un’informazione di garanzia non è una condanna e che la presunzione di innocenza è un valore costituzionale.
Dietro le scalate bancarie e societarie (e oggi dietro calciopoli) si nascondono lotte di potere che possono sconvolgere gli equilibri politici ed economici del Paese. E’ giusto che i cittadini sappiano. I giornalisti hanno il dovere e l’obbligo di accertare i fatti e di non pubblicare notizie del diavolo, ma soprattutto di non combattere guerre per conto terzi. I cronisti, comunque, non sono custodi del segreto istruttorio: questo compito spetta ad altri soggetti (pubblici).
Diversi magistrati covano una vecchia visione, che non tiene conto soprattutto del dettato costituzionale, che sancisce il diritto dei cittadini a partecipare alla vita politica, economica e sociale della Nazione. Si partecipa se si è informati. Altrimenti perdura il vizio di trattare i cittadini come sudditi. Va affermato il principio secondo il quale il giornalista, che riceva una notizia coperta da segreto, può pubblicarla senza incorrere nel reato previsto dall’articolo 326 del Cp. E’ palese la differenza con il reato di corruzione, che colpisce sia il corrotto sia il corruttore. L’articolo 326, invece, punisce solo chi (pubblico ufficiale) viola il segreto e non chi (giornalista) riceve l’informazione e la fa circolare. Ferma restando, ad ogni modo, la prerogativa del giornalista di non rivelare l’identità delle proprie fonti. Il giornalista, che svela le sue fonti, rischia il procedimento disciplinare al quale non può, comunque, sfuggire per l’evidente violazione deontologica. Una lettura ragionevole dell’articolo 326 del Cp evita l’incriminazione (assurda) del giornalista per concorso nel reato (con il pubblico ufficiale.....loquace) e le perquisizioni, arma ormai spuntata dopo le sentenze “Goodwin” e “Roemen” della Corte di Strasburgo.
Il Codice di procedura penale, in base alla relativa legge-delega, ”deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”. Il Parlamento in sostanza deve calare nel Codice le sentenze Goodwin e Roemen nonché l’articolo 10 della Convenzione, abolendo il potere del Gip di interrogare il giornalista. Finirà la storia dei giornalisti arrestati e condannati perché difendono il segreto professionale anche come cittadini europei? L’articolo 200 del Cpp afferma il diritto del giornalista professionista al segreto sulle sue fonti fiduciarie, ma nel contempo autorizza il giudice a interrogarlo sulle sue fonti fiduciarie. Potere, questo, che fa a pugni con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Il Parlamento deve sancire una volta per tutte la regola in base alla quale il giornalista ha diritto al segreto professionale come gli altri professionisti. Punto e basta. Non una parola in più. Strasburgo ha spiegato perché è necessaria ed urgente questa svolta. Il segreto professionale dei giornalisti difende il diritto dei cittadini a essere informati su quel che accade (anche nei Palazzi del potere e nei Tribunali).