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Stampa

Tutela dei dati personali.
PRIVACY:
dopo 15 anni
di polemiche
e interpretazioni,
il Garante
detta le regole
sull’informazione
giuridica.

Rese note le “linee guida” per la pubblicazione delle sentenze (nonché dei lodi e degli arbitrati) nelle riviste giuridiche anche online. Il Garante spiega ai magistrati che devono rendere anonimi anche d’ufficio i dati personali e sensibili presenti nei provvedimenti giudiziali. Solo i giornalisti possono chiedere e ottenere le sentenze originali, ma ciò non significa che possono pubblicare tutto: le sentenze vanno filtrate attraverso le regole deontologiche. Altrimenti sono guai seri (anche il carcere, ex art 734/bis del Cp, per chi pubblica i nomi delle persone violentate).


analisi di Franco Abruzzo
per Guida al Diritto n. 4/2011

Nella storia giuridica dell’Italia repubblicana sono due le leggi che riguardano la privacy (o riservatezza). La prima è  la n. 675/1996 sostituita nel 2003 dal dlgs 196 meglio noto come “Codice (o Testo unico)  in materia di protezione dei dati personali”. Le due leggi hanno dato attuazione alla direttiva 96/45/CE del 24 ottobre 1995 del Parlamento europeo e del Consiglio nonché alla direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio. Il Testo unico, per quanto riguarda il mondo dei giornali, ha un  “allegato A” conosciuto  come  “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica” (Provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, in G.U. 3 agosto 1998, n. 179).  


Questo sistema normativo ha, quindi, 15 anni di vita. Nonostante il notevole tempo trascorso, l’applicazione  dei 186 articoli ha incontrato difficoltà, polemiche, interpretazioni contrastanti che hanno messo gli uni contri gli altri magistrati dell’Ufficio del Pm, giudici dei Tribunali,  giornalisti, cittadini vittime di abusi. La prima stesura della normativa (31 dicembre 1996) addirittura poneva ai giornalisti l’obbligo di chiedere il consenso ai protagonisti dei fatti di cronaca e ciò in clamoroso contrasto con il  secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione (“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”). Quell’anormale situazione, denunciata  al convegno di Stresa del maggio 1997, provocò rapidamente il superamento dell’assurdo vincolo.


Nel corso degli anni l’Ufficio del Garante è stato sommerso da “istanze (segnalazioni, richieste di chiarimenti e quesiti) pervenute riguardo al trattamento di dati personali effettuato attraverso la pubblicazione, da parte di uffici giudiziari, riviste giuridiche e altri soggetti, su supporti cartacei e informatici, nonché mediante reti di comunicazione elettronica, di sentenze e altri provvedimenti emessi dall'Autorità giudiziaria”. Così l’Ufficio dl  Garante, dopo aver ascoltato  gli editori e gli operatori del settore dell'informazione giuridica,  ha “rilevato l'esigenza di individuare un quadro unitario di misure e di accorgimenti necessari e opportuni, volti a fornire orientamenti utili per tutti i soggetti interessati, pubblici e privati”.  Questa è la premessa che ha determinato la stesura delle  «Linee guida sui trattamento dei dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica”.  Il provvedimento sulle “linee guida”, deliberato il 2 dicembre 2010, annunciato il 3 gennaio, è stato pubblicato il successivo 4 gennaio nella Gazzetta Ufficiale (n. 2/2011).


 


Delibera del Garante 2 dicembre 2010: obiettivo di fondo -  Il documento persegue un obiettivo di fondo, che si può riassumere così: dare regole più chiare per la pubblicazione di sentenze e provvedimenti giurisdizionali (inclusi lodi e arbitrati) su riviste giuridiche, cdrom, dvd, siti istituzionali e maggiori tutele per i minori coinvolti in vicende processuali.Il Codice favorisce la più ampia diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti dell’Autorità giudiziaria per i quali sia stato assolto, mediante il deposito nella cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, l’onere della pubblicazione previsto dalle disposizioni dei codici di procedura civile e penale. La conoscenza di tali provvedimenti può, infatti, essere realizzato, in primo luogo, dalla stessa Autorità giudiziaria “anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet” (art. 51, comma 2), osservando alcune cautele previste dallo stesso Codice (art. 52, commi da 1 a 6), volte alla tutela dei diritti e della dignità degli interessati. Con l’osservanza di tali cautele, è inoltre “ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali” (art. 52, comma 7)”.


Le specifiche “Linee guida sull'informazione giuridica” non si applicano all'attività giornalistica come prescrivono gli articoli 136 e 137 del dlgs 196/2003. Il trattamento dei dati è effettuato dai giornalisti anche senza il consenso dell'interessato previsto dagli articoli 23 e 26 del dlgs appena citato.


LA CASSAZIONE E I GIORNALISTI. La Cassazione (come i Tribunali e la Corte d’Appello) può rilasciare copie integrali delle sentenze ai giornalisti senza oscurare il nome degli imputati. Lo aveva già chiarito la relazione 5 luglio 2005 dell'Ufficio del Massimario della Corte suprema intervenendo a seguito di precise richieste da parte dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia. La questione era nata a seguito dell’istanza di un imputato per reati sessuali che, appellandosi all’articolo 52 del  Dlgs n. 196 del 2003, aveva sollecitato che il proprio nome pubblicato sulla sentenza fosse sbianchettato. Per tale motivo, la copia della sentenza n. 22724/05 della Terza Sezione Penale era stata stampata cancellando il nome e le generalità dell'imputato e con un timbro posto in alto a sinistra che richiamava la norma di legge che consente l'anonimizzazione. La Suprema Corte ha infatti spiegato che chiunque può richiedere una copia delle sentenze  (in quanto atti pubblici pronunciati "in nome del Popolo Italiano'') e che deve, però, oscurare i dati personali se vuole pubblicarle su una rivista specializzata di informazione giuridica. Tale obbligo, tuttavia, non vale per la cronaca giudiziaria in senso stretto, che deve assicurare ai cittadini il diritto all'informazione pur nel pieno rispetto dei diritti degli imputati. I giornalisti, quindi, possono chiedere e ottenere le sentenze originali, ma ciò non significa che possono pubblicare tutti i dati contenuti nelle stesse: le sentenze vanno filtrate attraverso le regole deontologiche. Altrimenti sono guai seri (anche il  carcere per chi pubblica i nomi delle persone  violentate ex art 734/bis del Cp).


Nella relazione si affermava infatti che "le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali possono essere diffusi, anche attraverso il sito istituzionale nella rete Internet, nel loro testo integrale, completo - oltre che dei dati riferiti a particolari condizioni o status, anche di natura sensibile - delle generalità delle parti e dei soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria" e che "chi esercita l'attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero [...] possa trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell'interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante". Il primo presidente della Corte di Cassazione,  - con lettera (n. 47/06/SG di Prot - Roma, 17 gennaio 2006)  dedicata alla “Tutela della privacy ed oscuramento dei dati identificativi delle sentenze” e indirizzata ai presidenti titolari  delle Sezioni civili e penali, al direttore dell’Ufficio del Massimario e al direttore del Ced  – ha precisato che  il Codice della privacy nell’attività giornalistica (del 3 agosto 1998) proibisce la pubblicazione dei dati identificativi di un minore,  di una persona, che abbia subito violenza sessuale o di chi abbia contratto l’aids, delle parti nei procedimenti in materia di “delicati” rapporti di famiglia o di stato delle persone; e impone cautele nel riferire “dati idonei a rivelare lo stato di salute e le tendenze sessuali ” nonché il domicilio di un cittadino. Oggi è proibito rendere noto finanche il numero di utenza del cellulare (Cassazione penale, Sez. III, Sent. n. 46203 del 23-10-2008). “In tema di tutela della riservatezza, l'esonero (art. 137 D.Lgs. n. 196 del 2003), per il trattamento dei dati sensibili nell'esercizio della professione di giornalista, dall'autorizzazione del Garante e dal consenso dell'interessato, non può prescindere dal rispetto, oltre che del diritto di cronaca e dell'essenzialità dell'informazione, anche dei principi stabiliti dal codice deontologico delle attività giornalistiche, cui deve riconoscersi natura di fonte normativa. (La Corte ha disatteso l'assunto dei giudici di merito secondo cui la mancanza, da parte del citato art. 137, di un esplicito richiamo al codice deontologico, conduceva a non ritenere più necessario, a differenza del previgente regime, il rispetto dello stesso ai fini di un lecito trattamento dei dati, in particolare relativi a salute e sfera sessuale). (Annulla con rinvio, App. Milano, 21 giugno 2007)” (Cassazione penale, Sez. III, Sent. n. 16145 del 05-03-2008).


Il  “Testo unico della privacy” 196/2003 dà piena libertà ai giornalisti di trattare i dati giudiziari (secondo le regole deontologiche). Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del  Testo unico 196/2003 sulla privacy relative:


a) all'autorizzazione del Garante;


b) al trattamento dei dati giudiziari;


c) al trasferimento dei dati all'estero;


d) al consenso dell'interessato.


Nel terzo comma l’articolo 137 puntualizza: “In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità giornalistiche (di cui all'articolo 136) restano fermi i limiti del diritto di cronaca …..e, in particolare, quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il consenso del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (=notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal Codice  della privacy del 1998 (che assorbe la Carta di Treviso sui minori), dagli articoli 2 e 48 della legge  n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione di giornalista) e dalla Carta dei doveri del 1993. Parlando di attività giornalistica e non di professione giornalistica, il Codice detta regole e comportamenti a  tutti coloro che manifestano il pensiero e non soltanto ai giornalisti iscritti all’Albo tenuto dall’Ordine. 


Questi in sintesi i punti più rilevanti delle “Linee guida”:


1. I DATI DEI MINORI. Devono essere oscurati, sempre e in ogni caso, i dati dei minori  e delle parti nei procedimenti che hanno ad oggetto i rapporti di famiglia e lo stato delle persone (ad es. controversie in materia di matrimonio, filiazione, adozione, abusi familiari, richieste di rettificazione di sesso), anche quando il giudizio si riferisca ad aspetti patrimoniali o economici. Devono, inoltre, essere omessi i dati relativi ad altre persone dai quali si possa desumere, anche indirettamente, l'identità dei soggetti tutelati. I dati vanno oscurati non solo nei  provvedimenti riprodotti per esteso, ma anche in quelli diffusi sotto forma di massima o nell'ambito di un elenco.  L’obbligo opera “in ogni caso”, cioè, come pure precisa testualmente la norma, ancorché la sentenza  oggetto di diffusione non riporti l’annotazione di cui al comma 2 dell’articolo 52 del dlgs 196/2003. Si tratta di un divieto assoluto; neppure il consenso dei soggetti interessati può determinare l’inapplicabilità del vincolo. I soggetti tutelati sono i minori coinvolti in qualunque tipo di procedimento giudiziario e le parti, limitatamente ai procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato civile delle persone (quali, ad esempio: matrimonio e sue vicende, filiazione, adozione, ordini di protezione contro gli abusi familiari, azioni di stato, richieste di rettificazione di sesso). Va rilevato che in quest’ultimo caso la legge utilizza il termine “parti”, non “interessati”, come nel primo comma dell’articolo 52.  Pertanto, la disposizione riguarda solo le parti processuali dei procedimenti giurisdizionali in materia di famiglia o di status personale. Eventuali altri soggetti coinvolti in tali procedimenti e che si ritengano interessati a ottenere l’oscuramento delle loro generalità e di altri dati identificativi contenuti nei relativi provvedimenti (ad esempio, i testimoni), devono ricorrere alla procedura di anonimizzazione disciplinata dai primi quattro commi dell’articolo 52. In particolare, rientrano nell’oggetto del divieto le informazioni che permettano di risalire agevolmente all’identificazione del minore o delle parti nei giudizi in questione (ad esempio, i nominativi dei genitori del minore o la scuola da questo frequentata, o l’indirizzo dell’abitazione delle parti processuali).


2. LA PROCEDURA DI “OSCURAMENTO” DEI NOMI. Oltre a questa forma di tutela assoluta, in tutti gli altri casi chiunque sia interessato (le parti in un giudizio civile o l'imputato in un processo penale, ma anche un testimone o un consulente) può rivolgere un'istanza al giudice, prima della conclusione del processo, con la quale chiede che, in caso di riproduzione del provvedimento per finalità di informazione giuridica, siano oscurati le generalità e ogni altro elemento in grado di identificarlo. L'istanza deve indicare i "motivi legittimi" che la giustificano: ad es. la delicatezza del caso o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (stato di salute, vita sessuale).  Ove la richiesta dell’interessato venga accolta, spetta alla cancelleria o alla segreteria giudiziaria darvi esecuzione, apponendo sull’originale del provvedimento, all’atto del deposito da parte del magistrato, anche con un timbro, un’annotazione che riporti l’indicazione dell’art. 52 del Codice e la dizione: “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di …”.


3. L'ANONIMIZZAZIONE PUÒ ESSERE DISPOSTA (ANCHE D’UFFICIO) DAL GIUDICE, L'anonimizzazione può essere disposta dal giudice, anche d'ufficio, nei casi in cui la diffusione di informazioni particolarmente delicate possa arrecare conseguenze negative alla vita di relazione o sociale dell'interessato (ad es. in ambito familiare o lavorativo). Non spetta all'ufficio giudiziario, ma a chi riceve la copia dei provvedimenti con l'annotazione che dispone l'oscuramento delle generalità, provvedere in tal senso ove intenda riprodurli o diffonderli, anche sotto forma di massima, per finalità di informazione giuridica. Chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto – dice il comma 5 dell’articolo 52 del dlgs 196/203 - ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell'annotazione (di cui al comma 2), le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone. La disposizione intende fare riferimento non solo alla sentenza o ad altro provvedimento emessi nel procedimento in cui è coinvolto il minore o in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, ma anche a qualsiasi sentenza o altro provvedimento che contenga dati personali, anche di terzi, che consentono, “anche indirettamente”, di svelare l’identità delle persone tutelate. “La norma richiede ai soggetti che diffondono i provvedimenti per finalità di informazione giuridica di esercitare un’ordinaria diligenza nell’esame del testo delle sentenze e degli altri provvedimenti”.


4. I PM E I GIUDICI SONO LIBERI DAI VINCOLI DEL TESTO UNICO SULLA PRIVACY.  Le  “linee guida” non incidono, quindi, sulle norme processuali che l’autorità giudiziaria deve rispettare e applicare nello svolgimento delle attività e nell’adempimento degli obblighi derivanti dall’esplicazione delle funzioni giurisdizionali, come previsti dalle “pertinenti disposizioni codicistiche”. Non riguardano, in particolare, l’attività di redazione degli originali delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali e il loro contenuto, né la loro pubblicazione mediante il deposito nelle cancellerie e segreterie giudiziarie, secondo le disposizioni che disciplinano tali attività. Restano ferme anche le disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti.


5. ANCHE I LODI E GLI ARBITRATI COME LE SENTENZE. Il comma 6 dell'articolo 52 estende la procedura di anonimizzazione “anche in caso di deposito del lodo ai sensi dell'articolo 825 Cpc". Il Codice aggiunge che "in modo analogo" provvede anche il collegio arbitrale costituito preso la camera arbitrale per i lavori pubblici. Tale disposizione deve ritenersi ora applicabile all'arbitrato previsto dal dlg 12 aprile 2006 n. 163 e il cui art. 241opera espresso riferimento all'articolo 825 Cpc.


 


GUIDA AL DIRITTO/IL SOLE 24 ORE, n. 4/22 gennaio 2011





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